venerdì 18 luglio 2008

Emozioni a Castel Sismondo Rimini 19-8-08

Nell’ambito dell’Estate al Castello
organizzata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini (0541/351629, ufficiomostre@fondcarim.it)

sabato 19 luglio 2008 dalle ore 16:00 alle ore 20.30
sala Isotta di Castel Sismondo, Rimini

Emozioni che danno sollievo
Storie, poesie, musica e arte dal vivo

a cura di Fara Editore
in collaborazione con Fondazione ISAL – Rimini
ingresso libero
v. locandina e programma

giovedì 17 luglio 2008

Le pillole di Enrica 4

a cura di Enrica Musio (v. anche qui)

Nel libro Il Battutista di Gennaro Pesante si racconta di una persona che lavora scrivendo battute, testi o discorsi. Fa anche ricerche con Google e lavora per personaggi televisivi o dello spettacolo. Un libro scritto bene. Ah! Una curiosità: l’autore è stato addetto stampa di un noto gruppo parlamentare italiano.

Nell'Isola Continentale Ambra Crociani racconta un viaggio fatto nel meraviglioso e magico continente australiano. Un viaggio agli antipodi, alla conoscenza delle vecchie tribù indigene. Un viaggio alla ricerca di una conoscenza attraverso una mutazione di sguardo. Magici luoghi come la montagna di Ayers Rock o animali strani come i dingo.
In questo viaggio scopriamo il fascino ancestrale dell’Australia. Un viaggio nel rispetto dell’ambiente. È un bel libro scritto e raccontato con linguaggio molto giovanile.
Un libro che ci porta verso un nuovo futuro, una nuova identità.

Nel libro di Salvatrice Virgadaula Il signor Panzero, si racconta una storia simbolica (i Greci chiamavano Symbolon una tavoletta di terracotta dove era scritto un patto).
L’autrice ci parla di un suo viaggio, fatto di mete, di tappe, di incontri e di suggestioni…
con la consapevolezza dei grandi problemi mondiali: la globalizzazione, lo scarso rispetto della dignità umana, la difficoltà di troncare con modo di vivere effimero che ci rovina e ci porta su cattive strade. Un bel libro interessante e riflessivo.

Nel libro Storie di frate Amodeo Michele Ruele racconta le avventure di un frate cappuccino del Settecento in Trentino. Ce le racconta immerse in una sorta di realtà fiabesca, con tradizioni e usanze d'un tempo e strani e assurdi personaggi: religiosi e furfanti, briganti e contadini, potenti. Il tutto condito di una certa superstizione.
Un libro interessante, allegro e spensierato.

Nel libro di Rosana Crispim da Costa Il mio corpo traduce molte lingue c'è una forte intensità poetica, con uno sguardo ingenuo e ingannante, su una sorta di soglia dell’apparenza, di dolore e nostalgia: la saudade brasiliana. È un bellissimo libro, lo consiglio a tutti, per conoscere anche un nuovo mondo e una nuova cultura.

Il libro di Sonia Gardini Dove allunata? è una raccolta di poesie con parole estremamente forti e vibranti, che ci portano in uno spazio intimo e ci riverberano nella verità più assoluta. Ci offre spunto alla condivisione. L'autrice mette in condizione noi lettori diessere tutti suoi compagni di viaggio. Un libro profondo.

Nella raccolta Finito Gabriele Oselini scrive dei testi poetici in ricordo della sua gioventù. Poesie prive di una struttura perfetta e omogenea, ma che ci portano in una dimensione di particolare bellezza poetica. È una poesia molto sincera. Un buon libro.

Nella raccolta di poesie L’analisi di infinite conseguenze di Marco Zavarini ci sono le poesie lampo che parlano con un linguaggio fresco, ma con leggerezza sottile e pungente che ci invita a rileggerle e a memorizzarle. Possiamo trovare in questi meravigliosi testi mille sfumature e mille sfaccettature. Un ottimo libro.

Nel libro di Helene Paraskeva Il tragediometro e altri racconti si narrano storie interessanti: c’è un senso di indagine profondo delle debolezze e vari tic dei personaggi. Ci si immerge subito nelle storie raccontate. Lo stile letterario elegante è schietto, asciutto e anche icastico. Un valido libro.

Nella raccolta di Gladys Basagoitia La Carne/El sueño si esprime la cultura sudamericana (l’autrice che è peruviana). Troviamo una musicalità che evoca immagini memorabili.

Nel libro Mal Bianco di Leela Marrampudi, scrittrice di origine indiana, si narra di una saga familiare soprattutto dal punto di vista femminile. La donna in India non è sempre considerata, soprattutto se è di una casta inferiore. Il libro è una sorta di doppia realtà, tra la finzione della vita rappresentata dalla televisione, il mito indiano di Bollywood, e la vita autentica. Si dà valore alle relazioni umane, ai sogni e desideri.
Un ottimo libro, brava l’autrice.

giovedì 10 luglio 2008

È uscito Il mio cane di Gino

Un romanzo tragicomico sapientemente architettato, una confessione della situazione dei giovani adulti di oggi che intriga e coinvolge: v. la scheda

martedì 8 luglio 2008

Le pillole di Enrica 3

a cura di Enrica Musio (v. anche qui)

Nel libro di Ardea Montebelli Il paradosso della memoria ho trovato delle poesie religiose, quasi una sorta di meditazione interiore e spirituale. Queste poesie sono ispirate dalle Lettere di San Giovanni, un discepolo di Gesù Cristo.
È un libro utile a chi ha perso il senso della fede e della religiosità cristiana.

Nel libro di Luca Nannipieri Mario Luzi si parla del grande Poeta: ci sono dei dialoghi, interviste, commenti. In questo libro risalta la bravura e il grande talento del poeta Mario Luzi: un grande mito per noi neofiti in poesia.

Nel libro di Ada Gobetti Storia del gallo Sebastiano si racconta la storia semiseria di uno strano e divertente gallo. L’autrice ha voluto mettere in risalto la figura del suo uomo Piero Gobetti, morto in modo troppo drammatico (aveva subito un’aggressione fascista). È un racconto che narra della libertà mancata: parla di un galletto fuori dalle regole e fuori dagli schemi sociali. È un bel libro, scritto anche con un linguaggio perfetto.


Nel libro Sullo stesso treno di Marco Bottoni si raccontano storie e avventure in treno.
Si incontrano molti personaggi e molte situazioni abbastanza particolari, dimensioni varie, una sorta di un viaggio nel passato, all’indietro (un déjà-vù)… è anche un viaggio surreale e fantastico, ironico, con linee di tragicità, attraverso il ricordo, la speranza, il piacere. Nei racconti ci sono un giovane manager in carriera, un vecchio macchinista in pensione, un innamorato deluso, un sognatore troppo ostinato, un cinico spietato, e sempre, com in ogni racconto che si rispetti, ci deve essere l’inguaribile romantico.
Sono tutti quanti in una sorta di strano scompartimento, tutti accomunati da un viaggio alla ricerca di un motivo, di una nuova situazione di vita, di una giustificazione, alla ricerca sé stessi. È un bel libro, mi è piaciuto molto.


Nel simpaticoso e divertente libro Chicken Breast scritto dal fantasmagorico e istrionico Alex Celli, si raccontano in forma allegorica e narrativa le avventure di un comunissimo e strampalato supereroe un po’ enfatizzato dai miti dei supereroi: (Superman, Spiderman, Hulk, Fantastici Quattro, Wonderwoman, Cat Woman, La Donna Bionica). Questo divertente e maldestro comune-semplice umano lavora all’ufficio delle tasse e la sera nella sua Santarcangelo di Romagna si trasforma in supereroe e salva gli oppressi e gli indifesi. Il tutto raccontato con semplicità e tanto divertimento è un racconto veramente comico!!!

La Compagnia di S.E., sempre scritta dalla sapienza magistrale di Alex Celli, è il seguito delle avventure del supereroe Chicken Breast, assieme ad una strampalata compagnia di strani personaggi e supereroi in situazioni assolutamente imprevedibili.
Leggendo tutto il libro, mi sono piaciute le gesta dell’Uomo Topo Ragno.
Questo libro è consigliato soprattutto ai giovani che oggigiorno leggono giornalini Manga e ascoltano musica all’Ipod, navigano tra blog insulsi e mandano troppi MMS e SMS.

Nel libro In cerca di Alessandro Ramberti ho trovato delle bellissime poesie.
Con una strana misteriosa emozione. Queste poesie sembrano piccoli scatti di vita, e passano attraverso gli occhi di un sedentario lettore e lo portano al massimo del coinvolgimento. C’è solo un lettore che si pone in suo ascolto.

In Pietrisco di Alessandro Ramberti troviamo dei testi poetici più lavorati, più ragionati e con anche un senso religioso, molto semplici.
In queste righe poetiche si mette in luce la bravura linguistica.

Nel libro di poesie di Amoà Fatuiva alias (Annarita Bianchini) Seni di cristalli, ci sono poesie che parlano di un esclusivo senso erotico del corpo, non nella forma più morbosa, ma con una sorta di particolare delicatezza tutta al femminile. Il libro ci porta anche ad una sorta di mondo fatato, di principesse e di sultani,tipo i racconti delle Mille e una notte. Il libro parla anche della bellezza della natura.
Mentre lo leggevo pensavo che la poetessa fosse di origini arabe, invece ho scoperto che è italiana!

Nel libro di Fabrizio Chiappetti Visioni dal futuro-Il caso di Philip K.Dick, si racconta dello scrittore americano degli anni '70 Philip K.Dick, un validissimo scrittore di fantascienza. Si parla di lui, della sua attività letteraria e delle sue considerazioni molte volte catastrofiche o allucinatorie. Philip K.Dick è molto famoso, è stato l’autore del romanzo che ha ispirato Blade Runner. Un libro per chi si vuole tanto appassionare alla fantascienza.

Nell’uovo cosmico di Helene Paraskeva si parla in maniera fantastica e tragicomica della realtà di oggi con agganci al mondo dell’Olimpo, degli Dei dell’Antica Grecia.
L’autrice ci racconta una strana moderna Odissea.
Tutto con grande allegoria.


Nel libro di Bruno Sacchini Paroli, robi e det d’una volta si evidenziano modi dialettali come parole nelle zone fra l’Uso, il Rubicone e vicinanze. È un bel libro utile a noi ragazzi che non sappiamo più parlare il nostro bellissimo dialetto romagnolo; questo libro ce lo insegna. E poi non ci fa perdere queste meravigliose antiche tradizioni linguistiche dei nostri padri e avi.
Alcune parole significative: E’ croin-cestino di vimini, l’azdoura-la massaia, la casalinga, la tegia-la teglia fatta di terracotta per cuocere la piadina romagnola, la pida-la piadina, anvoud-il nipote, bascoza-la tasca dei pantaloni, bech-cornuto (a Santarcangelo che c’è anche una fiera dei bech, la fiera di San Martino che si svolge l’11 di novembre), cantareli-piadine fatte con olio e zucchero, brech-asino, brudet-la zuppa di pesce, ciacareda-chiacchierata di paese, garneda-scopa, ligaza-fazzoletto delle azdore da lavoro, scarana-sedia.

lunedì 7 luglio 2008

Su Anno Santo 1975 di Nicola Di Paolo



Recensione di Oreste Bonvicini (scheda del libro qui)

Se qualcuno volesse interrogare questo viaggio per scoprire tracce dello spirito che animò Sigerico intorno all’anno Mille e diede forma e vita a quella che poi si denominò via Francigena, ha sbagliato indirizzo. Nel 1975 tutto ciò non era nemmeno lontanamente reperibile. Non ostelli, né punti sosta, né percorsi segnalati, né impronte sui crinali dell’ Appennino.

Sarà dunque per l’età non più verde, per il comune amore per la Val d’Ayas, ma soprattutto per il fatto di essere coscritti di un 1958 che ancora evoca anni di speranza e di un buon futuro che oggi sui volti dei nostri figli non riconosciamo in tratti altrettanto vivi e accesi, che questo libro mi ha portato via, durante una lettura rapida e avida, scritto apparentemente con il passo ardente del pane dei verdi anni di Böll, scevro da quel viaggiare con la mente rivolta alla letteratura o sulle tracce del passato a cui personalmente mi sento connaturato, bensì badando alla schiettezza del racconto, come un novellare dinanzi ad un pubblico di amici, nell’incertezza talora dei ricordi, dei volti conosciuti e subito lasciati, sul tavolo una bottiglia di vino mentre una fisarmonica che vibra in sottofondo…

Di quel tempo rivedo come in un sogno il Monte Penice con le sue antenne rivolte alle regioni settentrionali, i canali della tivù allora in b/n che nutriva tutto il nostro immaginario, gli sport e gli idoli degli anni Settanta, con tutta l’illusione di un’etica sportiva in cui specchiarsi, i gettoni del telefono pubblico, nostro unico e talvolta labile, strumento di contatto.
Rivedo gli anni di piombo con la legittimazione della repressione (di cui scrissi e di cui tuttora talvolta scrivo), nonché la Valle d’Ayas e gli anni delle giovanili grimpate sui versanti assolati della Falconetta, verso i laghi del Pinter, verso la testa Grigia, verso il Mezzalama, le Cime Bianche…
I passi del nostro oggi, al contrario, sono in una realtà dove più non sarebbe proponibile montare la tende in una rotonda stradale, o dormire sotto le pensiline di un distributore di benzina, o all’addiaccio in un cortile. E la solidarietà di quel 1975 forse non è più possibile in questo tempo di turismo sterilizzato (di navigatori GPS e materiali ultratecnologici) dove anche i pellegrini sono soggetti ad un cammino scientifico, studiato, mai improvvisato e incapace di avventura se non estrema, ma con tanta visibilità, come si addice ad un edonismo sfrenato, di esasperata ricerca della notorietà così come ci hanno insegnato i nostri migliori uomini di spettacolo (o di politica creativa?). E benché non sia ancora del tutto svanito il mio sogno di camminare fino in Galizia verso la tomba dell’apostolo Giacomo (raggiunta in ogni caso qualche anno fa, con altri mezzi, in un viaggio bello comunque e vario di campeggio in campeggio) sento ormai il peso di un’incertezza che ha fatto emergere il lato meno bello della nostra età, messa la prua oltre il confine convenzionale del nuovo secolo, scorgendo un confine ormai non più oltrepassabile e la sensazione di un mondo in cammino sempre più frenetico verso qualcosa che non si vede ma si presagisce, una corsa sfrenata verso il nulla che ci spaura. E si sa, scriveva il Manzoni, che “quando s’è per la strada della passione, è naturale che i più ciechi guidino” .

La forza di Di Paolo sta nel pensiero che si fa intenso e acuto con le stoccate di pagina 56, e di prepotenza ci volgiamo all’oggi, domandandoci se di questo nostro presente sapremo ricordare altro che non siano intercettazioni telefoniche, delinquenza organizzata, corruzione e sangue sulle strade…
“L’Italia cancellata delle lotte operaie degli anni 60” non è che storia, ma non per i libri di scuola e le conquiste di quel tempo sono via via svanite, abrogate, surrogate, dimenticate, con i nomi di chi lottò fino alla fine sperando di regalare a figli e nipoti un tempo diverso, migliore. O forse quello fu l’unico modello, l’unico momento lieto di un mondo non bello, ma carico di attese, di illusioni forse, speranze che hanno prodotto tracce anche se forse labili come a febbraio il sole in una primavera anticipata..
Così quelle pagine intense e dedicate all’incontro con i giovani di Santo Stefano di Magra, per altro nella mia memoria luogo dell’ultimo soggiorno estivo di Cesare Pavese, svelano una volta ancora i concetti di cui la nostra gioventù si era nutrita, e si offrono come una rivelazione che sarà costretta alla consunzione dei tempi. All’oblio infine.

Il finale del racconto poi si spegne con la delusione che tuttavia non si dipinge sui volti dei protagonisti, bensì si stempera in un viaggio senza precedenti verso luoghi fino ad allora sconosciuti, anche se il viatico dell’ufficialità viene riposto nel cassetto dei sogni infranti. Il Papa non riceverà i pellegrini, dimenticati sulla piazza di San Pietro tra tanti. Ma forse l’umiltà con cui il viaggio si era protratto rimane il segno tangibile oltre quell’ufficialità che avrebbe poi nuociuto alla semplicità dei suoi artefici, con il pericolo di divenire tramite di una notorietà e di lì un non tacitato vanto da sbandierare al ritorno. Certo oggi nessuno partirebbe senza accreditarsi di un ricevimento con onori e gran pompa, con le televisioni private, i resoconti stereotipati, le interviste...

In questo racconto di Nicola di Paolo si gode dell’immediatezza che merita un evento prima di tutto interiore, che non è diventato storia e che resterà nel cuore di chi l’ha vissuto, come archetipo che diviene perciò mito dopo che l’eroe arcano l’ha fatto suo. Forse a sua insaputa.

giovedì 3 luglio 2008

La mia prima mamma in Libromondo

Il racconto tragicomico di un funerale africano:

Samuel Ayotunde Kalejaiye

fa centro! La scheda del libro qui





Benvenuti al nuovo appuntamento con la newsletter di “LIBROMONDO”, Centro di
Documentazione sull’Educazione alla Pace e alla Mondialità e sulla Cooperazione Internazionale di Savona.
Ringraziamo le case editrici e le associazioni per la collaborazione e ricordiamo a chi volesse inviarci pubblicazioni o altro materiale inerente al nostro Centro di documentazione, collaborare con noi, segnalarci iniziative ed eventi o semplicemente richiedere informazioni di scrivere una mail a: “LIBROMONDO” - Campus Universitario di Savona, Palazzina Branca, via Cadorna, 17100 Savona;
oppure inviare una mail a: libromondo@aifo01.191.it
Un ringraziamento particolare a tutti coloro che hanno collaborato a questo numero della newsletter.
Il Centro è aperto al pubblico nei giorni di lunedì e mercoledì dalle 17 alle 19, martedì e giovedì dalle 9,30 alle 11,30.
Nell’orario suddetto è possibile contattare i volontari al numero di telefono: 019 263087.
Per informazioni è possibile visitare il sito:
www.provincia.savona.it/attivita/cooperazione/libromondo.htm

giovedì 19 giugno 2008

San Miniato al Monte, le ragioni di una presenza



Non è poi così difficile suggerire ai fiorentini quale sia il significato storico e spirituale più essenziale della Basilica di San Miniato al Monte. Chiunque infatti si trovi a passeggiare o anche a percorrere velocemente i lungarni non ha che da alzare lo sguardo al cielo, a qualsiasi ora del giorno o della notte, e lasciarsi così catturare dal fascino della mirabile facciata che, ad oriente della nostra città, con la sua miracolosa armonia di marmi bianchi apuani e di verde serpentina pratese, vorrebbe ancora, dopo quasi mille anni, suscitare nei nostri cuori la nostalgia per l’altra città, quella celeste, quella futura, quella che san Giovanni Apostolo, il Visionario dell’Apocalisse, definisce la «Gerusalemme Celeste» e immagina circondata da mura di pietre preziose, città santa e bellissima come bellissima è San Miniato al Monte.
Firenze ha dunque, oltre alle sue magnifiche porte in pietraforte della cinta medieovale, una porta sospesa sul cielo, aperta su varchi di mistero e di trascendenza, come del resto ci rivela un cartiglio marmoreo che, sulla soglia della cosiddetta Porta Santa, avvisa ancora oggi lo sguardo del pellegrino in questi termini: «Haec est Porta Coeli», questa è la Porta del Cielo. Sono le parole che pronuncia Giacobbe dopo aver sognato, in un famoso passo della Genesi, la celebre scala che poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Quella scala, quella porta, quegli angeli erano per Giacobbe il segno che egli si trovava al cospetto della casa di Dio, ille locus terribilis, la domus Dei dove l’uomo assetato di Dio e della sua lode poteva finalmente incontrare la terra promessa come segno benedetto dell’amore del Signore per le sue creature.
D’altronde di aprire realmente una Porta del Cielo per tutta la città di Firenze ne doveva avere avuta profetica percezione lo stesso Vescovo Ildebrando quando, esattamente 990 anni fa, il 27 aprile del 1018 avvertì la necessità di ricostruire ex novo il vetusto luogo di culto che serbava le reliquie del protomartire armeno Miniato e dei suoi compagni uccisi durante le crudeli persecuzioni di Decio, alla metà del terzo secolo. Suo intento era farne una Basilica che, oltre alla custodia della memoria di quei Santi antichi, più di tutto testimoniasse con la sua bellezza l’orizzonte di speranza pasquale che aveva motivato l’eroica morte sanguinaria subìta da quei primi cristiani trucidati sulle rive d’Arno. Perciò San Miniato al Monte doveva essere – e continua ad essere – memoria del passato e, al contempo, sguardo profetico su ciò che ci attende, perché tutta una comunità civile, senza mettere in discussione la sua doverosa fedeltà alla terra ed il suo inevitabile divenire di città degli uomini, potesse però in ogni momento rivolgere il suo sguardo fiducioso al cielo attraverso i marmi, le porte e i mosaici dorati di questa Basilica e perché la loro bellezza facesse «sorgere lo spirito cieco verso la luce» e invitasse ogni uomo a rinnovare «l’immagine di Dio configurandola al Cristo», come scrive in alcune sue potenti pagine San Bernardo, il celebre abate di Chiaravalle.
D’altro canto è allo stesso tempo vero che chi vuole ammirare, e dunque amare, Firenze con un solo colpo d’occhio riassuntivo di tutte le sue bellezze e di tutta la sua storia non ha che da salire a San Miniato e comprendere perché lo stesso Vescovo Ildebrando avesse voluto affidare la Basilica ad una comunità monastica: da dove meglio che da questa collina volgere uno sguardo di amore, di premurosa vigilanza, di attenzione – come avrebbe detto Simone Weil – sulle miriadi di storie che si intrecciano ogni giorno nelle nostre strade e piazze e che costituiscono l’epopea umile, feriale, ma anche a suo modo gloriosa che è la vita della nostra civitas?
Per questo amoroso intreccio di sguardi nel segno della bellezza, della memoria e della speranza fra la città e il suo desiderato futuro di pace simboleggiato dalla nostra Basilica, San Miniato al Monte è luogo amato da tutti i fiorentini e dagli innumerevoli visitatori di ogni parte del mondo che, con stupore e meraviglia, sono incerti se contemplare prima il superbo rigore geometrico e armonico della facciata romanica col dorato bagliore dei suoi mosaici bizantini o piuttosto il tacito e incredibile accordo di tanti mirabili monumenti civili e religiosi che paiono emergere dal vasto mare di coppi rossi dei tetti fiorentini. Una bellezza e un’armonia che quassù, al di là della loro pur oggettiva ed evidente caratura teologica, parlano al cuore di ogni persona, qualsiasi sia la sua cultura, la sua provenienza, la sua interpretazione circa il mistero della vita. Del resto siamo ben consapevoli che tanta storia anche civile è stata scritta su questa collina cara alla «geografia della grazia» di Giorgio La Pira, a cominciare dall’eroica difesa, fra il 1529 e il 1530, della Repubblica Fiorentina, quando, raccogliendo l’eredità della predicazione savonaroliana, anche il sommo genio di Michelangelo dall’alto del nostro campanile collaborò a presidiare la libertà di un intero popolo in uno degli ultimi capitoli, nella storia della nostra sfortunata Italia, di fiera ed eroica coscienza civile contro l’arroganza di ogni tirannide. Eredi e responsabili di un patrimonio così eccezionalmente ricco per i suoi molteplici significati spirituali, estetici e storici, come monaci noi per primi ci sentiamo, in accordo con la nostra secolare tradizione benedettina, ospiti di un luogo la cui custodia la grazia di Dio ci ha affidato a duratura consolazione di un’intera comunità cittadina e – osiamo dire – di tutta la famiglia umana.


Dom. Bernardo Gianni, OSB, monaco dell’Abbazia di San Miniato al Monte
lectio.divina@libero.it

lunedì 16 giugno 2008

Di Paolo e Rosenberg ad Archivi del '900 Milano

il 17 giugno 2008 alle ore 18:00

Nino Di Paolo presenta il suo libro
ANNO SANTO 1975. DA MILANO A ROMA A PIEDI
FARA EDITORE

“Nicola Di Paolo ci racconta la storia autobiografica di quando, a diciassette anni e in occasione dell'anno santo del 1975, decide con i suoi amici e il parroco di raggiungere Roma a piedi, seguendo la tradizionale strada dei pellegrini. Un viaggio, dunque, da Rho a Roma, e il viaggio è la metafora per eccellenza della formazione di un ragazzo…”
Segnalato dal Premio Piccola editoria di qualità






Il 18 giugno 2008 alle ore 18:00

Barbara Rosenberg presenta il suo libro
STORIE CON UN ALTRO FINALE
con illustrazioni di Massimiliano Parazzini
FARA EDITORE


“Queste gustosissime favole postmoderne ci proiettano nel mondo avventuroso, mitico e magico in cui il tempo si compatta e le relazioni con gli esseri viventi diventano emblematiche di valori che non tramontano: amore, amicizia, rispetto, capacità di mettersi in gioco e nei panni dell’altro…”

Segnalato dal Premio Piccola editoria di qualità

Seguirà aperitivo a buffet

info www.archivi900.com


mercoledì 11 giugno 2008

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Giovedì 22 maggio 2008. La lectio di questa sera di Don Eraldo Tognocchi è ispirata dal suo ultimo libro intitolato Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (La preghiera di Gesù sulla croce), scritto per far luce sul senso di queste parole che possono essere intese come un lamento-sfogo di Gesù, uomo, vicino alla sofferenza umana, oppure come una raccomandazione al Padre che il suo abbandono nelle mani degli uomini non sia avvenuto per una fatalità inspiegabile, ma per un atto d'amore e un progetto di salvezza del mondo. La sofferenza quando si patisce è avvertita come qualcosa di eccessivo, di ingiusto; e pur sapendo che abbiamo bisogno di purificazione, noi rivolgiamo a Dio un rimprovero confidenziale per esprimere tutto il nostro sconcerto, perché il dolore, la malattia e la morte, hanno sempre un carattere avverso e nemico. Gesù però l'ha fatta propria questa nostra condizione: noi non riusciamo a vedere quanto a lui sia difficile, a volte, aiutarci a ritrovare la strada giusta, e forse per questo abbiamo bisogno di fare esperienza del male, che il Signore non ci evita, perché altrimenti non ci accorgeremmo della nostra indifferenza e della nostra superficialità.

Dalla parabola del padre misericordioso, noi conosciamo un padre che lascia andare suo figlio per aiutarlo a capire che al di fuori della propria casa, nessun amore è eguale a quello sperimentato prima di partire. Abbiamo così l'idea di un Dio che non è preoccupato della sua dignità ma soltanto delle sue creature. La preghiera che noi sentiamo sulla bocca di Gesù, presa dal Salmo 22, comincia proprio così: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Nel corso del Salmo il cantore sofferente elenca i turbamenti; le sventure; e ne cerca una ragione: che alla fine scopre quando comprende che Dio lo aveva abbandonato affinché conoscesse la sua liberazione e il volto del suo salvatore. Istruiti dal Salmo e dal Vangelo di Giovanni: «ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (cfr Gv 16, 37), non possiamo pensare che la preghiera di Gesù nasca da un bisogno di sfogo proprio degli uomini! Gesù è consapevole di vivere in una dipendenza dal Padre un po' simile alla nostra, e allora parlerà del Padre come la sorgente di questo piano di salvezza a cui si sottopone: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). Dal racconto della passione di Luca, ci accorgiamo che la volontà del Padre si identifica con la volontà di morte del suo popolo contro Gesù e, infatti, alla fine del brano leggiamo: «Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà» (Lc 23, 24). Gesù deve morire perché si è proclamato Figlio di Dio: il popolo lo condanna per affermare che non lo è; il Padre invece per rivelarlo come tale nell'estremo suo patire per amor nostro.

Il rapporto difficile che Gesù ha con i suoi discepoli nasce dalla volontà di perdere la vita per i suoi amici: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). La prima volta che Gesù parla della sua necessità di morire Pietro protesta, lo prende da parte perché sente che questo Gesù ha bisogno di essere difeso e, secondo il Vangelo di Matteo, gli si rivolge con una frase che tradotta letteralmente dal greco è di un candore commovente: «Pietà per te Signore» (cfr Mt 16, 22), cioè abbi un po' di pietà per te! Pietro non comprendeva che per salvare i discepoli era necessaria una testimonianza radicale, in cui l'amore era più importante della vita. Il testo greco non sopporta la traduzione: «Lungi da me, satana!» (cfr Lc 16, 23) come se Gesù avesse mandato via Pietro, mentre voleva richiamarlo al dovere di discepolo perché imparasse a capire che quanto più la vita si dona tanto più ci appartiene. E' un'esaltazione dell'amore col quale tutto diventa divino, e perfino la morte perde il suo carattere di fine e diventa misura dell'amore supremo che trascende il tempo, il limite, e la vita stessa dell'uomo.

La domanda di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» è anche una preghiera che esprime la sua volontà di conoscenza dei disegni segreti del Padre di fronte a una morte inconcepibile! E allora c'è bisogno che il Padre abbia cura di far sapere alla Chiesa al mondo le ragioni di questa morte, che non sono un caso, un destino e neppure la conseguenza dei nostri peccati, perché anche il male ha una sua capacità di dominio. Il Signore Gesù voleva che attraverso la sua morte si comprendesse che l'amore di Dio resta tale anche quando lo rifiutiamo. Questa è la ragione profonda per cui Gesù invita il Padre a manifestare le ragioni che creano le condizioni storiche e religiose della sua morte: sono gli avvenimenti narrati nei vangeli che svelano i segreti di Dio e rendono visibili i benefici dell'inestinguibile amore di Gesù crocifisso per il mondo intero. Quando diciamo che Gesù piange, suda, versa sangue è perché non c'è pianto, spargimento di sangue, fatica umana che non implichi una partecipazione con cui Dio, attraverso Gesù, vuole condividere lo strazio dell'uomo per portare solidarietà e speranza dove la giustizia degli uomini prevede punizione e morte. Anche il salmista nella seconda parte del Salmo 22 ottiene delle risposte: dopo il lamento, le implorazioni di aiuto al versetto 23, hanno inizio le lodi e i ringraziamenti per essere stato esaudito: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'Assemblea. Lodate il Signore...perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.» (cfr Sal 22, 23-25).

Si ricorda che il prossimo incontro di lectio divina si terrà giovedì 12 giugno 2008, alle ore 18.30, nel locale situato sopra l'Archivio Storico delle Porte Sante, ingresso a sinistra della Basilica di San Miniato al Monte.

Notizie dalla Lectio
a cura della Redazione
Comunicato n. 53

martedì 3 giugno 2008

Le pillole di Enrica 2

a cura di Enrica Musio (v. anche qui)

Nel libro di Brunella Bruschi Lune persuase, ho trovato dei bellissimi testi poetici.
Con una scrittura perfetta. Un libro che sembra un laboratorio poetico, dove crescono versi strepitosi, profondi e intensi. Ci comunicano un trasporto di sentimenti e di anima.
Un libro da leggere con tanto sentimento.



Ne La Riviera del Sangue Alessandro Rivali tratta i temi della sua vita, della sua terra, della sua città, Genova, della sua gente, dei luoghi. Sono poesie ben scritte, ma anche con un linguaggio un po’ duro e ferente, con tono molto confessionale. Non si è limitato a esprimere dei sentimenti, ma ha fatto una ricerca poetica molto interessante: ha usato una titolazione molto forte e azzeccata.


Il libro di Stefano Bianchi Le mie scarpe son sporche di sabbia anche d’inverno, contiene poesie semplici, romantiche, moderne e giovanili. Leggendolo ho trovato molti aspetti tipici di Rimini, e anche della Romagna. In queste poesie l’autore riversa paure, nostalgia e delusioni.
Ha cercato di usare anche il dialetto romagnolo. Sono rimasta entusiasta e colpita per la citazioni di Raffaello Baldini, un poeta di Santarcangelo di Romagna che io amo molto.


Nel libro di Sauro Stefani Vita e personaggi nella Santarcangelo dei nostri padri si racconta in forma narrativa e onirica, con stile allegro la gente romagnola: vecchi personaggi esistiti veramente nella “Clementina” Santarcangelo di Romagna. I personaggi con le loro manie, i loro difetti e loro buffe caratteristiche. Ora non ci sono più, ma qui ritornano alla mente, anche a noi giovani santarcangiolesi, che non vogliamo mai conoscere le vecchie tradizioni del paese.
Leggendo questo libro ho “rivisto” personaggi di cui mi parlavano la mia cara nonna e mia madre. Leggendo li ho capiti meglio: Bagnoli il gelataio, la guardia comunale “Splorcia”, l’ortolana Tisbe, Bruto il giornalaio, Burro, la maestra G. (era anche la maestra di mia madre), la Pocia, la Tirabaci, e la Marietta. È bello rivederli in questi racconti. Questo libro fa venire in mente un po’ Tonino Guerra, Federico Fellini e Amarcord, con i suoi strampalati personaggi come la “Gradisca” e altri. Mi viene in mente un passo del film dove si vede il nonno di Titta e c’è la nebbia e dice in dialetto: “Se la mort l'è acsè, te' cul”.

Nel libro Solchi e nodi della bravissima e stimatissima Caterina Camporesi, ho trovato una poetica veramente sublime, che ci parla di depressione, di silenzi, di aspetti molto meditativi, di crolli, ma il tutto è scritto con un linguaggio semplice e con profonda anima sensibile come è lei. È un libro bellissimo e consiglio a tutti di leggerlo.



In Raccolta scritta dal poeta Alberto Mori, ho trovato bellissime poesie, molto moderne, giovanili, ispirate anche alla realtà che circonda l’autore.
Mi è piaciuto anche lo stile di scrittura e la tecnica, lo definirei un po’ linguaggio futuristico; leggendolo mi è venuta in mente la poetica di Marinetti.




Nel libro di Guido Zanobbi In questo bar non consuma nessuno racconta in forma narrativa e semplice avventure e ricordi di tempo passato. Sono i famosi anni '70 di un giovane e di giovani riminesi che si rintanavano in un bar e qui si raccontano le loro avventure e vari ricordi.
Ci sono fatti anche realmente accaduti e vissuti dall’autore e dai suoi amici.
Troviamo foto ricordo, e autobiografiche; foto con la famiglia, con la seicento di casa, foto di spiaggia di Rimini nel 1948, quando, giovane, suonava nei complessini riminesi, le rimpatriate, la foto della squadra di calcio, la foto del servizio militare. Per le nuove generazioni conoscere vecchi racconti tiene vivo il ricordo. Fa bene!

mercoledì 28 maggio 2008

Giovanni Sesto Menghi: Ritrovamenti e scoperte a Longiano 31 mag > 24 lug


Fondazione Tito Balestra Onlus
Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna
Soprintendenza per i beni librari e documentari
Comune di Longiano

Giovanni Sesto Menghi (Rimini 1907 - Longiano 1990) La vita e l’arte. Ritrovamenti e scoperte


Ex chiesa Madonna di Loreto – Castello malatestiano di Longiano (FC)
31 MAGGIO - 24 LUGLIO 2008

Inaugurazione
SABATO 31 MAGGIO 2008 ALLE ORE 17,30


La S.V. è invitata a partecipare


Con il patrocinio di:
Regione dell’Emilia-Romagna
Provincia di Forlì-Cesena
Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena

Con il contributo di:
Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
Banca di Cesena
Hera Luce
Locanda della Luna

Soci onorari sostenitori della fondazione Tito Balestra Onlus:
Consorzio Romagna Energia / Ren Romagna Energia
Costruzioni e impianti S.P.A. C.E.I.S.A.
Gommaria S.P.A.
Isoltema S.P.A.
IVAS S.P.A.
Technogym S.P.A.

Orari: dal martedì alla domenica 10,00-12,00/ 15,00- 19,00
Ingresso (museo e mostra) €.3,00- ridotto €.2,00

Per informazioni

tel. 0547 665850 - 665420 fax 667007

www.fondazionetitobalestra.org e-mail: info@fondazionetitobalestra.org

martedì 27 maggio 2008

Su Roulette balcanica e Congedi balcanici



incipt dalla recensione di Loris Ferri pubbicata su «La Gru», maggio 2008. Leggila tutta qui www.lagru.org


1. Al posto dell’introduzione

«... fare del male non è, in verità, così diabolico quanto… il suo rinominarlo bene. Ciò significa togliere a tutte le morti la loro importanza, capovolgerle leggerle all’inverso… Capovolgere e da dentro abbattere i criteri della verità. E alla fine, nella bocca della verità mettere la menzogna…» (Denis de Rougemont, La parte del diavolo)

Questa è l’epigrafe che Drazan Gunjaca sceglie come porta d’entrata (o forse di non ritorno) al suo dramma: Roulette balcanica (Rimini, Fara 2003)…

«Molti di noi, fino a poco tempo fa, vivevano in una pace che si dava per scontata, come una conquista della civiltà che non era in questione e a cui non c’era alternativa. Molti continuano ancora oggi a vivere nell’inganno che sia così. Ma non lo è. Piano piano stiamo entrando in un nuovo-vecchio mondo, nel quale di scontato ci sono solo le guerre, e per la pace si deve combattere. In ogni momento, in ogni angolo di questo nostro unico pianeta. Solo quando la maggioranza lo capirà, le visioni apocalittiche potranno forse rimanere solo delle visioni, e l’uomo potrà continuare a vivere una vita degna dell’uomo». (Drazan Gunjaca)

2. Nota bio-bibliografica

Drazan Gunjaca è nato nel 1958 a Sinj, dove ha terminato la scuola media. Conclusa l’istruzione militare a Spalato, ha prestato servizio per una decina di anni nell’ex marina militare jugoslava. Si è laureato in Giurisprudenza a Fiume, per poi lasciare l’ex armata popolare jugoslava. Vive e lavora come avvocato a Pola. Nel 2001 è stato pubblicato il romanzo: Congedi balcanici (Fara editore), vincitore del premio internazionale sul tema della pace: Satyagraha 2002, Riccione. Questo suo primo romanzo è stato pubblicato in Germania, Stati Uniti, Bosnia, Australia. Nel 2002 viene alla luce la raccolta di poesie: Quando non ci saro più, e il romanzo: Amore come pena (seguito ideale dei Congedi balcanici). La prima parte di una trilogia sulle guerre balcaniche è A metà strada dal cielo, seguito da I sogni non hanno prezzo e Buona notte, amici miei. Nel 2003 viene pubblicato il dramma: Roulette balcanica (Fara editore).

3. Roulette balcanica

Il titolo, molto suggestivo, da cui trae origine il dramma, anche se non solo di dramma si dovrebbe parlare (appunto Roulette balcanica), rappresenta nell’immaginazione visionaria dei protagonisti, il correlato oggetto stesso della catastrofe irreversibile, a cui Petar, serbo, capitano dell’APJ (Armata Popolare Jugoslava) non può sottrarsi, né sfuggire. Un destino già scritto, sin dalle prime parole del protagonista, che raggiunge l’acme tragica in un finale- turbine dove viene messo in scena l’ineluttabile:

Petar: Hai mai giocato alla Roulette russa?
Mario: Non sono mica matto. Visto la fortuna che ho,
anche se fosse scarica riuscirei a spappolarmi
le cervella.
Petar: E alla Roulette balcanica?
Mario: Cos’è la Roulette balcanica?
Petar: Come quella russa, solo che si fa con la pistola,
quella che ho in mano.
Mario: Sei matto? Per prima cosa la roulette russa è
di per sé un’idiozia, e poi si usa la rivoltella
e non la pistola. Con la pistola sei morto di certo,
non c’è alternativa.
Petar: È quello che ti sto dicendo, la roulette balcanica,
quella senza alternativa.

Ciò che nel testo porta alla materializzazione dell’apocalisse, ha già seminato da tempo, ovvero il proposito del suicidio viene esplicitato da subito, e coincide con l’ineluttabilità della fine come perdita della condizione dignitosa dell’essere umano.
Per questi motivi, non solo di dramma si può parlare. Gunjaca mette in scena una pièce attraverso un racconto dialogico statico, il cui luogo di azione resta sempre un soggiorno di un condominio a Pola, poco arredato mentre il tempo di azione ricade a fine settembre del 1991, verso mezzanotte, in piena guerra balcanica

Ma lo sguardo che l’autore pone, si dilata dall’interno, come chi avesse vissuto in prima linea gli accadimenti (e non può essere altrimenti, dato che l’autore ha servito per dieci anni la Marina Militare); eppure l’inquadratura di tutta la visione, pone un occhio di disincantato sulla realtà, quasi ad indagare il tessuto umano dal quale il dramma prende corpo. Dunque il dramma non è l’opera, quanto la materia trattata. Lo spostamento di significato è tangibile, e si decuplica (si vedranno poi i Congedi balcanici) attraverso un linguaggio mimetico, cui vengono sottoposti i protagonisti del testo, innesco che fonda, pirandellianamente, il carattere costitutivo dei personaggi. Dunque “Creature di sangue caldo e nervi” (Anton Cechov).

(…)

giovedì 22 maggio 2008

Guida pratica all'eternità

È uscito il nuovo libro di Fabrizio Centofanti
scheda del libro in IBS

proponiamo qui sotto la prefazione di Remo Bassini pubblicata in www.guidapraticalleternita.blogspot.com

«Pare di vederli, leggendo. Vanno a capo chino, hanno lo sguardo di chi è solo, disperato, affamato. Sono i personaggi-protagonisti di questi racconti. Sono donne e uomini piccoli ma ingombranti, da buttare nel cassonetto. Da rimuovere. Perché scomodi, a volte puzzano. Andate via, via.
Siete gli “ultimi”, accontentatevi del regno dei cieli.
Non c’è spazio per voi in questo tempo di usa e getta, di computer dell’ultima generazione e di generazioni cresciute tra computer, line e la tivù “dei belli” e dell’effimero.

Ha fatto un lavoro storico e narrativo, don Fabrizio Centofanti, con questi frammenti di disperazioni e speranza.
Il lavoro storico - ma che compete (o così dovrebbe) a ogni intellettuale - è stato quello di annotare fatti e persone, cercandone il cuore, magari nascosto da un cappotto ricuperato chissà dove. Sono storie, queste, più vere del vero, che fanno male anche.
Sono microstorie - che tanto piacerebbero alla scuola delle Annales di Le Goff - che Fabrizio Centofanti ha scritto con tempi e ritmi di una narrazione a volte secca e dura, a volte, invece, vicina al lirismo.
Non ha usato la fantasia, Fabrizio Centofanti, ché la fantasia in certi casi depista e distorce. Ha usato i suoi ricordi, i suoi appunti, perché la memoria, si sa, è capricciosa. Ed eccoli, ora, questi racconti toccanti, che arrivano al lettore, lo commuovono, lo fanno pensare. Ci fanno pensare: ai disperati, certo, ma anche alla speranza; e il trait d’union tra questi due aspetti si chiama don Mario, la cui figura, sebbene mite, caritatevole, francescana, si staglia prepotente in questo mondo, sì, mondo di lacrime, ché è questa la dicitura adatta, giusta.

E ha saputo fondere, Fabrizio Centofanti, in queste sue scritture ri-pescate dalla memoria, le sue due anime: quella di chi vive pensando al Vangelo come un’altra Storia di disperazione e speranza da mettere in pratica, e quella dell’umile testimone che trascrive e racconta. Sono venuti fuori, da questa doppia anima, questi racconti: che trasudano umanità e che ci insegnano. Ci insegnano che “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” non sono solo versi di una canzone di successo.
Perché la dignità “degli ultimi” sia per davvero. E non parole vuote, dell’usa e getta.»

martedì 20 maggio 2008

Cronache boliviane

by Barbara Magalotti



Carissimi, eccomi qua! Finalmente mi prendo un po’ di tempo per scrivervi delle mie sensazioni/emozioni di questa mia quarta volta in Bolivia. E per farlo, son dovuta scappare da La Paz e venire un paio di giorni sul Lago Titikaka, a Copacabana.
Parto subito con l’ultima notizia, perché a dire il vero, ancora mi sento una deficiente per non aver accettato un invito… Sì RAGAZZI! Finalmente qualcuno si era (notare che il tempo è già al passato, COGLIONA CHE SONO!) accorto di me! Scena: Sto mangiando (come sempre!) a quattro ganasce ad un tavolino di un comedor sulle rive del lago, un bel piatto misto carne / verdura / patate fritte / riso, quando si materializza davanti a me l’uomo più bello e solare che i miei occhi avessero mai avuto il piacere di incontrare (moro, atletico, sorridente, simpatico…) per l’esattezza, è lui che mi saluta, perché io ero completamente assorbita dalla qualità delle patate fritte e dal gusto divino della carne che stavo divorando... insomma, mi chiede se voglio dividere con lui la bottiglia della bibita che ha comprato perché per lui è troppa. Come ti chiami, cosa fai, cosa ci fai qui tutta sola: si siede a tavola con me e cominciamo a chiacchierare fitto fitto, e da bravo spagnolo, mi fa un bel po’ di apprezzamenti sulla mia simpatia, sul mio carattere, sull’impegno sociale, ecc. ecc. Un sorriso, da far svenire anche la signorina Rottermeier! Ah! Che bello!! Forse un po’ troppo giovane (credo sia sulla trentina), ma CHISSENEFREGA!!! Mi invita ad andare con lui all’Isola del Sole, ma io CRETINA gli dico di no, perché domani devo tornare a La Paz, per un paio di impegni già presi… lui insiste non poco, e anzi, fa tutte le ipotesi del caso: “dai rimani stanotte all’Isola del Sole, se parti domattina presto ce la fai a essere a La Paz per il primo pomeriggio. Magari riprendo la barca insieme a te” o qualcosa del genere… Gli ormoni mi tiravano da una parte, ma la zitellaggine, purtroppo, mi ha lasciata sulla riva a salutarlo… MA PERCHÉ??? Va beh, pace.



Juan Pablo è scomparso così come è apparso. Però mi ha lasciato un bel ricordo, tipo che mi avrà salutata con baci e abbracci non so quante volte, e continuava a dire che era felice di avermi consciuta, che “me caes muy bien”, “incantado de verdad” “que pena que no vengas conmigo”, che ero stupida a non andare con lui, che ci saremmo divertiti… è dura la zitellaggine e la paura che porta con sé!
Chiudiamo la parentesi ormonale…
Beh, ragazzi, è la prima volta che mi trovo in Bolivia in missione per una ONG, e devo dire che la responsabilita’ che ha comportato è stata stimolante, ma chiaramente dovendo portare dei risultati (in così poco tempo) ho dovuto veramente fare un tour de force di appuntamenti e incontri istituzionali abbastanza faticosi. Ho proposto l’idea di progetto alle istituzioni locali (Régimen Penitenciario, Ministero de Justicia, Istituto Penal de San Pedro, Alcaldía de La Paz) e anche alle organizzazioni che in qualche modo si occupano dei diritti umani dei detenuti e dei bambini (in particolare Defensa Niños y Niñas Internacional, Pastoral Penitenciaria Católica de Bolivia). Devo dire che ho ricevuto risposte molto positive e sembra che stiano tutti aspettando che il progetto prenda piede e possiamo collaborare! Questa è stata la piu’ grande soddisfazione! Sarebbe proprio il mio sogno che si realizza… Ojalá che sia così!
La Paz è sempre La Paz, e sento di amarla sempre di più, con sempre più consapevolezza dei limiti, delle problematiche che presenta e delle energie mie personali che devo mettere in gioco.
Ci sono state un paio di emergenze in carcere per le quali le educatrici del centro educativo mi hanno chiamata allarmate. La più pesante è stata che un detenuto ha rivolto attenzioni un po’ troppo intime a una ragazzina che vive in carcere. Sono volata al San Pedro e ho subito cercato Alejandro. Povero diavolo… in realtà lui non l’ha toccata con un dito, ma sembra che tra i due si sia instaurata una affettuosa amicizia. Lei 15 anni e lui 35! Abbiamo parlato per ore, e sicuramente, il nodo della questione è che lui ha una vorágine affettiva che ha le sue origini fin dall’infanzia (e di questo già ne ero a conoscenza). Abbandonato dai genitori, sballottato da un parente all’altro, trattato come un animale, picchiato a sangue per motivi futili, fino all’età di 17 anni, quando se ne è andato in cerca della sua vita, ma con scarsi risultati: cattive compagnie, fallimenti lavorativi, microcriminalità, piccoli furti, fino alla sua attuale detenzione (è dentro da piu’ di 5 anni) che non si sa quanto durerà, visto che non ha nessun familiare che si occupa dei contatti con il suo avvocato difensore. Le uniche persone che ha conosciuto in vita sua che si sono preoccupate di lui siamo Padre Filippo ed io… Insomma, ci siamo trovati a piangere tutti e due. L’affetto che cerca in questa ragazzina deriva chiaramente dal bisogno, il desiderio di essere amato e di amare qualcuno, e una ragazzina forse non ha ancora pregiudizi… che tristezza! Ho cercato di far capire a Alejandro che il suo bisogno di affetto è prima di tutto un bisogno di aiuto, di sostengo, e che non si deve vergognare a chiederlo: allo psicologo, a Padre Filippo, a me quando ci sono, ai volontari della Pastoral Penitenciaria che vanno quotidianmente in carcere. Ci siamo abbracciati a lungo con le lacrime agli occhi.
Una sera José è venuto a cena da me, e anche in quell’occasione sono spuntati particolari della sua infanzia che mi hanno scossa e commossa profondamente. Anche lui. orfano di madre a 4 anni, è stato sballottato da un parente all’altro fino ai suoi 16 anni, diviso dai suoi fratelli, anche loro ospiti in famiglie diverse. Quando ha rivisto suo padre, a 17 anni, lui si era rifatto una famiglia, José non gli si è rivoltato contro, è riuscito solo a chiedergli di volergli bene… Abbiamo pianto molto. E ancora una volta non posso che ringraziare per aver avuto una famiglia, per aver vissuto insieme ai miei fratelli e aver potuto crescere vicino ai miei genitori.
Sabato 8 maggio sono stata invitata presso una scuola superiore per parlare delle problemátiche delle carceri in Bolivia. Ero molto emozionata, perché era la prima volta che parlavo davanti a degli studenti (e in spagnolo poi!)! I ragazzi erano tutti lì con il quaderno e le penne, nella classica disposizione scolastica (studenti in file di banchi e io in cáttedra davanti a loro)! Ho subito chiesto di metterci in cerchio. L’incontro è andato molto bene e i ragazzi erano assolutamente increduli quando gli raccontavo della vita in carcere e mi hanno riempito di domande, curiosi di capire la realtà dei detenuti e dei bambini. Ho chiesto un feed-back, con le loro idee e proposte per la risoluzione della problemática infantile in carcere. E sono venute fuori idee molto interessanti, come quella di creare dei centri educativi per questi bambini, presso i quali lavorino proprio le mamme, mogli dei detenuti. La vostra Fantozzina non poteva finire che in bellezza quest’incontro. Verso la conclusione, volevo appuntare alcune cose sulla lavagna. Prima stavo per scrivere col pennarello indelebile sul telo bianco che serve per le proiezioni e i ragazzi hanno gridato “NOOOOOOO!” “NON E’ QUELLA LA LAVAGNA” (risate generali), poi mentre finalmente scrivevo sulla lavagna giusta, questa cade rovinosamente per terra. Al che mi sono unita la coro di risate a squarciagola che ormai avevano invaso l’aula! Sono sempre la solita!
Che dire della salute? Di nuovo problemi con la pelle! Prurito, pizzichi, bugni strani emergono dalle gambe e dalle braccia. Probabilmente pulci. Padre Filippo mi ha soprannominata “Pulcinella”! Sono andata a sentire da due dermatologi, ma siccome nessuno dei due mi ha convinta, non ho fatto nulla di quello che mi hanno detto: soprattutto non mangiare quasi niente per una settimana, per disintossicarmi. Insomma, se erano pulci, perché mai non avrei dovuto mangiare e bere??? Ho continuato la mia dieta ipercalorica e alcolica, come se niente fosse. Comunque adesso il problema è rientrato per fortuna! Padre Filippo sostiene che la medicina per tutto è il vino…
Sono andata a Santa Cruz qualche giorno, per andare a visitare il cercere di Palmasola, sezione maschile e femminile e vedere la possibilità di allargare il progetto anche qui. Presso questo carcere vivono circa 850 bambini! La prima impressione è che questo carcere è molto più vivibile del San Pedro: casine basse, vie molto più larghe, costruzioni nuove e ben tenute, pulite. La sezione maschile ospita circa 2200 detenuti, mentre in quella femminile ci sono più di 300 detenute. Ma la prima impressione viene subito rimpiazzata dalla seconda: una corruzione incredibile alla luce del sole. Per entrare a visitare i detenuti, i parenti pagano 5 pesos ai poliziotti. Terribile, inaudito. Parlo con le volontarie della Pastoral Penitenciaria del Palmasola, e mi dicono che addirittura succede che i poliziotti entrano nella sezione femminile di notte e… lascio alla vostra fervida immaginazione. VOMITEVOLE, DISGUSTOSO. Nel padiglione maschile faccio la conoscenza di un italiano (l’unico in Palmasola) che è dentro per narcotráffico (e per cosa sennò??), che mi fa da scorta per il giro di visita della sezione. Il carcere è inmenso, sembra veramente un paese. C’è anche una campo da calcio, locali con musica, karaoke! Il tipo è veramente una sagoma: un romano trapiantato in Bolivia, con l’aria del “capo” (“Ahooo! Qua comanno io!”), caminata alla “Al Capone”, stivaletti di pelle intarsiati, jeans e camicia aperta fino all’ombelico con l’immancabile catena d’oro al collo, e braccialetto della Roma al polso!!! Che soggetto!!! Se potevo portare la machina fotografica dentro, avrei voluto fargli una foto per farvelo vedere!! Altro che l’esotismo dei campesinos dell’Altipiano delle Ande!!!
Brutta aria dalle parti di Santa Cruz: un razzismo da Apartheid nei confronti degli abitanti dell’Altipiano, di La Paz (l’appellativo per i paceños è “Collas de mierda”, tanto per darvi un’idea). Il dipartimento ha appena votato al refendum per l’autonomia e insieme all’autonomia si va verso la costituzione di uno statuto separato dalla costituzione boliviana. Spero veramente che le cose si rimettano a posto, ma la vedo dura! A me, che guardo le cose da “fuori”, rimane una gran tristezza, un senso di impotenza e una ferita al mio senso di “cittadina del mondo” che crede nella mediazione, nel dialogo tra “le differenze”.



E adesso sono qui a Copacabana, a respirare l’aria del Lago Sagrado, a fare passeggiate e camminate rigeneranti. Ero veramente stanca e avevo bisogno di “riprendermi” un po’. Sono arrivata di nuovo in cima al Monte Calvario con la lingua ai piedi! Volevo scattare belle foto da in cima al monte, aspettare la luce del tramonto, per catturare l’essenza di grandiosità di questo posto… ma dopo qualche foto, la batteria della mia macchina fotografica è morta!!! L’ennesima fantozzianata della vostra Barbaridad! Ho messo sotto carica la batteria nell’hostal.
Mi accontenterò di vedere il tramonto dalle rive, magari dal tavolino del comedor, dove stamattina ho avuto la dolce visione di Juan Pablo… e magari, davanti a una bella “trucha rosada con papas fritas”, fantasticherò di come sarebbe stata la Isla del Sol in buona compagnia… MALEDETTA ZITELLAGINE!!!
Vi abbraccio forte forte con tutto il bene che posso, con l’augurio di pace e serenità.
A presto!
Barbaridad

lunedì 19 maggio 2008

Interviste in via Cialdini

Grato della lettura:

Intervista all’attrice Mascia Musy


Intervista alla scrittrice Teresa Armenti


Cordiali Saluti
Michele Luongo Antonella Iozzo

Visita il sito: www.viacialdini.it - www.bluarte.it

mercoledì 14 maggio 2008

Le pillole di Enrica

brevissime e semplici note di lettura di Enrica Musio

Anno Santo 1975 di Nicola Di Paolo narra in forma di cronaca, ma anche come sorta di diario, un pellegrinaggio di alcuni ragazzini di una parrocchia lombarda, quando avevano la bella età di anni 17, tra Milano a Roma: si raccontano le loro divertenti avventure e anche i disagi del pellegrinaggio. È un bel libro: ci fa vedere la storia di quegli anni molto critici, gli anni di piombo, quando in tutta Italia impera una violenza troppo assurda segnata dalle Brigate Rosse, dalle stragi di Piazza Fontana, dal rapimento e dall’uccisione dell’on. Aldo Moro.
È un libro che per i giovani è storia.


Nel libro Storie con un altro finale, Barbara Rosenberg ci racconta alcune favole moderne, adatte anche per chi è già grande. Un libro umoristico.
Belle anche le illustrazioni di Max Parazzini, molto moderne, una sorta di arte pop.
Un testo che si legge scorrevolmente: definerei Barbara Rosenberg “la nuova Grimm italiana”.
In fondo, è sempre bello, anche da grandi, restare degli eterni bambini.



La Merca di Chiara Daino è un libro dal linguaggio molto duro e forte, anche riguardo al tema: l’anoressia. L’autrice la considera come un marchio duro e profondo che assilla l'esistenza. Un tema che non si può capire, se non si è colpiti, cosa si prova.
È un libro che fa riflettere e a tratti spaventa.
L’autrice non accetta alcun pietismo; è giustissimo che chi vive questo dramma non debba essere compatito, ma aiutato a trovare un vero equilibrio e un aiuto psicologico che lo porti alla completa guarigione.
Un consiglio: è un dovere leggere questo libro perché l'anoressia è un dramma in cui cascano troppe ragazzine di oggi. Il mito delle modelle supermagre ha cambiato i parametri della bellezza e queste nostre giovani donne non accettano più il loro corpo tanto da arrivare a gesti estremi.

Ne La signora Irma e le nuvole di Gaetano Failla, troviamo una serie di bei racconti e di belle storie di vita anche autobiografiche, racconti della terra natia dell’autore: la bella Calabria e Scalea. L’autore ha una scrittura elegante e visionaria, un moderno Federico Fellini tipo Amarcord.
È un libro avvolgente e delicato. Interessante l’idea dell’autore di usare anche il suo nome indiano Subhaga.





Il libro di Chiara De Luca La Mina (stra)vagante racconta con stile moderno e avvincente le avventure dell’autrice con una Vespa che lei ha chiamato “la Mina”. Una Vespa ormai stufa di partire che spesso abbandona la sua padrona per la strada.
Mi sono molto rispecchiata nell’autrice: anch'io considero la mia bicicletta una compagna, e la chiamo “la Romagna”. Con lei ho avventure simili a quelle dell’autrice De Luca; anche la mia bici ha avuto qualche noia, poi si è “aggiustata”. Ancora non è morta e gira sempre con me, sarei triste senza la mia compagna bicicletta.

lunedì 5 maggio 2008

venerdì 18 aprile 2008