lunedì 1 settembre 2025

Storie ordinarie di emigrati qualsiasi

di Vincenzo Capodiferro


Questo racconto porta alla ribalta il tema della storica emigrazione che spesso si risolveva in gialli, più o meno irrisolti.


Dal Discorso del 21 dicembre del 1906, del parlamentare Napoleone Colajanni: «Vengo alle raccomandazioni e poi alle interrogazioni. La prima raccomandazione che rivolgo all’onorevole Ministro è che si voglia intendere col Ministro dell’Interno, affinché venga esercitata una più rigorosa sorveglianza, una sorveglianza rigorosissima nelle stazioni di confine, specialmente nelle stazioni di Como, di Domodossola e di Porto Ceresio, donde parte una emigrazione clandestina che appartiene a quella categoria di persone che dagli Stati Uniti vengono respinte. Questi disgraziati, dopo che hanno venduto la casetta e il campicello, dopo che si sono rovinati, ritornano in Italia in una condizione veramente squallida…». I tempi non sono cambiati. L’emigrazione si è convertita in immigrazione. E questa piaga comporta, come sottolineava sempre il deputato, sempre lo stesso dramma: «Io non mi preoccuperei soverchiamente se partissero contemporaneamente, vecchi, donne e fanciulli, ma viceversa avviene che se ne va il fior fiore della popolazione e rimangono i vecchi, i degenerati ed i fanciulli». Prima da quelle stazioni passavano gli ebrei, per salvarsi dalle persecuzioni antirazziali. Poi… 

C’è sempre qualcuno che passa all’altro lato. Il 6 aprile del 1910, viene ritrovato un cadavere in inspiegabili condizioni. Siamo a Porto Ceresio, incantevole borgo varesino, che degrada dolcemente sul lago Ceresio. Il lago, specchio della natura, assume varie sfumature di colori che vanno dal topazio allo zaffiro, dallo smeraldo all’agata, a seconda dell’ambiente circostante. 


Occhio del cielo ti vedo,

or gaio al serenato cielo,

or triste al nubiloso velo

coprente e m’assiedo.


Ora calmo, ora ti inquieti.

Ma mai empietà ti coglie, 

onda solitaria par che mieti

un campo di grano a foglie.


Oscar si dilettava a poetare, ma quella volta l’onda era bagnata di sangue. Il sangue colava dalla ferita della vittima: un giovane, nudo, legato di dietro alle mani. La scena era raccapricciante, richiamava la biblica prima piaga d’Egitto: «Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Prendi il tuo bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni, e su tutte le loro raccolte di acqua; diventino sangue, e ci sia sangue in tutto il paese d'Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!”». 


Ingravidi di fresco olore 

le nari. Ora le grinzose 

mani acciuffano di colore

le labili piatte sassose 


e le tirano a danzare

sui tuoi fluenti crini,

o Ceresio. 


Si tuffano

tra le bagnate come 

tue e si ingarbugliano.

E pian piano scendono 

le petrose ballerine, 

continuando

a volteggiare 

nell’acqua molle

fino al fondo,

mentre lo sciacquio ti dice

spumee parole.


Oscar Golia, commissario di polizia, chiamato da Milano - Questura. Sede di San Fedele - passava ore ed ore a contemplare quello specchio d’acqua a cercare risposte, tra una nuvoletta e l’altra di fumo del suo toscanello, sbruffata in alto, seguendo poi con l’occhio tutte le vane conformazioni che assumeva l’evaporazione. Andava sempre con l’impermeabile bruno e la coppola di velluto Troncarelli. Si vestiva in maniera bizzarra, coi calzoni alla bavarese, i tiranti e il gilet marrone. Era stato chiamato a risolvere un caso intricato. Era uno di quei casi di emigrati, uno dei tanti, che volevano subito cassare per anonimato, come avevano fatto sempre, ma quella volta non potevano farlo, perché i giornali ne parlavano e l’opinione pubblica rimbrottava, altrimenti sarebbe passato inosservato. Oscar era molto giovane - 25 anni - inesperto, ma intelligente. Aveva frequentato la Scuola Militare Teulié. La sua famiglia era di origini avellinesi. Erano emigrati a Milano sulla scia della seconda rivoluzione industriale, periodo di rinnovamento economico e sociale. L’Italia dopo la crisi di fine secolo si slancia in un solido sviluppo economico. Si rafforza la struttura industriale, soprattutto al Nord, con l’incremento dei settori metallurgico e tessile. L’industria cotoniera prevale su quella tradizionale della seta. La seta non rendeva più era troppo costosa e ci rimangono solo i gelsi, senza bachi! Si sviluppa il settore elettrico. Come emblema di questo sviluppo industriale italiano ci basti ricordare il binomio Agnelli-Pirelli (1872-1899). Con la grande depressione economica del 1873-1896, che anticipa quella 1929, di fronte al dilagare della questione sociale, tutta l’Europa ed il blocco di potere, costituito dalle forze di governo, gli industriali e gli agrari, assume un atteggiamento autoritario. Crispi, per un decennio, dal 1897, conduce una politica repressiva. Il tramonto della borghesia liberale passa attraverso il colonialismo. E poi lo scontro tra gli imperialismi, accompagnato dalle passioni nazionalistiche, andrà a costituire una buona miscela esplosiva, decisiva allo scoppio del 1915-1918. Infine, giunge il buongoverno di Giolitti che imperterrito domina la scena politica, instaurando una vera e propria dittatura parlamentare, anche se, come scrive Salvatorelli: «Nessuno dei contrassegni di una dittatura si riscontra nella condotta politico-governativa di Giolitti, i cui connotati effettivi sono tutti di segno contrario. A cominciare dal 1892 Giolitti ha sempre governato sulla base di maggioranze nette e spesso strabocchevoli; e ha lasciato il potere prima ancora che le istituzioni parlamentari contrarie in incubazione sbocciassero in un voto esplicito alle Camere. Egli lasciò sempre agli avversari politici la libertà consentita dalle leggi, e forse anche di più, rispettando il giuoco parlamentare, creando e mantenendo l’atmosfera di una libera politica. Infatti, l’opposizione contro di lui non solo in parlamento, ma anche fuori e specialmente nella stampa, fu aspra fino ai limiti, e oltre, della demagogia e dell’isterismo». 

Torniamo al nostro caso: c’era un uomo legato alle mani di dietro, tutto nudo, giovane, le sue budella si trovavano avvolte ad un albero, in una località nascosta, uno dei meandri del lago di Lugano. Una leggenda antica vuole che i pescatori del porto, impauriti da un mostro che dominava il lago e pretendeva ogni anno in sacrificio una fanciulla del posto, si recassero dal gigante Ceraso, che abitava in una grotta ai piedi del Monte San Giorgio. Ceraso sfidò il kraken immane del bacino e lo rinchiuse nelle viscere della terra, donde il mostro, sbraitando, fece sorgere montagne e contorcere le rive del lago. Infatti, nella lingua dei Celti “Ceresio” significa contorto. 

Quell’omicidio ti faceva subito guizzare a un rito macabro. Qualcuno aveva squartato nella parte inferiore dell’addome il giovane, aveva preso un capo dell’intestino e l’aveva legato ad un ramo dell’albero, evidentemente poi la vittima era stata costretta a girare attorno all’albero fino al completo dissanguamento. Mancava la parte dei genitali ed un particolare: nella bocca recava avvolto attorno alla lingua, oramai esangue, un anello d’oro. Questi indizi facevano riflettere il giovane commissario. 

Dopo vari interrogatori, fatti agli immigrati del posto, si risale finalmente all’identità della vittima. Molti della Valceresio si recavano nelle Americhe in cerca di fortuna. La maggior parte erano valenti artigiani, scultori, picasass, come li chiamano da quelle parti, muratori, mastri don Gesualdo. Valceresio significa valle dei ciliegi. Ce n’erano tanti in quei grovigli, orme dell’era glaciale, coi fiori delicati, attenti a captare la vista dei passanti. Nell’apogeo della seconda rivoluzione industriale, migliaia di scalpellini lombardi, di tagliapietre, si erano recati negli Stati Uniti. La malattia del picasass è la silicosi, infermità polmonare provocata dall’ansito di polveri sottili. Di quel morbo era morto l’artista Giuseppe Grandi di Valganna. Eppure, durante l’epidemia della spagnola, che da lì a poco imperverserà in tutta Europa, si salvano molti muratori, perché avevano a che fare con la calce, disinfettante naturale. Per preparare la calce c’era tutta una procedura: si mettevano a cuocere le maestose pietre di calcare nella fornace e poi si sgretolavano come se si pestasse il sale. 

Ta… ta… ta… ta… ta… ta… ta. Risuonava il tacheografo, o cembalo scrivano.

Identità. 

Nome: ALFREDO; cognome: BIANCHI; nato a: Porto Ceresio il 7 novembre 1887, residente… incensurato… nome corrente: Alfred (americanizzato)… 

Annotavano gli scrivani al Municipio, innanzi al commissario Golia. Chi lo riconosce è il fratello Gustavo Bianchi, nato a Porto Ceresio il 7 novembre del 1887. 

Era un fratello gemello che somigliava tantissimo a lui. Erano omozigoti. Nome americanizzato: Gustav…

Viene fermato un mezzo pazzo, che soffriva di alcoolismo cronico, un tal Bossi Igino. Litigava spesso con gli emigranti ed era venuto più volte alle mani con Alfred. L’avevano sentito minacciare il giovane al Molino di Cuasso, dove si ubriacavano:

– Io ti ammazzo! Ti ammazzo!

Oscar interroga a fondo Bossi, ma non trova in lui nessuna macchia. Non c’è il movente. Il movente fa l’omicidio. Questo aveva imparato in tanti anni di formazione. Avevano litigato per un bicchiere di vino. Giocavano a carte. Nel gioco “Padrone e sotto”, che era stato importato dagli immigrati del sud, capitava che chi vinceva era costretto sempre a bere, fino alla rotta di collo, mentre chi perdeva rimaneva senza un goccio. Chi rimaneva senza si diceva che fosse «fatto all’olmo». O «olmo secco,» quando non ne assaggiava neppure un goccio. Il vino fa brutti scherzi: o ti rende più docile, o più aggressivo, dipende dal carattere, oltre ad essere una potente macchina della verità (in vino veritas). Oscar era convinto che Igino non avesse a che fare con l’omicidio, ma lo teneva in cella per precauzione e così con calma poteva muoversi e fare le ricerche necessarie. 

Oscar aveva intuito benissimo che si trattasse di un omicidio a sfondo sessuale. Diversi elementi riconducevano a questa supposizione: il fallo estirpato e scomparso, l’anello d’oro attaccato alla lingua. Già nella sua testa cominciava a costruire varie ipotesi. Sicuramente una fidanzata, o un’amante era coinvolta. Dopo tante indagini riesce a scoprire la morosa. Si chiamava Gigliola Moiraghi: una giovane avvenente, bruna, formosa, sulla ventina. Oscar comincia a mettersi alle calcagna di questa ragazza. Faceva un po’ come avrebbe in altri tempi fatto il tenente Colombo, della celebre serie televisiva: usciva ed entrava, usciva poi tornava. Tanto che quelli del posto, soprattutto gli immigrati del sud lo chiameranno «ienz e tras»! cioè, “esci ed entra”. Era il nome che davano ai magazzinieri che entravano ed uscivano dai fondachi per caricare e scaricare la roba. 

Oscar scopre che Gigliola di nascosto si vede con Gustav, fratello gemello di Alfred. Poi conosce un amico intimo di Alfred, che si chiamava Gabriele Coscia, detto Gabriel. Chi andava in America e poi tornava, accorciava il nome, vuoi per moda, vuoi, per adattarsi a quei paesi. Indi scopre che quel tipo di omicidio, in cui la vittima sventrata con le budella appese ad un albero era costretta a girare attorno al tronco fino al completo dissanguamento - una morte atroce - era un preciso rituale riservato ai briganti traditori, o ai manutengoli che avevano parlato, un rituale che proveniva dalle aree del brigantaggio del sud d’Italia. La famiglia di Gigliola proveniva dal sud, da Tortora, in Calabria. 

Si trattava di un delitto di gelosia, ma da sola Gigliola non poteva aver commesso un tale atroce ed efferato crimine. Qualcuno l’aveva aiutata. Chi poteva essere? La madre, il padre, qualche amico? 

Gabriel ce l’aveva contro Gustav:

– Maledetto! L’ha ucciso lui, ne sono convinto, per gelosia. Ha sempre odiato suo fratello. Quando è partito per l’America ha cominciato a fare la corte a Gigliola. Data la sua somiglianza col suo amato Alfred. E poi Alfred… Alfred… Glielo avevo detto di stare attento! Si è andato a mettere con un’americana… Gigliola se l’è presa tantissimo!

Oscar ascolta accendendo il suo toscanello e sospirando in silenzio e intanto aveva acceso un’altra lampadina, quella dell’ingegno, che il buon Dio aveva donato a chiunque, ma che non tutti sapevano usare. Bisognava trovare la sua promessa sposa americana. Facendo ulteriori ricerche scopre tramite gli immigrati italiani che la sua amante è Carol Swetking di origine germanica e residente a Boston. Si mette in collegamento, tramite telegrafo, con la polizia americana e viene rintracciata. Carol aveva sposato effettivamente Alfred già da un anno, il 13 giugno del 1909 e aveva una figliola neonata, figlia naturalmente di Alfred. Quando Carol sa della morte dell’amato scoppia a piangere. Alfred aveva lavorato come scalpellino a Boston. Aveva acquisito così un permesso per stare in America, ma era tornato momentaneamente a casa per andare a trovare la madre che non stava bene. Conservava ancora una lettera in italiano, scritta da Gustav, in cui si invitava il fratello a rientrare, perché la madre era in fin di vita. In effetti la madre Cerasia Gelsomina stava in piena salute, perché avrebbero dovuto chiamare il figlio? La mente di Oscar cominciava a rimuginare. 

Sicuramente Alfred era fidanzato di Gigliola, ma parte per l’America in cerca di fortuna, poi lo raggiunge il fratello Gustav. Vengono respinti, ma Alfred si innamora di Carol, una ragazza americana e la sposa, sperando così di avere la cittadinanza anche e rimanere a Boston. Viene invitato a rientrare, con una finzione della malattia della madre. Arriva a Porto Ceresio, dove la famiglia si è adagiata, nella speranza di passare in Svizzera e poi in Germania, visto che il sogno d’America era svanito. A questo punto Alfred era stato invitato a sposare Gigliola, ma egli non vuole, anche per convenienza, per stare in America, dove c’era lavoro e si prospettava un futuro rigoglioso. D'altronde erano solo fidanzati. E chissà se non le avesse promesso di darle in sposa il fratello Gustav? O per l’intanto Gustav non si fosse innamorato di lei? Allora per gelosia Gigliola comincia a meditare di uccidere l’amato, che non può più avere in quanto ha sposato un’altra e l’ha tradito. Però da sola? No! Qualcuno avrebbe dovuto aiutarla. La logica dei delitti è precisa e perfetta come un orologio svizzero. Tutto si spiega, anche i meandri oscuri dell’inconscio, delle emozioni, hanno una loro logica, sebbene sempre non chiara a noi. I gemelli o si amano o si odiano, ma in effetti, come afferma il filosofo Max Sceler: «Non si può amare senza aver prima odiato!». Gigliola, per disperazione, saputo del matrimonio di Alfred, si era messa con Gustav, il quale, respinto dagli USA, era tornato in Italia. D'altronde si erano conosciuti là, in America e di là erano giunti in Italia, ma non erano tornati al sud, e assieme agli emigrati lombardi erano giunti a Porto Ceresio. Per ironia della sorte Cerasia significa terra dei ciliegi. Il ciliegio torna con la Valceresio. Però con chi erano giunti a Porto Ceresio?

Chi era il padre? Guglielmo Moiraghi, di origine di Porto Ceresio, aveva sposato Cerasia Gelsomina ed era morto sul lavoro. Faceva il picasass. Probabilmente era morto giovane di silicosi, come tanti altri picasass. A quei tempi i matrimoni tra sud e nord erano rari. Moiraghi lavorava per una ditta che aveva cantieri anche al sud, la Bertoni. Aveva conosciuto la bella madre di Gigliola, era venuti al Nord e si erano sistemati a Porto Ceresio già dal 1880, quando erano nati i gemelli.

Fin qui tutto quadrava. Ad aiutare l’omicida era stata sicuramente la madre, o qualche amico. Ma chi? Gabriel? 

– No!

Pensava Oscar. Poi gli viene un lampo di genio. 

– È stato il fratello. Fratricidio!

Come dimostrarlo? Non l’avrebbero mai parlato. Igino era stato incastrato con la storiella dalla lite. Chi l’avrebbe mai creduto? Un ubriacone? Bisognava trovare uno stratagemma per farli cadere. Non era facile. 

Alla fine, il giovane Oscar ha in mente una trovata altrettanto geniale. Chiama l’amico Gabriel e lo manda da Gustav per minacciarlo in segreto. Gabriel va:

– Ehi! Io so che sei stato tu ad uccidere il povero Alfred. Ho una prova inconfutabile che incastra sicuramente quella sgualdrina di Gigliola. Ha lasciato l’anello in bocca. Ma quell’anello reca sicuramente il sigillo di orafo. Io ho l’altro anello, quello di Alfred, che mi aveva donato. Erano due fabbricati in oro puro da mastro Oliviero Bacher di Induno. C’è il suo sigillo! L’avete messo in bocca ad Alfred. E poi dove è finito il suo fallo? Certamente l’avrete nascosto voi da qualche parte! Domattina io vado dal commissario Golia e dico tutto.

– Aspetta!? Ma che dici?

Faceva Gustav sbigottito. Poi preso dall’ira lo minaccia:

– Io ti ammazzo sa! Ti ammazzo!

E gli mette le mani al collo che quasi lo strozza. Gabriel riesce a liberarsi e a fuggire, mentire il provvido commissario osserva da lontano. La trappola funziona. Era tutto inventato. Gustav parla con Gigliola, non sapeva dell’anello.

– Ma come ti è venuto in mente di lasciare un anello d’oro in bocca ad Alfred?

– Scusa, amore mio!

Entra in azione Oscar. Si traveste da Gabriel e va a casa sua. Oscar aveva perso i genitori ed abitava da solo in una casetta in riva al lago. I suoi facevano i barcaioli e vivevano anche di pesca. Di notte, alle ore 2.13, sente scassinare la porta. Come volevasi dimostrare. Era Gustav: 

– Sei venuto per uccidermi?

Oscar punta la rivoltella sul petto di Gustav. E poi lo smaschera. Gustav rivela tutto. Era stato proprio lui! Insieme a Gelsomina. Il caso era risolto. Vengono arrestati Gigliola, la madre e Gustav. Dopo due mesi, viene celebrato un clamoroso processo al tribunale di Como e vengono emanate le sentenze: per Gustav ergastolo, per la madre venti anni di carcere, per Giliola, trent’anni. Gigliola si finge pazza e vien rinchiusa nel manicomio san martino di Como.

Il giovane Oscar aveva risolto l’intricato caso. L’opinione pubblica è messa a tacere. Nessuno oramai più ricorda: tutti questi drammi vanno a finire nella voragine tenebrosa ed infernale dell’inconscio collettivo. 

Oscar torna a Milano. Ma dopo qualche mese vien di nuovo richiamato. Gigliola era stata ritrovata morta, strangolata nella sua stanza del manicomio. Beh! In effetti Carol aveva inviato un sicario o, meglio, uno spietato immigrato, Maniero Giovanni, detto Jann, che era suo amico a regolare i conti. Questa era un’altra storia. Gustav riesce a evadere dal carcere di San Donnino a Como e fugge in America ed indovinate chi va a trovare? Carol. E si sposa con lei. Dopo tante peripezie il commissario Golia li riesce a ritrovare in America. Gustav si era dato per morto. Era riuscito, attraverso la Svizzera, fingendosi macchinista dei treni a giungere in Inghilterra, ad imbarcarsi come clandestino nel famoso Titanic e nell’affondamento, quel fatidico 15 aprile del 1912, era a stento riuscito a salvarsi, ma aveva finto di morire. Aveva cambiato identità, prendendo un documento di un naufrago che era morto e gli rassomigliava. 

Quando Oscar riesce a trovarli, in un viaggio a Boston, sotto mentite spoglie, li smaschera di nuovo, ma li lascia vivere. Fa finta di non aver trovato nessuno. Gustav e Carol, oltre a crescere la figliola di Alfred, Gelsomina junior, come loro figlia, hanno un’altra figlia, che viene chiamata Gigliola, in omaggio all’amante morta. Carol che aveva inviato il sicario per uccidere la rivale in amore non riconosce subito Gustav e crede che sia il fantasma di Alfred. Erano gemelli e si rassomigliavano tanto, anche se Carol aveva conosciuto pure Gustav e paradossalmente si era innamorata di lui, prima di sposarsi con Alfred. Gustav si scopre. Carol lo perdona e lo ama. Così si risolve il caso misterioso del delitto di Porto Ceresio affidato al giovane commissario Golia. 

Ecco un’altra poesia di Oscar, sul lago di Lugano:


Alba


Le ultime stelle si smorzano

nel ciel di smeraldo 

che si frastorna con l’onda

tranquilla.


Si leva un denso vapore

ai primi rai.


Due pescatori annunziano

il nascente dì. 

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