giovedì 7 gennaio 2010

Astamblàm

di Armando Conti




            Astamblàm
            femini cutàn
            Gali gali gan
            Sticche stuc
            Maringut

Chi non l’ha mai sentita, alzi la mano (nella platea ideale, nessuna mano si alza). Allora, alzi la mano chi non l’ha mai recitata (qui qualcuno esita, fa per alzare la mano ma si guarda intorno furtivo e decide di tenerla giù). Bene, di cosa si tratta? Brusìo e sorrisi. è evidente, tutti lo sanno che è una “conta” e forse qualcuno – magari proprio uno di quelli che prima avevano esitato – si rivede ancora nel cerchio, proprio nell’attimo in cui la terzultima o la penultima sillaba è passata: stavolta la sorte l’ha favorito, toccherà a un altro “stare sotto” (che poi spesso sia chi guida la conta a decidere in vece della sorte, e faccia in modo che l’ultima sillaba cada sul predestinato, alcuni lo ignoravano e gli altri facevano finta di ignorarlo; anche questa, in fondo, è una regola del gioco).
Insomma, una di quelle cose che rimangono nella memoria. Un breve “giro” nella Rete lo conferma: uno si lamenta di essersi dimenticato “L’infinito” di Leopardi ma di ricordare benissimo questa filastrocca; un’altra si è sempre chiesta se i versi della conta significhino qualcosa e arriva a promettere una cena a chi saprà tradurglieli. Sempre la Rete testimonia della sua diffusione, almeno nel Nord Italia (ma solo nel Nord?), e dà notizia di una parente francese molto stretta (una sorella, direi) che, in una delle sue varianti, recita: Am stram gram/
 Pique et pique et colagram
/ Bourre et bourre et rataplam/
 Am stram gram
/ Pique dame.
La curiosità è ovvia: quanto è vecchia Astamblàm? è un nonsense o significa qualcosa? Wikipédia francese ne propone due interpretazioni: la deformazione fonetica di un’antica conta tedesca con primo verso enumerativo (Ein, zwei, drei…), oppure la persistenza di un incantesimo sciamanico di origine nordica, utilizzato dai Franchi nelle veglie funebri. Sarà, ma a questo punto mi sembra giusto proporre anche l’interpretazione che ne ha dato alcuni anni fa il Maestro Giorgio Branchi, musicista ed etnomusicologo di Parma. Gliel’ho chiesto, mi ha fatto cercare un vecchio quaderno, ho letto i suoi appunti e infine ne abbiamo discusso assieme.
Nonsense o deformazione fonetica? Nel primo caso, cercare di capirci qualcosa sarebbe solo una perdita di tempo, ma se fosse una deformazione fonetica, da quale lingua? La chiave linguistica viene da due osservazioni: le parole tronche della filastrocca e l’esistenza della conta quasi–gemella d’oltralpe: quindi pazienza, intuito e un vocabolario di francese. Astamblàm – Asta m blam – Ast am blam – Hastes en blanc, cioè “Lance (picche) in bianco”, ove bianco sta per splendente, brillante, scintillante, dal tedesco blinken da cui anche l’espressione “arma bianca”; quindi Hastes en blanc = Lance sfoderate. Femini cutàn – femi ni cutan – femme ni coûtentes, e così via:

Astamblàm  Hastes en blanc,  Aste sfoderate,
femini cutàn  femmes ni coûtentes!  Femmine gratis!
Gali gali gan  Galli, galli, gà,  Cavalca, cavalca,
Sticche stuc  […] stik et stud  […] canna e monta
Maringut  m’arén: goût  cedo: godo!

Ahi, ahi! Si tratta di un testo osceno. E questa constatazione ci porta già in una dimensione originaria distante dal mondo infantile: l’infanzia ha il gusto della parolaccia, del volgare, del parlar basso, della scatologia, mai dell’osceno. L’ambiente è chiaramente militare, l’epoca è quella in cui circolavano nel Nord Italia truppe francofone e in cui poteva avere ancora un significato corrente l’epressione “in bianco” per indicare la lama sguainata (il ‘500?).
Era un canto delle truppe? No, mi risponde Giorgio, anche se gli esempi di canzoni militari oscene straniere deformate in filastrocca non mancano (mi cita come esempio una “Libelole” cantata fino a pochi decenni fa dai bambini di un asilo della provincia, derivata da una molto esplicita “Liebe Lole” di origine svizzera), l’Astamblàm non poteva essere proprio un canto: manca di una melodia precisa ed è giocato solo su due tonalità. Sembra più il grido di un imbonitore. Dato l’ambiente, perché non pensare al grido del ruffiano al seguito dell’esercito, per publicizzare la propria “merce”?
E poi? Poi può essere diventata una “conta”. Non stupisce: la “conta” serve nell’ambiente militare quanto in quello dei giochi infantili. C’è sempre da scegliere qualcuno per una corvé sgradevole o una missione rischiosa, e in quest’ultimo caso l’osceno ha spesso una funzione apotropaica. Da qui a passare al mondo infantile ci vuole poco: insegnata magari per scherzo, deformata foneticamente dai bambini italiani oppure appositamente mascherata, come può far pensare l’esistenza delle versioni francesi, di interpretazione analoga:

Am stram gram            Haste en grand,            Lancia in resta,
Pique et pique et colagram            pique pic et col grand!            picchio pungente e collo
                                    [grande!
Bourre et bourre et rataplam            Bourre, bourre, rate et pâm!            Botte, botte, manca il            
                                    [bersaglio e va in estasi!
Am stram gram            Haste en grand,            Lancia in resta,
Pique dame            pique dame!            infilza la dama!

Poi, il passa–parola attraverso i secoli, ha fatto il resto.
L’interpretazione sembra plausibile e, a quanto ne sappiamo, è originale e mai pubblicata. Cena meritata?

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