Fara Editore e i giurati del concorso Faraexcelsior 2018 sezione Narrativa/saggio (Claudio Fraticelli, Francesco Di Sibio, Maria Lenti, Stefano Gorla) sono lieti di proclamare i vincitori. Ecco la classifica e i giudizi di merito: grazie di cuore alla giura per l’attento e competente ed empatico lavoro di valutazione e complimenti ai vincitori!
Per la sezione Poesia v. farapoesia
Angela Colapinto è nata a Bologna, dove lavora e vive. Si occupa per otto ore al giorno di stipendi, materia che non ha nulla a che vedere con la scrittura. Ha ripreso in mano questa antica passione da qualche anno e ne ha fatto più di un semplice passatempo. Le capita spesso di perdersi nei suoi pensieri e di ritrovarsi a inventare storie di cui è la protagonista. C’è qualcosa di più divertente e creativo che immaginarsi la protagonista di tanti, diversi e infiniti racconti? Per lei no. Non ricorda quando ha iniziato a farlo, forse è un’abitudine che ha da sempre e non riesce a immaginare quando smetterà. Forse mai. Le piace giocare con la vita, con i ricordi e con le situazioni ma soprattutto con sé stessa. È fra i vincitori della edizione 2017 del concorso Come farfalle diventeremo immensità.
Un, due, tre… stella! Giocavamo per ore nel corridoio della casa della nonna. Un, due, tre… stella! Una volta al mese mi era concesso chiamare le mie compagne di classe. Un, due, tre… stella! Dalle quattro fino a ora di cena; alle sette non doveva esserci più nessuno. Solo io e la nonna. Un, due, tre… stella! La stessa signora anziana che chiudeva la porta della cucina, prestando attenzione a lasciare sempre uno spiraglio, per poterci spiare da dietro al vetro. Un, due, tre… stella! Eccoci immobili, in attesa del verdetto. Sempre ferma di fianco agli stessi due quadri.
Per quanta attenzione riuscissi ad avere e per quanti calcoli la mia mente di bambina mi concedesse di fare, contare i passi non era sufficiente. Quei paesani immersi nella neve, così felici, nei loro pastrani, di muoversi tra i rami secchi di quel bosco scarno. Sembravano immobili, congelati nella distanza che li separava dalle loro casette, laggiù, all'orizzonte di un paese che non aveva inizio né fine. Le loro bocche erano spalancate, le loro risa mute. Le loro braccia si agitavano alla vista di altre persone, piccole statue in movimento; sembravano chiamarmi e invitarmi a entrare nel quadro con loro. Temevo, fermandomi proprio lì, che le loro braccia si allungassero fino a raggiungermi. Erano troppi i secondi che Sara, ferma immobile in fondo al corridoio, impiegava per dire chi sarebbe dovuto uscire dal gioco. Aveva sempre quella strana espressione sinistra quando si girava verso di noi. Un, due, tre...stella! Pausa. Ed eccola fissarci nell'attesa di vederci vacillare, e poter mietere così la sua prima vittima.
Non capitava mai a me di essere eliminata al primo giro. La signora senza occhi mi aspettava, per regalare alla vecchietta dietro il vetro, il godimento sadico del quale si era nutrita sin dalla mia prima influenza.
«Dormi Sam, io sarò qui nella stanza accanto».
Mi lasciava l'abat-jour accesa. Apriva le tende che dividevano la zona notte dalla zona giorno, cosicché la diagonale potesse offrimi la visuale giusta. Lo sguardo vuoto e assente della signora senza occhi popolava i miei incubi febbricitanti. Urlavo, la chiamavo, dalla stanza accanto la nonna aspettava sempre qualche minuto prima di comparire sulla soglia con in mano il bicchiere d'acqua. Sentivo i suoi passi muoversi veloci verso la cucina, e poi arrestarsi. Di colpo. La tenda, tirata su un lato tradiva la sua ombra proiettata sul pavimento: voleva farmi sapere che lei era lì, presente, a gustarsi a pieno il mio terrore.
Aveva il potere di farmi perdere il gioco al secondo round. Un, due, tre… stella! Resisti Sam, ancora un turno e sarai oltre. Resisti Sam, il suo respiro non è reale. Eppure, mentre cercavo con tutte le mie forze di non cedere, immobile, un soffio spostava i miei capelli. L'alito della signora senza occhi arrivava fino alle mie narici e un tremito attraversava il mio corpo. Sam, ti sei mossa. Ancora oggi, al solo pensiero, odo quello stesso risolino provenire da dietro la porta a vetri della cucina. Sam, sei fuori.
«I bambini sono persone intelligenti, non bisogna tentare di fregarli. Microstorie in cui morte e dolore sono le vere protagoniste. Personaggi che spesso non riescono a fuggire dalle proprie paure o, ancor più, dalla propria vita. Lasciarsi vivere o lasciar vivere dentro di sé il ricordo di altre vite.» (Francesco Di Sibio)
«Tenuti tutti su un registro (pur a largo raggio) espressionistico, improntati taluni ad una crudeltà che, nel filo narrativo e nello svolgimento, richiama la realtà attuale, i racconti di Paura danno il senso di ineluttabilità delle varie situazioni sospendendone ogni distanza. Le contorsioni mentali dei protagonisti corrono alla loro fine mai spezzando la scrittura, in un gioco sospeso tra il grido e il riso, gioco vòlto via via a non definire, a non determinare l’esistenza se non nei gangli, nelle coordinate in cui, ineludibile e impossibile alla metamorfosi, essa si presenta alla sensibilità di chi la vive.» (Maria Lenti)
«La paura ha molte facce, così come potrebbe ricavarsi dagli inquietanti racconti proposti dall’autore. Poi, alla fine della lettura, si presenta l’angoscia al constatare che la paura non ha volto. Lo scrittore lo sa, ma il suo raccontare aiuta il lettore ad addestrassi (esperimenti) per affrontarla.» (Claudio Fraticelli)
In particolare per “Appelli”: un racconto che affascina e dove il ritmo accompagna la crescente angoscia del lettore. (Stefano Gorla)
Per la sezione Poesia v. farapoesia
Classifica Faraexcelsior 2018 Narrativa/saggio
Vincitori con pubblicazione premio gratuita
I.
Un, due, tre…stella!
Un, due, tre… stella! Giocavamo per ore nel corridoio della casa della nonna. Un, due, tre… stella! Una volta al mese mi era concesso chiamare le mie compagne di classe. Un, due, tre… stella! Dalle quattro fino a ora di cena; alle sette non doveva esserci più nessuno. Solo io e la nonna. Un, due, tre… stella! La stessa signora anziana che chiudeva la porta della cucina, prestando attenzione a lasciare sempre uno spiraglio, per poterci spiare da dietro al vetro. Un, due, tre… stella! Eccoci immobili, in attesa del verdetto. Sempre ferma di fianco agli stessi due quadri.
Per quanta attenzione riuscissi ad avere e per quanti calcoli la mia mente di bambina mi concedesse di fare, contare i passi non era sufficiente. Quei paesani immersi nella neve, così felici, nei loro pastrani, di muoversi tra i rami secchi di quel bosco scarno. Sembravano immobili, congelati nella distanza che li separava dalle loro casette, laggiù, all'orizzonte di un paese che non aveva inizio né fine. Le loro bocche erano spalancate, le loro risa mute. Le loro braccia si agitavano alla vista di altre persone, piccole statue in movimento; sembravano chiamarmi e invitarmi a entrare nel quadro con loro. Temevo, fermandomi proprio lì, che le loro braccia si allungassero fino a raggiungermi. Erano troppi i secondi che Sara, ferma immobile in fondo al corridoio, impiegava per dire chi sarebbe dovuto uscire dal gioco. Aveva sempre quella strana espressione sinistra quando si girava verso di noi. Un, due, tre...stella! Pausa. Ed eccola fissarci nell'attesa di vederci vacillare, e poter mietere così la sua prima vittima.
Non capitava mai a me di essere eliminata al primo giro. La signora senza occhi mi aspettava, per regalare alla vecchietta dietro il vetro, il godimento sadico del quale si era nutrita sin dalla mia prima influenza.
«Dormi Sam, io sarò qui nella stanza accanto».
Mi lasciava l'abat-jour accesa. Apriva le tende che dividevano la zona notte dalla zona giorno, cosicché la diagonale potesse offrimi la visuale giusta. Lo sguardo vuoto e assente della signora senza occhi popolava i miei incubi febbricitanti. Urlavo, la chiamavo, dalla stanza accanto la nonna aspettava sempre qualche minuto prima di comparire sulla soglia con in mano il bicchiere d'acqua. Sentivo i suoi passi muoversi veloci verso la cucina, e poi arrestarsi. Di colpo. La tenda, tirata su un lato tradiva la sua ombra proiettata sul pavimento: voleva farmi sapere che lei era lì, presente, a gustarsi a pieno il mio terrore.
Aveva il potere di farmi perdere il gioco al secondo round. Un, due, tre… stella! Resisti Sam, ancora un turno e sarai oltre. Resisti Sam, il suo respiro non è reale. Eppure, mentre cercavo con tutte le mie forze di non cedere, immobile, un soffio spostava i miei capelli. L'alito della signora senza occhi arrivava fino alle mie narici e un tremito attraversava il mio corpo. Sam, ti sei mossa. Ancora oggi, al solo pensiero, odo quello stesso risolino provenire da dietro la porta a vetri della cucina. Sam, sei fuori.
«I bambini sono persone intelligenti, non bisogna tentare di fregarli. Microstorie in cui morte e dolore sono le vere protagoniste. Personaggi che spesso non riescono a fuggire dalle proprie paure o, ancor più, dalla propria vita. Lasciarsi vivere o lasciar vivere dentro di sé il ricordo di altre vite.» (Francesco Di Sibio)
«Tenuti tutti su un registro (pur a largo raggio) espressionistico, improntati taluni ad una crudeltà che, nel filo narrativo e nello svolgimento, richiama la realtà attuale, i racconti di Paura danno il senso di ineluttabilità delle varie situazioni sospendendone ogni distanza. Le contorsioni mentali dei protagonisti corrono alla loro fine mai spezzando la scrittura, in un gioco sospeso tra il grido e il riso, gioco vòlto via via a non definire, a non determinare l’esistenza se non nei gangli, nelle coordinate in cui, ineludibile e impossibile alla metamorfosi, essa si presenta alla sensibilità di chi la vive.» (Maria Lenti)
«La paura ha molte facce, così come potrebbe ricavarsi dagli inquietanti racconti proposti dall’autore. Poi, alla fine della lettura, si presenta l’angoscia al constatare che la paura non ha volto. Lo scrittore lo sa, ma il suo raccontare aiuta il lettore ad addestrassi (esperimenti) per affrontarla.» (Claudio Fraticelli)
In particolare per “Appelli”: un racconto che affascina e dove il ritmo accompagna la crescente angoscia del lettore. (Stefano Gorla)
II.
Giorgio Massi è nato ad Ascoli Piceno nel 1973, maturità classica, laureato in Giurisprudenza. Appassionato di cinema, musica rock e letteratura moderna. Si interessa di scrittura creativa e iniziative culturali.
Cap 1
È venerdì, ho in calendario una seduta dal mental coach. L’ennesima.
L’ansia da prestazione sul rettangolo ormai è diventata un giro di boa, inteso come serpente.
Scarico l’ansia inghiottendo aria.
Ho appuntamento alle ore 11.
Arrivo con anticipo da cardinale.
Parcheggio l'auto e m’infilo in un bar.
I camerieri sono gentili, il proprietario lo è meno.
“Vuoi l’acqua?” mi dice con faccia gutturale.
Non gli rispondo, mentre continuo a guardare il soffitto.
Asciugo con le labbra la tazzina che puzza di rancido.
Ascolto i commenti dei presenti.
Alcuni parlano delle recenti tragedie che hanno colpito il paese.
Altri evocano l’arrivo dei salmoni di fiume.
Altri prospettano un immediato cambio di governo.
Qui non si ciarla di sport.
Calcolo dieci minuti prima dello start up.
Raggiungo l’ambulatorio all’interno di un cortile.
È una specie di “hortus clausus” come direbbe un mio amico iberico.
Sono dentro.
Il professionista tarda ad arrivare.
Si presenta nello studio con calma rassicurante.
Lo saluto con il bavero dell'occhio attorcigliato.
Ci sediamo. L’uno di fronte all'altro.
La stanza è colorata come una sala indiana da tè.
Ci sono immagini sacre affisse alle pareti.
Mi piazzo nel punto dove si sfogano i tennisti demotivati.
A 44 anni e 4 mesi sono convinto di non decollare nella classifica nobile.
“Resterò a vita nei bassifondi” dico.
“Sei troppo fragile” risponde lui.
Mi auto-assolvo descrivendo i miei pensieri in modo caotico.
Il professionista sbadiglia per riflesso.
È un puro di cuore che odia lo sport.
Tira pugni ad ogni mia apertura di stomaco.
Dopo un'ora scappo da quel guscio di riflessioni.
Il cane del vicino spiattella alla mia uscita un ululato di fastidio.
Il padrone è un agricoltore con il vizio della meccanica.
Il suo garage è un'officina al buio.
Gli manca soltanto l'insegna al neon, stile motel per assassini.
Mi metto al volante, ma senza sforzo.
Viaggio lentissimo. Arrivo a casa. Mi cambio.
Guardo se piove.
Non piove. Indosso la tuta da corsa.
Esco come un Sigfrido.
Sono indeciso se rimuginare sulla seduta o pensare al prossimo avversario in classifica. Scelgo la prima.
Mentre passeggio, ripeto ossessivo.
“Un giorno sarai adulto?”. Un giorno.
Oggi sono ancora nel grembo materno.
Non ho margini di crescita nella graduatoria.
Categoria maledetti.
«Forse un po’ troppo zeppo di colpi a effetto, ma le sorti di un quarantenne malato di tennis, suo malgrado, cattura l’attenzione del lettore. Poetico il finale col racconto di come tutto sia iniziato nel modo più sgangherato possibile in un mondo dove la meticolosità, anche e soprattutto nell'apparire, diventa una dea da invocare.» (Francesco Di Sibio)
«Già dal titolo (un accento spostato ad libitum - per fini ritmici? -) i racconti si mettono in una terra quasi da teatro dell’assurdo con risvolti tenuti però sulla leggerezza delle vicende narrate, sullo scherzo che salva, sul piacere di inventare, di cominciare da capo a dire per dirsi. Se a risarcimento di pesi non è ravvisabile, ma certamente come possibilità di scrollarsi di dosso l’onere della prova della serietà della vita. Si sente familiarità con una letteratura frequentata nel Novecento solo da pochi scrittori, tanto lontani dalla serietà quanto vicini al sommovimento interiore che la serietà spinge a riso esteriore ma non interiore.» (Maria Lenti)
«Il tennis in questo racconto, direi, viene “adoperato” tra dritto e rovescio. Va avvertito il lettore perché ben presto si trova avanti ad una rappresentazione di tutte le difficoltà in cui si dimena ciascuno con le sue frustrazioni giocate tra sfide e partite perse.» (Claudio Fraticelli)
Altre opere votate
FLIRT ’49 di Subhaga Gaetano Failla (Follonica, GR)
Subhaga Gaetano Failla (Scalea, CS, 1955), insegnante, laureato in Sociologia a Urbino, vive a Follonica (GR). Ha fatto parte di gruppi teatrali. Ha pubblicato saggistica, poesia e soprattutto narrativa. Il racconto lungo Il seminario di Vinastra è in 3x2 (Fara 2006). Tra le raccolte di racconti: La signora Irma e le nuvole (Fara 2007). Poesie in lingua inglese, tradotte in francese e tedesco, in: Zen poems (MQP 2002) e Haiku for lovers (MQP 2003). Ultime pubblicazioni, tra il 2016 e il 2017: in inglese, nel volume collettivo (a cura di M. Bazzano e J. Webb) Therapy and the Counter-tradition. The Edge of Philosophy (Routledge) e nella rivista Self & Society; in Il magazzino dei mondi 3 (Delos Books) e nella rivista WMI Speciale SF; con Fara Editore, in La mia sfida al male, Preghiera (e…, Il coraggio del bene, Perdono: dal rancore al ricordo. Collabora con i blog di Fara Editore e con la rivista La Masnada.
Lo sbarco
L’estate della loro terra lontana gonfiava di sole i frutti sugli alberi e sfolgorava sulle acque marine, mentre la nave interstellare, dopo aver superato distanze inconcepibili, scendeva come un ragno appeso a un filo sulla superficie del pianeta da colonizzare.
L’ennesima missione, un lavoro divenuto abitudinario, un piccolo pianeta da conquistare senza esplodere nemmeno un colpo, perché in quel mondo, secondo i numerosi studi e le spedizioni di verifica, non avrebbero incontrato esseri viventi. Se qualcuno aveva mai attraversato quelle lande, ciò era avvenuto in tempi remotissimi, e di quell’evento non era rimasta la pur minima traccia.Herbert e Jules scesero lentamente i gradini della scaletta dell’astronave, mossero i primi passi intorno e guardarono col consueto sospetto dei colonizzatori, e con stanchezza e noia, il panorama deprimente, avvolto in una luce crepuscolare, che si apriva davanti a loro.
“Che sciocchezza”, disse poi a bassa voce Herbert. “Ho avuto per un attimo una strana sensazione. Mi è sembrato di sentire quasi come un respiro vastissimo, una specie di ansito che mi circondava, proveniente da ogni dove.”
“Siamo troppo vecchi, ormai”, rispose Jules senza neanche prendere in considerazione la bizzarra impressione provata dal compagno. “È ora di andare in pensione…”
Herbert portava con sé una bandiera, ne impugnava l’asta quasi sbadatamente, come il manico di un ombrello inutile e fastidioso. Jules indicò un rialzo, una sorta di gibbosità che spuntava dall’orlo di un cratere spento. Percorsero un centinaio di metri, giunsero al culmine del minuscolo colle e Herbert con un sol colpo conficcò lì la bandiera.
Sentirono un sussulto al di sotto dei loro piedi. Poi, quasi barcollando, indietreggiarono. Dal buco prodotto dall’asta fuoriusciva un fiotto di sangue. Si spandeva in rivoli, rosso e denso, verso di loro.
«Lo smarrimento della memoria ci rende stranieri in posti che dovrebbero essere familiari;
Oppure la memoria sfugge alla repressione affidandosi alle stelle in una fuga che incontra l’amore; quindi le emozioni affidate alla comunicazione di telepatia elettronica che incontrano l’amore da androidi. Distopie a cui forse ricorriamo per nascondere le nostre difficoltà espressive ma i racconti danno spunti di riflessione per cogliere la nostra condizione.» (Claudio Fraticelli)
«“L’odore del fango” è un crescendo narrativo che affascina e disorienta. “Lo sbarco” è essenziale (forse troppo) e fulminante.» (Stefano Gorla)
Si chiamava Maurizio e aveva
una predilizione per gli animali.Non già per quelli da compagnia,infatti non ne
possedeva alcuno,bensì per quelli liberi e selvatici.Abitava in una periferia
di una piccola città del centro Italia,e lui si riteneva,forse non a torto,italiano
da generazioni. Sia perché ambedue i
genitori asserivano di discendere da antiche famiglie romane,sia per il
comportamento che lo contraddistingueva che si potrebbe dire essere tipico del
luogo;ciò lo rendeva teatralmente espressivo,amante delle parole a raffica,del
buon cibo e soprattutto intenditore di donne e di vini,combinazione a suo modo
di pensare quest’ultima, imprenscindibile.Lui però amava definirsi:“cittadino
del mondo”.Un po’ per convincimento e un po’ per far colpo sulle persone,a cui
dava così l’impressione di essere uno di vedute larghe.Si era sposato in
giovane età con una ragazza ungherese,dalla quale aveva avuto due splendidi
bambini.Si erano conosciuti ad Amsterdam,quando lei in vacanza con le sue
amiche era approdata in una di quelle tipiche trattorie italiane,presso la
quale lui lavorava come cameriere.
“Signorina” le disse in un
inglese maccheronico,“opero qui da tre mesi e svolgo la mansione di
caposala.”Non era vero.Alexandra lo capì,però pensava che scherzasse come
d'altronde quella sera continuò a fare ininterrottamente.Maurizio era una
persona che passava da un discorso all’altro senza pensare a ciò che aveva detto
o promesso un attimo prima;ma una volta che l’ebbe conquistata non gli fu più
necessario fingere di essere quello che in realtà non era.Quella sera di dicembre
del 1996,andò così tante volte al tavolo occupato dalle ragazze,che il
proprietario in una chiara espressione del sud Italia lo richiamò minacciando
di licenziarlo se questi non avesse smesso di recare disturbo alle
clienti.
“Non preoccupatevi”asserì
alle cinque ragazze che lo guardavano sbigottite,“urla a quel modo per
abitudine.Mi indica solo di prestare più cura ai clienti del locale,in special modo
a quelle del gentil sesso.Dovete sapere che in Italia,l’attenzione ai bisogni
delle donne,è sempre stata a livello…come dicono qua… at the top!”
(…)
«Il titolo non dà aspettative. La lettura potrebbe non essere sollecitata dalla esposizione di scene di vita quotidiana del ménage familiare, come tanti altri pieno di incomprensioni e difficoltà. Ma quando non ti aspetti trovi un sorprendente giallo irto delle tortuosità della mente umana.» (Claudio Fraticelli)
«“Il vagabondo delle colline”: Un quadro che si compone e si scompone alla ricerca di un senso unitario che possa narrare un’esistenza.» (Stefano Gorla)
Segnalazioni
A TRE DISTANZE DA DIO di Serse Cardellini (Pesaro)
«Tre riflessioni su come prenderci cura di noi. Si tratta di una lavoro un cui la ricerca puntigliosa della informazione ricostruttiva, anche del dettaglio, sembra prevalere nell’invito alla riflessione, così da lasciare sullo sfondo le espressioni personali e il filo conduttore dell’autore e tutto viene affidato alla completa libertà del lettore di fare un bilancio sulla qualità della proposta.» (Claudio Fraticelli)
PREZIOSITÀ L’ANIMA NON DIMENTICA di Franca Oberti (Calco, LC)
«Quando si “lavora” sulla nostra memoria v’è da credere che si presentino prima gli odori e colori. Chi ha vissuto situazioni come quelle raccontate ritroverà la sua biografia ma credo sentirà prima gli odori e i colori.» (Claudio Fraticelli)
RACCONTI… SCRITTI A MANO di Romano Nicolini (Rimini)
«Più che racconti c’è la mano leggera di chi vuol condividere emozioni che solo una esperienza forte (come quella scoutistica) trova momenti straordinari nell’incontro.» (Claudio Fraticelli)
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