lunedì 23 luglio 2018

Un romanzo fluente, intrigante, naturale…


su Enrosadira di Filippo Amadei, Fara 2018

lettera di Marzia Biondi



Caro Filippo,

solo pochi minuti fa ho terminato la lettura di Enrosadira, bellissimo romanzo. 
Mi sento di scrivere alcune riflessioni “di pancia”, ma non troppo. 
Premetto di non essere un critico letterario, né ho l’intenzione di darne parvenza, desidero semplicemente dare riscontro in amicizia. 
È molto interessante la miscela fra la prosa e la poesia, con la quale hai dato aria e profondità alle parole, pensate molto prima di essere utilizzate, anche se il loro effetto è quello di rendere la lettura molto fluente, intrigante, naturale. 
Chiedo perdono per eventuali interpretazioni troppo personali; di primo acchito direi che si tratta di un romanzo a sfondo autobiografico con momenti d’identificazione col personaggio principale, Claudio, a tratti col compagno d’avventura, Marco. 
Una delle forze di tale scritto è l’uso di metafore, della similitudine e la creazione d’immagini risonanti con stati d’animo statici, a momenti in grande movimento, quasi vorticoso, fra di loro opposti: 

Se avesse curvato sul lato sinistro il profilo del corpo, se solo avesse reclinato ancora di qualche grado la testa nel golfo tiepido del cuscino e piegato lievemente al petto le ginocchia, sarebbe stato inutile tentare di fare precise considerazioni: tutte risucchiate nel vortice dei pensieri che precedono le prime immagini del sogno; sfocate come acquerelli troppo diluiti. (pag 18) 

La parola silenziosa del corpo, il calore umano trasferito in un oggetto comune, divenuto improvvisamente “culla” dei pensieri scoppiettanti, come le stelle dei petardi, in ogni direzione senza controllo, nel tentativo di dare un ordine alle emozioni prima di abbandonarsi al ristoro di un sogno, è molto intensa. 
L’immagine di copertina, richiama la tela sul quale dipingere la vita, i pensieri ed anche i sogni, rivelandone l’inconsistenza che richiama alla concretezza. 
Prima di proseguire con la messa a fuoco di altre parti del testo d’intensità vibrante e costante, sottolineo l’interessante miscela fra il pensiero del protagonista, Claudio, e alcuni fatti accaduti o solo immaginati; luoghi descritti con minuzia e precisione, ma al contempo senza l’utilizzo di aggettivi ridondanti; l’uso di termini asciutti ed appropriati è la struttura di fondo del linguaggio nell’intera opera. 
La lunghezza dei capitoli, mai troppo estesa, rende l’intensità della storia molto concentrata; spesso al lettore può sembrare di smettere di leggere, mentre si catapulta nella storia a sua volta, entrando in stanze buie o semibuie… mentre apre il frigorifero quasi vuoto, o si nasconde dietro al muro di una chiesa a ridosso del cimitero per osservare la scena che si sta snocciolando davanti ai suoi occhi. 
Inoltre l’introduzione improvvisa del protagonista, con il suo stato d’animo, in scene nelle quali è solo spettatore, quasi a voler smorzare la tensione spesso divenuta concitata (telefonate “burrascose” o bisbocce del sabato sera in un contesto insolito come quello cimiteriale) è una strategia letteraria molto ben riuscita. L’equilibrio nell’uso del discorso diretto e indiretto, o nella rappresentazione di stati d’animo come la malinconia, la nostalgia, i ricordi d’infanzia, mantengono il tono della storia sempre coinvolgente. 
La figura di Valeria, presente in assenza, e ravvivata da, Giulia, anche quest’ultima lasciata un po’ indefinita nelle sue reali fattezze fino all’ultima pagina della storia, dove viene confermata la loro effettiva somiglianza fisica. 
La curiosità e l’immaginazione sono state ampiamente solleticate. 
Rob, personaggio “misto” fra quello che tutti vogliono che sia, il perfetto cameriere, descritto con particolari anche sulle coordinate nel posizionare gli oggetti sui tavoli per rendere tutto perfetto, e il soggetto dall’atteggiamento baldanzoso e “fragoroso” come il rumore del suo pick-up, una volta terminato il lavoro. Il rumore forte che copre e rende silenzioso quello interiore, il vuoto. 
È una rappresentazione “montanara” di quanto in realtà è molto attuale fra i giovani in tutte le stagioni e località. 
Del personaggio “Claudio”, è stata messa in evidenza la forte sensibilità. Dalle pp. 49-50: 

Claudio era incuriosito e insieme affascinato dagli abitanti della montagna, che hanno una leggenda per ogni luogo, per ogni avvenimento. Una leggenda che tutti sanno, non solo i vecchi, ma anche i giovani. Una leggenda che imparano sin da piccoli. La abbracciano come si abbraccia una madre. La credono vera. E già dall’infanzia entra in loro la magia dei picchi che sorvegliano le gole, dei laghi nascosti in mezzo alle crode, dei boschi di abeti che risuonano fino in fondo alla valle, quando il vento del nord viene a spettinare le loro chiome. E, benché il passare del tempo depositi nell’uomo una certa dissillusione, un’aderenza alla realtà dei fatti concreti, quel credere senza dimostrazione, proprio delle leggende, non li abbandona mai del tutto. Si posa in fondo all’animo, come la neve non abbandona mai i ghiacciai perenni. 

Ed ancora, a pag. 63: 

Si rese conto come, negli anni, (Claudio) non avesse smesso di credere davvero al potere delle parole luminose che i genitori raccontano ai figli. Certo, il ritmo disumano del lavoro, la pressante incertezza del futuro, la labilità dei rapporti intrecciati intorno al canestro della sua esistenza, indurivano ogni giorno quella benedizione. Contro la pietrificazione della piccola rosa di convinzioni e di azioni che liberano la vita, Claudio aveva bisogno di un tramonto. 

“Necessariamente”, infine, alle pp. 52 e 53: 

Quando tornerò a casa, io e Valeria ci lasceremo e, pur essendo evidente il perché e inevitabile, non riusciremo a perdonarcelo. Non ci saluteremo più e sarà come se nemmeno una goccia di quella tenerezza provata fosse mai esistita. Quegli istanti che ci hanno uniti, quei sentimenti acerbi e senza futruo, ma così splendidi e chiari, nella loro brevità, andranno perduti. È questo che mi butta a terra.
Sono tante le riflessioni su questi tre scorci: la natura oserei dire protagonista a propria volta della storia, non solo per il titolo Enrosadira, ma anche come sfondo intriso nella trama della tela sulla quale è impressa la storia. Se la natura potesse parlare con le parole, userebbe quelle materne consolanti e quelle paterne ragguardevoli per alcune azioni compiute o omesse. 
Eccone un esempio, a p. 64: 

Il guidatore continuava a spingere l’acceleratore, in folle, provocando enormi boati che risuonavano tutto intorno. Pareva potessero raggiungere anche le vette più alte delle montagne che, silenziose, stavano ad osservare la scena. 

Il bisogno di mantenere salde le radici nelle tradizioni, comprese quelle solo credute come le leggende, sempre ricche di intrisa “verità”, sono come le montagne, l’acqua e le orme della neve, compresa quella rimasta appiccicata nel tacco degli stivali, magari “rosa”. 
Il tempo è il compagno e filo conduttore, nel suo andare indietro nei ricordi infantili, nel suo nascondersi negli attimi del presente che paion sogni, nel suo proiettarsi nel futuro sperato e mancato o progettato e realizzato del sole che sorge di nuovo dopo una nottata particolare a ridosso dei muri della chiesa di Moena. 
L’amore per la vita racchiuso in un amore ancora vivo pur flebile e sbiadito, senza comprenderne il perché. Due polarità che si attraggono, ma che non riconoscono le radici comuni. Una parte della realtà espressa senza discorsi diretti. Un grande uso della forza della parola. 
Come, ad esempio, a pag 53: 

Le parole passarono sopra le mele alla cannella ripiene di crema e il tempo passò sopra le parole.

La scrittura poetica di sottofondo arricchisce la dolcezza di espressioni luminose, come già evidenziato nell’introduzione da parte di Gaetano Failla, col quale concordo quasi in toto. 
Ecco alcune espressioni che mi sembrano particolarmente poetiche: 
(pag. 22) Le montagne sprofondavano nel cielo nero 
(pag. 26) Afferrò quel suono e lo portò dentro alla testa, immaginando che l’acqua portasse via ogni residuo di incubo 
(pag. 27) … portò la luce del sabato dentro alla stanza…era stata la mattina a svelare a Claudio la planimetria della casa
(pag. 45) La sua voce attraversò il gruppetto di ragazze per giungere a lei. 
(pag. 47) Marco e Claudio camminavano in salita, con i fiati caldi delle gole alterati dalla fatica del procedere. Tanti piccoli sbuffi di vapore nell’aria fredda e tersa della sera. 

È il tuo primo romanzo, Filippo, ma lascia pensare ad una vena narrativa matura e naturale. 

Nessun commento: