martedì 27 maggio 2008
Su Roulette balcanica e Congedi balcanici
incipt dalla recensione di Loris Ferri pubbicata su «La Gru», maggio 2008. Leggila tutta qui www.lagru.org
1. Al posto dell’introduzione
«... fare del male non è, in verità, così diabolico quanto… il suo rinominarlo bene. Ciò significa togliere a tutte le morti la loro importanza, capovolgerle leggerle all’inverso… Capovolgere e da dentro abbattere i criteri della verità. E alla fine, nella bocca della verità mettere la menzogna…» (Denis de Rougemont, La parte del diavolo)
Questa è l’epigrafe che Drazan Gunjaca sceglie come porta d’entrata (o forse di non ritorno) al suo dramma: Roulette balcanica (Rimini, Fara 2003)…
«Molti di noi, fino a poco tempo fa, vivevano in una pace che si dava per scontata, come una conquista della civiltà che non era in questione e a cui non c’era alternativa. Molti continuano ancora oggi a vivere nell’inganno che sia così. Ma non lo è. Piano piano stiamo entrando in un nuovo-vecchio mondo, nel quale di scontato ci sono solo le guerre, e per la pace si deve combattere. In ogni momento, in ogni angolo di questo nostro unico pianeta. Solo quando la maggioranza lo capirà, le visioni apocalittiche potranno forse rimanere solo delle visioni, e l’uomo potrà continuare a vivere una vita degna dell’uomo». (Drazan Gunjaca)
2. Nota bio-bibliografica
Drazan Gunjaca è nato nel 1958 a Sinj, dove ha terminato la scuola media. Conclusa l’istruzione militare a Spalato, ha prestato servizio per una decina di anni nell’ex marina militare jugoslava. Si è laureato in Giurisprudenza a Fiume, per poi lasciare l’ex armata popolare jugoslava. Vive e lavora come avvocato a Pola. Nel 2001 è stato pubblicato il romanzo: Congedi balcanici (Fara editore), vincitore del premio internazionale sul tema della pace: Satyagraha 2002, Riccione. Questo suo primo romanzo è stato pubblicato in Germania, Stati Uniti, Bosnia, Australia. Nel 2002 viene alla luce la raccolta di poesie: Quando non ci saro più, e il romanzo: Amore come pena (seguito ideale dei Congedi balcanici). La prima parte di una trilogia sulle guerre balcaniche è A metà strada dal cielo, seguito da I sogni non hanno prezzo e Buona notte, amici miei. Nel 2003 viene pubblicato il dramma: Roulette balcanica (Fara editore).
3. Roulette balcanica
Il titolo, molto suggestivo, da cui trae origine il dramma, anche se non solo di dramma si dovrebbe parlare (appunto Roulette balcanica), rappresenta nell’immaginazione visionaria dei protagonisti, il correlato oggetto stesso della catastrofe irreversibile, a cui Petar, serbo, capitano dell’APJ (Armata Popolare Jugoslava) non può sottrarsi, né sfuggire. Un destino già scritto, sin dalle prime parole del protagonista, che raggiunge l’acme tragica in un finale- turbine dove viene messo in scena l’ineluttabile:
Petar: Hai mai giocato alla Roulette russa?
Mario: Non sono mica matto. Visto la fortuna che ho,
anche se fosse scarica riuscirei a spappolarmi
le cervella.
Petar: E alla Roulette balcanica?
Mario: Cos’è la Roulette balcanica?
Petar: Come quella russa, solo che si fa con la pistola,
quella che ho in mano.
Mario: Sei matto? Per prima cosa la roulette russa è
di per sé un’idiozia, e poi si usa la rivoltella
e non la pistola. Con la pistola sei morto di certo,
non c’è alternativa.
Petar: È quello che ti sto dicendo, la roulette balcanica,
quella senza alternativa.
Ciò che nel testo porta alla materializzazione dell’apocalisse, ha già seminato da tempo, ovvero il proposito del suicidio viene esplicitato da subito, e coincide con l’ineluttabilità della fine come perdita della condizione dignitosa dell’essere umano.
Per questi motivi, non solo di dramma si può parlare. Gunjaca mette in scena una pièce attraverso un racconto dialogico statico, il cui luogo di azione resta sempre un soggiorno di un condominio a Pola, poco arredato mentre il tempo di azione ricade a fine settembre del 1991, verso mezzanotte, in piena guerra balcanica
Ma lo sguardo che l’autore pone, si dilata dall’interno, come chi avesse vissuto in prima linea gli accadimenti (e non può essere altrimenti, dato che l’autore ha servito per dieci anni la Marina Militare); eppure l’inquadratura di tutta la visione, pone un occhio di disincantato sulla realtà, quasi ad indagare il tessuto umano dal quale il dramma prende corpo. Dunque il dramma non è l’opera, quanto la materia trattata. Lo spostamento di significato è tangibile, e si decuplica (si vedranno poi i Congedi balcanici) attraverso un linguaggio mimetico, cui vengono sottoposti i protagonisti del testo, innesco che fonda, pirandellianamente, il carattere costitutivo dei personaggi. Dunque “Creature di sangue caldo e nervi” (Anton Cechov).
(…)
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