Giovedì 22 maggio 2008. La lectio di questa sera di Don Eraldo Tognocchi è ispirata dal suo ultimo libro intitolato Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (La preghiera di Gesù sulla croce), scritto per far luce sul senso di queste parole che possono essere intese come un lamento-sfogo di Gesù, uomo, vicino alla sofferenza umana, oppure come una raccomandazione al Padre che il suo abbandono nelle mani degli uomini non sia avvenuto per una fatalità inspiegabile, ma per un atto d'amore e un progetto di salvezza del mondo. La sofferenza quando si patisce è avvertita come qualcosa di eccessivo, di ingiusto; e pur sapendo che abbiamo bisogno di purificazione, noi rivolgiamo a Dio un rimprovero confidenziale per esprimere tutto il nostro sconcerto, perché il dolore, la malattia e la morte, hanno sempre un carattere avverso e nemico. Gesù però l'ha fatta propria questa nostra condizione: noi non riusciamo a vedere quanto a lui sia difficile, a volte, aiutarci a ritrovare la strada giusta, e forse per questo abbiamo bisogno di fare esperienza del male, che il Signore non ci evita, perché altrimenti non ci accorgeremmo della nostra indifferenza e della nostra superficialità.
Dalla parabola del padre misericordioso, noi conosciamo un padre che lascia andare suo figlio per aiutarlo a capire che al di fuori della propria casa, nessun amore è eguale a quello sperimentato prima di partire. Abbiamo così l'idea di un Dio che non è preoccupato della sua dignità ma soltanto delle sue creature. La preghiera che noi sentiamo sulla bocca di Gesù, presa dal Salmo 22, comincia proprio così: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Nel corso del Salmo il cantore sofferente elenca i turbamenti; le sventure; e ne cerca una ragione: che alla fine scopre quando comprende che Dio lo aveva abbandonato affinché conoscesse la sua liberazione e il volto del suo salvatore. Istruiti dal Salmo e dal Vangelo di Giovanni: «ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (cfr Gv 16, 37), non possiamo pensare che la preghiera di Gesù nasca da un bisogno di sfogo proprio degli uomini! Gesù è consapevole di vivere in una dipendenza dal Padre un po' simile alla nostra, e allora parlerà del Padre come la sorgente di questo piano di salvezza a cui si sottopone: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc 22, 42). Dal racconto della passione di Luca, ci accorgiamo che la volontà del Padre si identifica con la volontà di morte del suo popolo contro Gesù e, infatti, alla fine del brano leggiamo: «Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà» (Lc 23, 24). Gesù deve morire perché si è proclamato Figlio di Dio: il popolo lo condanna per affermare che non lo è; il Padre invece per rivelarlo come tale nell'estremo suo patire per amor nostro.
Il rapporto difficile che Gesù ha con i suoi discepoli nasce dalla volontà di perdere la vita per i suoi amici: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). La prima volta che Gesù parla della sua necessità di morire Pietro protesta, lo prende da parte perché sente che questo Gesù ha bisogno di essere difeso e, secondo il Vangelo di Matteo, gli si rivolge con una frase che tradotta letteralmente dal greco è di un candore commovente: «Pietà per te Signore» (cfr Mt 16, 22), cioè abbi un po' di pietà per te! Pietro non comprendeva che per salvare i discepoli era necessaria una testimonianza radicale, in cui l'amore era più importante della vita. Il testo greco non sopporta la traduzione: «Lungi da me, satana!» (cfr Lc 16, 23) come se Gesù avesse mandato via Pietro, mentre voleva richiamarlo al dovere di discepolo perché imparasse a capire che quanto più la vita si dona tanto più ci appartiene. E' un'esaltazione dell'amore col quale tutto diventa divino, e perfino la morte perde il suo carattere di fine e diventa misura dell'amore supremo che trascende il tempo, il limite, e la vita stessa dell'uomo.
La domanda di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» è anche una preghiera che esprime la sua volontà di conoscenza dei disegni segreti del Padre di fronte a una morte inconcepibile! E allora c'è bisogno che il Padre abbia cura di far sapere alla Chiesa al mondo le ragioni di questa morte, che non sono un caso, un destino e neppure la conseguenza dei nostri peccati, perché anche il male ha una sua capacità di dominio. Il Signore Gesù voleva che attraverso la sua morte si comprendesse che l'amore di Dio resta tale anche quando lo rifiutiamo. Questa è la ragione profonda per cui Gesù invita il Padre a manifestare le ragioni che creano le condizioni storiche e religiose della sua morte: sono gli avvenimenti narrati nei vangeli che svelano i segreti di Dio e rendono visibili i benefici dell'inestinguibile amore di Gesù crocifisso per il mondo intero. Quando diciamo che Gesù piange, suda, versa sangue è perché non c'è pianto, spargimento di sangue, fatica umana che non implichi una partecipazione con cui Dio, attraverso Gesù, vuole condividere lo strazio dell'uomo per portare solidarietà e speranza dove la giustizia degli uomini prevede punizione e morte. Anche il salmista nella seconda parte del Salmo 22 ottiene delle risposte: dopo il lamento, le implorazioni di aiuto al versetto 23, hanno inizio le lodi e i ringraziamenti per essere stato esaudito: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all'Assemblea. Lodate il Signore...perché egli non ha disprezzato né sdegnato l'afflizione del misero, non ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.» (cfr Sal 22, 23-25).
Si ricorda che il prossimo incontro di lectio divina si terrà giovedì 12 giugno 2008, alle ore 18.30, nel locale situato sopra l'Archivio Storico delle Porte Sante, ingresso a sinistra della Basilica di San Miniato al Monte.
Notizie dalla Lectio
a cura della Redazione
Comunicato n. 53
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