Scrivere mi salva. Mi salva dalla disperazione, quella che mi ottenebra gli occhi, che m’impedisce di parlare. Quando sono smarrito e non so più dove sono andate a finire le stelle, inizio a scrivere e mentre scrivo rieccole, una dopo l’altra, là, in alto.
Scrivere mi salva dall’angoscia che mi afferra la gola e mi toglie il respiro e le forze vengono meno e sento che la vita sta per lasciarmi solo, freddo. Ma prima di cadere, mi metto a scrivere e come per magia la tenda si sposta e dalla finestra sul giardino entra un gran sole d’oro e d’arancio.
Mentre scrivo, i colori tornano a brillare, allora penso che i diamanti sono veri e che uno dopo l’altro potrò infilarli nelle mie consumate tasche dove due fazzolettoni, sporchi e bucati, custodiscono le bellissime biglie di vetro che mio nonno mi donò prima di spegnere il fuoco e morire nel sonno.
Scrivere mi salva dal nulla che mi entra dentro, senza bussare, per poi andare su e giù, come un fantasma allegrone per nulla spaventato dal suono metallico delle sue antiche catene.
Scrivere mi salva quando la morte fa cenni di saluto dall’alto della torre da dove, se solo avessi tutto il coraggio necessario, vedrei l’orda barbarica cavalcare al galoppo sulla piana di Azincourt e da quella mirabile altezza, gridare: – Venite pure, non ho paura di morire di spada o di freccia!
Scrivere mi salva dalla mancanza di Bellezza, soprattutto quando vedo i colori sciogliersi al calore del nulla-vuoto che strane macchine digitali fotocopiano al ritmo di un giorno e di una notte.
Scrivere mi salva dalla dannazione eterna, quella che vorrebbe costringermi a non uscire per riveder le stelle.
E ancora mi vedo chino, bambino, a disegnare con le parole il mio felice riposo notturno.
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