(Racconto fantastorico para-filosofico)
Er era un personaggio straordinario. Da lui deriva la parola “eroe”. Citato da Platone nella Repubblica. Fece un viaggio nell’Ade e tornò tra i vivi, come tanti altri eroi dell’antichità (Ulisse, Enea): «Er, figlio di Armenio, di schiatta panfilia: costui era morto in guerra e quando, dopo dieci giorni si raccolsero i cadaveri già putrefatti, venne raccolto ancora incorrotto. Portato a casa, nel dodicesimo giorno stava per essere sepolto. Già era sepolto nella pira, quando risuscitò e, risuscitato, prese a raccontare quello che aveva veduto nell’aldilà». Dalla descrizione di Platone si può ipotizzare che si trattasse di un caso o di resurrezione vera e propria, tipo Lazzaro, o di morte apparente, essendo il corpo incorrotto, con conseguente esperienza ai confini della morte (NDE). Er descrive un viaggio sciamanico, mistico, riservato a coloro che godono di una superiore sensibilità, che riesce a cogliere le realtà spirituali.
Er era un grande eroe e tra le tante imprese che ha compiuto, molte delle quali non sono ricordate negli annali, la leggenda narra di quella del suo amore per la regina Semiramide d’Assiria. Semiramide era una regina potentissima che aveva fondato un impero vastissimo che andava dal Catai, l’antica Cina, fino al mar Mediterraneo. Semiramide era una regina ricchissima ed immortale. Aveva infatti fatto un patto con il re dei morti, Nergal. In cambio di sacrifici umani si manteneva sempre giovane. Così, come una mantide religiosa, Semiramide sposava i giovani mariti e poi li sgozzava, beveva il loro sangue e si cibava delle loro carni. Aveva da loro dei figli, ed essendo sempre giovane, poi, amava i figli, commettendo l’orribile peccato d’incesto. Di solito questi re erano scelti forestieri, per distogliere l’attenzione dalle sue malefatte, anche se si era sparsa la voce, e nessun principe voleva più prendere in sposa la mantide Semiramide. Uno dei suoi re era stato Nino, che aveva fondato la città di Ninive, che divenne capitale del suo regno vastissimo.
Semiramide si innamorò allora di questo valoroso soldato, Er, che eresse a generale delle sue armate. Ma Er non corrispondeva al suo amore, perché sapeva che la mantide religiosa uccide i suoi amanti. Una notte Semiramide fece drogare Er e giacque con lui, senza che se ne accorgesse. Al mattino a Er pareva di sognare:
– Ma dove mi trovo?
Partì in battaglia, ignaro di tutto, mentre Semiramide stava dormendo e non si era accorta che Er fosse andato via. Quel giorno Er morì in una gloriosa battaglia contro i barbari, che minacciavano l’impero da Oriente. Semiramide cercava il suo amore, Er, ma non lo trovava.
– Dov’è Er? Dov’è Er?
Alla fine, intervenne il capo di stato maggiore dell’esercito assiro, tutto inghirlandato e disse:
– Mia Signora! Er è morto valorosamente in battaglia.
– No!
Semiramide ne fece una malattia. Era veramente innamorata di Er e non voleva ucciderlo. Era l’unico uomo che aveva amato veramente in tutta la sua vita e non voleva perderlo, anche a costo di perdere la sua immortalità. Cadde in una profonda depressione. Se la prese con Nergal, ma invano:
– Concedi ad Er di tornare dall’inferno!
– Ma tu sei pazza! Se vuoi vieni tu a stare con lui qua!
E, infatti, Semiramide tentò più volte il suicidio ed era guardata a vista dai soldati. Il suo regno stava sgretolandosi. Allora i generali cominciarono a preoccuparsi:
– Cosa possiamo fare? Dobbiamo far riprendere Semiramide. Altrimenti siamo fritti!
Fu trovato un sosia di Er e fu portato dalla regina. La regina subito si riprese e stava con lui notte e giorno. Il regno riprese a prosperare.
Intanto Er era sceso nell’inferno. Si era trovato nella Pianura della Verità (Pεδιαλήθεια) tutta verde, dove c’era una dogana che bisognava passare. Vi era un’immensa fila di morti che stava ad aspettare di passare la dogana. Alle porte della dogana vi erano tante guardie che assistevano le tre regine, le Moire, che erano: Maria Lachesi, la giustizia, Maria Clotilde, la misericordia, Maria Atropina, il sogno, custode del cielo onirico. Coloro che avevano commesso peccati gravi entravano nella porta dell’inferno, da dove andava e veniva una nave, guidata dal capitano Caronte. Questa nave era capace di viaggiare nell’etere, il quinto elemento, il fluido primordiale (l’acqua di Talete). Questa nave conduceva i defunti sul pianeta Venere, un pianeta squallido, pieno di vulcani e di fuoco, con temperature altissime. Venere è associata, fin dall’antichità, a Lucifero, il Diavolo. Coloro che erano giusti entravano in un’altra porta, da dove un’altra nave cosmica conduceva i defunti sul pianeta Urano e di là accedevano al cielo delle stelle fisse, patria dei beati (l’Iperuranio di Platone, corrispondente al Motore Immobile aristotelico e all’Essere perfetto parmenideo). Le tre regine presiedevano ai tre mondi: l’iperuranio, l’etereo, e il mondo sublunare, dominato dai quattro elementi: liquido, solido, gassoso e caloroso.
Altri defunti che commettevano peccati veniali erano costretti a purificarsi e tornavano sulla terra, dopo aver scelto, in ordine di arrivo, i paradigmi di vita che offriva loro Maria Lachesi. Molti scappavano dalla dogana e si perdevano nella Pianura della Verità, soprattutto coloro che non accettavano la condanna inflessibile, la sentenza delle Moire. Er si salvò perché in effetti non aveva commesso il peccato di lussuria, ma vi era stato costretto da Semiramide. E fu condannato a un periodo di espiazione ed alla metempsicosi in un paradigma di vita che avesse scelto. Però Er era preoccupato, voleva tornare subito sulla terra. Non poteva aspettare il periodo di espiazione e di prova, poi la reincarnazione in un nuovo essere vivente.
Intanto Semiramide aveva avuto da Er una figlia: l’unica figlia in una serie di figli maschi. Fu un’eccezione sensazionale, un segno del cielo. A lungo andare Semiramide si accorse che il sosia di Er non era il vero Er: era stata ingannata! Allora ricadde di nuovo in depressione e per vendicarsi lo mandò in battaglia, contro gli Ittiti, un popolo mostruoso e selvaggio, sicuro che sarebbe caduto alle prime battute d’armi.
– Combatti per me Er. Portami la vittoria.
– Certo, mia regina, farò qualsiasi cosa per te!
Il sosia di Er scese in battaglia, però con tutte le accortezze dei generali per mantenerlo in vita, preoccupati per il regno, non riuscì a salvarsi: fu colpito, infatti da un dardo pazzo. Nergal aveva cercato di impedire la morte del falso Er, ma non c’era riuscito e lo stesso re dei morti dovette sottomettersi alla Necessità assoluta, al Fato, controllato dalla guardia dei mondi: Aνάγκη. Questa è la Necessità, il Karma degli Indi, il Contrappasso medievale, il Fato ed indica l’invarianza delle leggi fisiche. E fu così che il vero Er riuscì a tornare tra i vivi, perché le guardie delle Moire ripresero il sosia di Er che era scappato, credendo che fosse il vero Er e lo riportarono al cospetto delle tre regine. Per questa sua fuga fu punito e spedito nell’inferno di Lucifero, il pianeta governato da Satana e gli angeli ribelli, laddove c’è il fuoco eterno, pianto e stridore di denti, i vermi non muoiono mai e trionfa l’eterna morte. Il vero Er così riuscì a tornare nel mondo dei vivi.
Er tornò vivo dalla battaglia, anche se l’esercito era stato sconfitto dagli Ittiti, con gran stupore di Semiramide. Semiramide indignata voleva trafiggerlo, ma mentre impugnava il pugnale riconobbe la voce di Er:
– Amore mio!
Semiramide volle sposare Er. La loro figlia fu chiamata Rama e successe come regina al regno degli Assiri. Col vero amore, Semiramide spezzò l’incantesimo di Nergal e perse l’immortalità. Si trovò d’un tratto vecchissima e decadente. Ma Er per amore non l’abbandonò mai. Semiramide morì poco dopo, dopo essersi convertita. E si convertì pure tutta la città di Ninive e Dio si impietosì e non distrusse quella città, come aveva fatto con Sodoma e con Gomorra.
La discendenza di Er fu popolosa come le stelle del cielo e come i granelli di sabbia nel deserto: diede luogo al popolo eletto degli Armeni e a quello glorioso degli Ariani, che riportano la radice del suo bel nome (“Ar”). Gli eroi erano esseri semidivini, a metà tra angeli e uomini, che sono spariti dalla celeste gerarchia. Perché? Puniti da Dio per la loro tracotanza (ύβρις). Erano equiparati ai Titani, ma non tutti i Titani erano cattivi (i Nephilim biblici). Sicuramente tutti i titani erano eroi, ma non tutti gli eroi erano Titani: ce n’erano di più piccole dimensioni, che erano giganti in senso metaforico, non fisico. Così eroi erano uomini più dotati, o di intelligenza (geni apollinei), o di forti capacità istintive (geni dionisiaci).
Abbiamo voluto riportare questa leggenda, che nasce dalla ricomposizione di più miti antichi, per valorizzare il significato esoterico del mito di Er. Nella cosmologia antica i luoghi sono metaforici (e metaforico=metafisico). I mondi corrispondono alla stratificazione elementale: terra (inferi); acqua (fluido sublunare, mondo terrestre superficiale); aria (mondo celeste. Primi cieli, o prime sfere); fuoco (mondo solare spirituale); etere (mondo etereo); iperuranio (mondo divino assoluto: l’essere in-Dio). Questi elementi sono misti nell’uomo e corrispondono agli stati primordiali della Natura: solido, liquido, gassoso, calore, etere, punto di immobilità (freddo assoluto, cioè lo 0 assoluto gradi kelvin, - 460 Fahrenheit). Questo mondo la tradizione celtico-germanica lo chiamava lo Hel: il deserto di ghiaccio, corrispondente al mondo dei morti. L’universo quadridimensionale corrisponde a quello quadri-elementale. L’altezza è l’aria, il verticale; la lunghezza è la terra, l’orizzontale; la profondità è l’acqua, l’abisso, il fuoco è il tempo-moto. Oltre a queste ci sono altre dimensioni. Quella eterea è circolare: la curvatura spazio-temporale. Quella iperuranica è l’immobilità dello spazio-tempo assoluto (0 gradi Kelvin). Questo Spazio-Tempo assoluto è euclideo perfetto, mentre quello etereo è non-euclideo.
Il mito di Er è un mito escatologico che va correlato a quello del carro alato: l’antica topica della personalità pre-freudiana, che Freud riprende insieme al paradigma edipico, nonché elettrico (d’Elettra). Nel mito vengono indicate le metamorfosi dell’anima, che riprende anche in parte Nietzsche, rielaborandole (cammello, leone, bambino): Orfeo-cigno; Tamiri-usignolo (donde tamerice, “myricae”); Aiace-leone; Agamennone-aquila; Atalanta-atleta (atleta, infatti deriva da sincope di Atalanta); Epeo-donna (emblema dell’androginia originaria legata al mito di Eros); Tersite-scimmia; Odisseo-uomo (“Uno-nessuno-centomila”); etc.: «E nello stesso modo passavano dalle altre bestie in uomini e dalle une nelle altre: le ingiuste si trasformavano in quelle selvagge, le giuste in quelle mansuete. Si facevano mescolanze di ogni genere, si presentavano a Lachesi nell’ordine stabilito dalla sorte. A ciascuno ella dava come compagno il demone che quegli si era preso, perché gli fosse guardiano durante la vita e adempisse il destino da lui scelto». Il demone socratico coscienziale è l’angelo custode della tradizione biblico-cristiana, ma rappresenta anche l’uomo etereo, copia dell’Homo iperuranio. L’homunculus platonicus è l’idea. Dio è Figlio dell’Uomo, oltre che di Dio, cioè dell’Uomo originario, l’Adamo pre-cosmico. Il “Terzo Paradiso” è anche il ritorno allo stadio primordiale, iperuranio. In questo cammino del plotiniano “Reditus” ci si può perdere nell’Ombra: il Lete, contrapposto dell’A-Lete: la Verità, cioè la Luce che fende ed esce dal Buio. I paradigmi biotici (da “vita”) non sono solo stati “metempsicotici”, di provenienza orientale, ma rappresentano stadi del cammino dell’anima verso la sua coscientizzazione cosmica (la “Fenomenologia” hegeliana: l’Anima diventa l’Assoluto). Non tutti riescono a compiere tutti gli stadi, ma possono rimanere intrappolati, anche per sempre, nei cicli, o in determinate posizioni, come i cerchi danteschi. Il principio di individuazione presuppone il suo inverso: quello di dis-individuazione. È più facile dominare una massa di individui assoluti divisi (“Divide et impera”: principio analitico del Diavolo: il divisore) che un popolo cosciente, cioè un Io collettivo.
«Lui, Er, aveva ricevuto il divieto di bere quell’acqua. Per dove e come avesse raggiunto il suo coro non lo sapeva. Sapeva soltanto che d’un tratto aveva aperto gli occhi e s’era veduto all’alba giacere sulla pira. E così, Glaucone, s’è salvato il mito e non è andato perduto. E potrà salvare anche noi, se gli crediamo e noi attraverseremo bene il fiume Lete e non insozzeremo l’anima nostra. Se mi darete ascolto e penserete che l’anima sia immortale, che può soffrire ogni male e godere ogni bene, sempre ci terremo alla vita che porta in alto e coltiveremo in ogni modo la giustizia con l’intelligenza, per essere amici a noi stessi e agi Dei…». Un messaggio di un Platone che assomiglia molto qui a un Padre della Chiesa, un messaggio autentico: fuggire il Lete, l’oblio! Le tenebre giovannee, cioè il Male ed il suo regno!
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