martedì 29 luglio 2014

Su Diversità apparenti. Un’esperienza, una prospettiva

recensione di Alfredo Tagliavia


http://www.faraeditore.it/html/siacosache/diversitapparenti.html
Una delle idee che emerge con forza maggiore, alla lettura dell’importante volume di Carla De Angelis e a cura di Stefano Martello Diversità apparenti. Un’esperienza, una prospettiva (Fara 2007), nella generale densità concettuale del testo, è proprio quella, mutuata dal titolo stesso, dell’ “apparenza della diversità”.
Si tratta di un’ “apparenza” intesa in due significati diversi: in primo luogo, dell’apparenza di colui (o colei) che, in quanto “diverso” da una reale o presunta normalità rappresentata dalla maggioranza delle altre persone, non esiste veramente, bensì conduce una vita invisibile, vissuta su canali paralleli rispetto a quelli della società che funziona e procede su altri ritmi e con altre logiche, senza incontrarvisi mai o quasi; di chi, in altre parole, agli occhi degli altri, semplicemente non vive.
Se si guarda un po’ più in profondità, però, la categoria dell’apparenza può essere utilizzata anche in un secondo significato, dandole una nuova chiave di lettura: l’apparenza, che rappresenta nelle categorie semantiche delle maggiori correnti filosofiche del passato la “non-verità”, accostata al termine “diversità”, può dire di una diversità che non è vera, cioè che non rappresenta una diversità reale dal mondo della “normalità”, ma solo una diversità presunta – apparente, appunto.
A partire da questo assunto fondamentale, il dialogo fra Carla e Stefano si snoda profondo e faticoso, alla ricerca di significati interpretativi di gesti che sembrano non avere una spiegazione né un senso, di episodi di vita vissuta a contatto con una realtà tragica (anche perché è la società che porta a viverla in questo modo) vissuti con una punta d’inaspettata ironia, verrebbe da dire quasi con leggerezza, consapevoli dell’estrema “pesantezza” di questo termine se rapportato all’ambito in questione.
Emerge così la voglia di Roberta – la figlia di Carla con sindrome autistica, vera protagonista di questo difficile e bel libro – di uscire fuori, di urlare il suo mondo, magari in tono sguaiato o non politicamente corretto, ma con una voce che svela una realtà che c’è, esiste, che è lì a guardarci ad occhi aperti e che con gli stessi occhi ci costringe a guardare.
I molti episodi della vita quotidiana con Roberta che Carla De Angelis narra, sapientemente “pungolata” dalla penna di Stefano Martello, illuminano un mondo emotivo difficile e complesso sì, turbolento forse, ma tutto sommato anche elementare, semplice, forse rimasto forzatamente ad uno stadio di desiderio infantile, eppure esprimente qualcosa che è dentro la mente e il cuore di tutti i cosiddetti “normali” : da qui si declina uno dei significati di “diversità apparente”.
Chi, infatti, non avrebbe voglia, almeno in un angolo ben nascosto di sé, di tirare in faccia al cameriere del ristorante il piatto che porta a tavola se non è esattamente come quello che si vorrebbe o si era immaginato? Chi non avrebbe voglia, come primo istinto, di fuggire da un luogo quando non risulta accogliente, piacevole o divertente per certe caratteristiche inaspettate che presenta? Oppure, chi di noi non avrebbe l’istinto di dare una sberla ad uno sconosciuto, se prima di conoscerci azzarda subito un affettuoso abbraccio? Ciò che sembra mancare al mondo emotivo di Roberta, più che altro, è la dimensione dell’inibizione sociale, probabilmente connessa anche a una mancata capacità di immedesimazione nell’altro, motivata dal fatto che non si è stati in grado (Roberta, ma anche la “società educante” che le sta intorno) di costruire un’adeguata rappresentazione mentale di identità/differenziazione, a partire sia da sé stessi, sia dal mondo circostante.
Molti dei suddetti episodi vengono narrati da Carla con un distacco che si potrebbe definire quasi “ironico”, da consumata scrittrice quale è: risulta sorprendente, infatti, immaginare l’entità dello sforzo e la qualità del percorso personale che l’autrice ha dovuto affrontare per giungere ad accettare una realtà quotidiana così dura, dove spesso i genitori vengono lasciati a loro stessi con pochissimo aiuto dall’esterno, con la serenità e lo spirito di abnegazione dimostrati.
Ma un’ulteriore tematica di sfondo costante nel testo, sulla quale è imprescindibile fare un cenno, riguarda non solo i vissuti personali, ma anche e soprattutto il vissuto “sociale”, cioè della comunità che sta intorno alla realtà dell’autismo e della disabilità in generale: delle istituzioni prima di tutto, delle politiche locali e nazionali, della mentalità comune. Su questo aspetto si coglie un pessimismo di fondo degli autori, un’idea che le cose peggiorino col passare degli anni anziché migliorare: tutte le conquiste degli anni ‘70/’80 sono pian piano rientrate in un’ottica controriformista e si sono tradotte in tagli di fondi pubblici, limitazione di orari scolastici e possibilità extrascolastiche, maggiori spese per le famiglie, cambiamento inevitabile di una mentalità che, a fronte di una simile regressione, non può che passare dal meditato rispetto all’affrettato assistenzialismo, dalla calda accoglienza alla fredda e asettica medicalizzazione (quando non a forme di nuova ghettizzazione sociale).
Forse bisognerebbe ripartire proprio da questo: dal chiedersi “perché?”. Perché oggi si sta scivolando verso questo abisso, nonostante le molte voci pubbliche che si riempiono la bocca con parole quali “inserimento”, “integrazione”, “inclusione” e così via? Perché tutta l’avanzata cultura acquisita in precedenza sta arretrando o si va perdendo? Perché anche la mentalità comune arretra verso un individualismo piccolo invece di aprirsi alle grandi “diversità apparenti” del nostro sociale?
Si tratta di una riflessione faticosa e scomoda a farsi, che probabilmente non coinvolge solo il mondo della disabilità ma, a partire da questo, la ben più vasta tela dei rapporti umani, sociali, politici ed economici nella quale oggi siamo irretiti e spesso ci muoviamo annichiliti.

1 commento:

Unknown ha detto...

Ringrazio Alfredo Tagliavia Stefano Martello e Alessandro Ramberti. Mi auguro caro Alfredo che qualcuno o meglio tanti vogliano ripartire da quei perché, se tu hai posto quelle domande vuol dire che il libro ha avuto un senso. Carla