di Emilia Dente
Caro Michele – mi permetto rispettosamente il caro, in un impeto di affratellamento affettuoso e rassegnato – mi specchio nel tuo disagio di genitore di un adolescente, appartenente alla tribù degli Sdraiati… ritrovo, nel profilo incerto di tuo figlio, i tratti acerbi del mio. Le sciatte abitudini, la presenza assente, l’impenetrabile cortina di noncuranza agli eventi della casa e dell’universo, lo sguardo lontano e perso, incapace di penetrare la bellezza e la complessità della natura e del mondo intorno… Come te pure io sono rimasta sgomenta a scrutare mio figlio tante volte… mio figlio… quella parte di me che mi guarda dal suo altrove e cammina per altre strade… tante volte l’ho cercato nel labirinto dei suoi pensieri, affondando nelle sabbie mobili del tempo che inesorabile ingoia la vita. L’ho cercato, lo cerco. L’ho trovato nelle pagine del tuo scritto, sprofondato nella cuccia-divano del suo molle giorno di pallido sole, tra briciole di emozioni e mozziconi di parole. Ho seguito il contorno sfumato della sua breve ombra e ho trovato te, ho trovato me – il genitore, il padre, la madre – creature appesantite dagli anni e dalle ragioni, sbiadite sull’orlo di una società che non ci appartiene. Siamo noi, sempre di corsa in un tempo che non aspetta nessuno, sempre in bilico, sempre precari e flessibili tra verità presunte e bugie amare. Siamo noi l’anello tentennante nella sequenza della specie. Noi figli di una rivoluzione possibile e ancora incompiuta. Noi, allattati a promesse, nutriti nelle calde culle del progresso e della libertà. Noi cresciuti nel sole della conoscenza, figli naturali di un’epoca di contestazione e lotte, noi sessantottini di seconda mano che abbiamo alzato lo scudo del pensiero e del dialogo, e ci siamo accorti tardi di non avere, sotto questo scudo, sufficiente riparo. Abbiamo smantellato nel rosso delle palizzate e/o nell’ombra dei banchi di scuola, le mura soffocanti dei pregiudizi che offuscavano il pensiero, ieri, e non abbiamo costruito ripari per il sole cocente di domani. Non un sentiero dritto da seguire abbiamo tracciato, non orme autorevoli e pesanti abbiamo lasciato, ma una scia luminosa che amplia l’orizzonte dell’essere silente. E allora, al crocevia delle generazioni, consegnando il testimone dell’evoluzione, mi chiedo con te “Tra simulare un’autorità ben strutturata ma finta ed esercitarne una gracile e fluttuante, però autentica, che cosa è peggio?”. Ognuno, ben saldo sulle proprie articolazioni sociali, risponda a sé stesso, e parta da questa risposta per costruire la propria eredità genitoriale ed umana. E se ne assuma le conseguenze.
So che mio figlio, con le Converse e il telefonino, sul Colle della Nasca ce la farà a salire, e in vetta saranno in tanti. Noi, padre e madre degli Sdraiati, li saluteremo da lontano.
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