giovedì 11 luglio 2024

Libertà di parola




Le litanie dell’uomo comune nelle società democratiche non prescindono mai da un granitico assioma: viviamo in libertà perché ci è permesso dire ciò che vogliamo. Ritengo si tratti di una stantia frase fatta, abilmente imboccata da chi non si vede mai sul palcoscenico. Infatti non possiamo dare lezioni ai regimi totalitari per la nostra presunta libertà se dimentichiamo che possiamo “goderne” fino a quando non diamo fastidio toccando interessi tabù.

A tale proposito propongo due esempi storici.

Aldo Moro, esponente di spicco della Democrazia Cristiana, propose un governo con la partecipazione del Partito Comunista, allora fortunatamente non ancora PD e decisamente poco atlantista. Gli fu lasciata la libertà di progettare il Compromesso Storico, ma non di attuarlo. Infatti intervennero le Brigate Rosse, che non brillavano per acume e strategia politica, perciò facilmente manovrabili da chi aveva una certa esperienza nel rovesciare i governi che non erano di suo gradimento. E così fu rapito, massacrata la scorta, e poi anch’egli ucciso il 9 maggio 1978.

Nell’ottobre del 1985 in Sicilia, a Sigonella, si rischiò lo scontro armato fra carabinieri, reparti dell’aeronautica italiana e i militari USA della Delta Force a causa dell’arresto di un terrorista palestinese. Gli USA dovettero riconoscere la sovranità italiana, rappresentata dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, che però non venne ucciso, semplicemente fu annientato politicamente con la scoperta che il PSI, il suo partito, rubava, una pratica peraltro molto diffusa in tutti i partiti.

Attualmente il simbolo della democratica libertà di parola sono i social dove si può scrivere di tutto contro tutti. Capita che qualche post un po’ fastidioso per “qualcuno” venga solertemente rimosso, ma questo, per i sacerdoti del web, nulla toglie al nuovo vento di libertà che permette a tutti di esprimersi. Secondo la narrazione corrente solo le dittature controllano, censurano e oscurano costantemente. Purtroppo si fa finta di non sapere che la Rete è una dittatura mondiale composta da un ristretto manipolo di persone che in qualsiasi momento possono decidere di spegnere la luce. Tuttavia senza arrivare alla “soluzione finale” è possibile considerare anche un altro percorso con il quale si sancisce un principio che costituisce uno dei capisaldi della dittatura: chiunque può fare una recensione su di un locale, ma non è certo che lo scritto rimanga. Infatti esistono aziende che promettono la cancellazione delle recensioni negative dietro il pagamento di una discreta somma di denaro. E non si tratta di una truffa per abbindolare sempliciotti-sprovveduti, ma di un oliato meccanismo che realizza puntualmente le promesse. A questo punto dovrebbe essere chiaro che ci si trova di fronte a una sfacciata presa per i fondelli per coloro che scrivono e poi per chi legge, meglio, non legge le informazioni.

Un ulteriore esempio delle parole che cozzano contro un muro ci viene fornito dalle Soprintendenze che presiedono alla conservazione del patrimonio paesaggistico italiano. Ebbene contro di loro si possono scrivere articoli di fuoco, denunciare fatti incontrovertibili, ma è utopico sperare in una risposta perché, come un regime dittatoriale, decidono a prescindere dalle considerazioni del cittadino e in assenza di un controllo sul loro operato. E su questo argomento posso fornire dettagliate informazioni relative alla Soprintendenza di Brescia e Cremona.

La surrettizia negazione della libertà di parola si manifesta anche in contesti locali. Capita, ad esempio, che un Comune del mantovano metta in condizione una persona di licenziarsi, perché osava chiedere un piccolo adeguamento dello stipendio, e di affidare lo stesso compito ad una cooperativa ad un costo triplicato. Qualcuno denuncia il fatto, ma rimane lettera morta, perché i due giornali locali osservano un rispettoso silenzio sulla notizia. Certo, è stata una libera scelta editoriale capace di fare a pugni con la libertà di informazione.

Credo che i Paesi cosiddetti democratici possano esser paragonati ad uno zoo dove ciascuno è libero di fare il proprio verso: abbaiare furiosamente, muggire pacatamente, bramire elegantemente, ruggire prepotentemente miagolare petulantemente, ma a condizione di non uscire dalla propria gabbia perché tutto deve rimanere come è stabilito da chi controlla nell’ombra.

E così l’uomo comune delle società “democratiche” lancia strali e invettive contro le dittature e non si accorge, poverino, che è sepolto dall’eco di ritorno.

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