Maria Lenti, Apologhi in fotofinish. Racconti e altri scritti, Prefazione di Manuel Cohen, Fara Editore 2023
Nota di lettura di Silvano Sbarbati pubblicata su Lettere migranti
Un lettore ha il diritto a dirsi, col piacere di restituire il suo lavoro di lettura avendo la fortuna di conoscere l’autore/autrice? Certo che sì, se si tratta di Maria Lenti. Che, per di più, non tralascia di esercitare la sua anima forte di docente e lo spinge ad un lavoro meno veloce, arando il proprio campo più in profondità. E dunque…
Preso in mano come oggetto (e un libro lo è) Apologhi in fotofinish. Racconti ed altri scritti di Maria Lenti, Fara Editore, Rimini 2023, per la grana della copertina, per il formato e per i tipi di stampa, mi ha richiamato alla mente una collana editoriale che si occupa di letteratura nordeuropea. Di primo acchito un oggetto che guarda ad altri esempi, una ripetizione? No, perché, dopo la lettura, si capisce la verità della scelta. Uso il termine verità nel tentativo, spero riuscito, di farla diventare parola – come finemente ci ha insegnato Leopardi nel suo Zibaldone, distinguendole.
La verità sta nel fatto – e scrivo da lettore-lettore non da lettore-recensore – che questo libro (oggetto di carta e di segni) si dispone ad essere un oggetto da portare con sé, in tasca o in comoda borsa. Trasportato perché presto un compagno di viaggio in quanto vettore – lui stesso – di altri viaggi: quelli di una esperienza che – appunto – pagina dopo pagina intuisco di verità.
Come lettore, intuisco, maturo argomenti, costruisco riflessioni da una scrittura che pagina dopo pagina – e talvolta con accelerazioni e strappi, immersioni o voli – mi si rivela necessaria. E dunque ancella di verità.
Nel libro è come se esistessero tre grandi cornici-contenitori di questa verità. La prima è quella dello scavo e della rivelazione di sé.
La seconda quella dello sguardo e della scoperta dell’Altro.
La terza quella della riflessione tra il sé e l’Altro.
Alla prima appartengono gli squarci sui sentimenti primari e la narrazione sui percorsi autobiografici propri e di ambiti prossimi. In particolare, Maria Lenti apre i propri riflettori dinanzi a invidia e gelosia; e illumina, con grazia ma senza sconti, modi di connotare gli stati d’animo complessi e intimi che, per limpidezza e chiarezza, mi hanno rimandato (o meglio mi hanno risuonato seppure diversi) con quelli di Ernesto di Umberto Saba. Mi sono detto che anche lì era un poeta ad aprirci finestre su mondi così densi di mistero; e qui è una poetessa a farlo – altra epoca, certo, altre sensibilità, altra lingua, tutto altro, ma il sapore e l’odore e la carne del sentimento riescono a passare al lettore come viciniori, consonanti appunto.
La seconda cornice è più facile da riconoscere e da sistemare sulle pareti delle stanze del lettore: si tratta della descrizione di persone che non sono bozzetti, ma piuttosto vita in dinamismo. Si fanno leggere in movimento, letteralmente, e c’è piacevolezza anche fisica – confesso – nel girar pagina immaginando di voltare l’angolo e di seguire, come un inseguimento di curiosità, l’andamento della storia di gente che ha avuto comunque una propria verità vitale.
La terza cornice è quella che mi spingo a definire della “politica della scrittura”. Un esempio per tutti è a pag. 148, quasi alla fine, Metamorfosi di un mito in poesia nella parte Ricerca. Leggendo e rileggendo mi è apparso un convincente splendido esempio (per argomentazione, per pertinenza, per concretezza) di pedagogia dello scrivere. Andrebbe pubblicata in esergo ai testi scolastici. Oppure potrebbe essere declamata da qualche (inutile?) fine dicitore nei reading (inutili?) di poesia, o pubblicata nei programmi (retorici?) dei festival di letteratura. In quei reiterati Che vi sia libertà a capo riga c’è tutta la forza di una esperienza a stretto contatto con la carne viva di una società viva.
Sempre mantenendo… vivo e vegeto un atteggiamento da lettore, debbo confessare uno strano accadimento: non so per quale misterioso mutamento il titolo ripetuto a capo pagina mi si è trasformato alla vista in Apologhi in profondità.
Forse questo (visto che ho letto molta verità) è il titolo vero?
La mia vista mi ha finto un’altra parola. E il verbo fingere è un verbo molto strano…
Per questo, forse, molte parole, qui sopra, hanno la forma corsiva…
Grazie.
Silvano Sbarbati
Monte Roberto, 4 settembre 2023
Nota di lettura di Silvano Sbarbati pubblicata su Lettere migranti
Un lettore ha il diritto a dirsi, col piacere di restituire il suo lavoro di lettura avendo la fortuna di conoscere l’autore/autrice? Certo che sì, se si tratta di Maria Lenti. Che, per di più, non tralascia di esercitare la sua anima forte di docente e lo spinge ad un lavoro meno veloce, arando il proprio campo più in profondità. E dunque…
Preso in mano come oggetto (e un libro lo è) Apologhi in fotofinish. Racconti ed altri scritti di Maria Lenti, Fara Editore, Rimini 2023, per la grana della copertina, per il formato e per i tipi di stampa, mi ha richiamato alla mente una collana editoriale che si occupa di letteratura nordeuropea. Di primo acchito un oggetto che guarda ad altri esempi, una ripetizione? No, perché, dopo la lettura, si capisce la verità della scelta. Uso il termine verità nel tentativo, spero riuscito, di farla diventare parola – come finemente ci ha insegnato Leopardi nel suo Zibaldone, distinguendole.
La verità sta nel fatto – e scrivo da lettore-lettore non da lettore-recensore – che questo libro (oggetto di carta e di segni) si dispone ad essere un oggetto da portare con sé, in tasca o in comoda borsa. Trasportato perché presto un compagno di viaggio in quanto vettore – lui stesso – di altri viaggi: quelli di una esperienza che – appunto – pagina dopo pagina intuisco di verità.
Come lettore, intuisco, maturo argomenti, costruisco riflessioni da una scrittura che pagina dopo pagina – e talvolta con accelerazioni e strappi, immersioni o voli – mi si rivela necessaria. E dunque ancella di verità.
Nel libro è come se esistessero tre grandi cornici-contenitori di questa verità. La prima è quella dello scavo e della rivelazione di sé.
La seconda quella dello sguardo e della scoperta dell’Altro.
La terza quella della riflessione tra il sé e l’Altro.
Alla prima appartengono gli squarci sui sentimenti primari e la narrazione sui percorsi autobiografici propri e di ambiti prossimi. In particolare, Maria Lenti apre i propri riflettori dinanzi a invidia e gelosia; e illumina, con grazia ma senza sconti, modi di connotare gli stati d’animo complessi e intimi che, per limpidezza e chiarezza, mi hanno rimandato (o meglio mi hanno risuonato seppure diversi) con quelli di Ernesto di Umberto Saba. Mi sono detto che anche lì era un poeta ad aprirci finestre su mondi così densi di mistero; e qui è una poetessa a farlo – altra epoca, certo, altre sensibilità, altra lingua, tutto altro, ma il sapore e l’odore e la carne del sentimento riescono a passare al lettore come viciniori, consonanti appunto.
La seconda cornice è più facile da riconoscere e da sistemare sulle pareti delle stanze del lettore: si tratta della descrizione di persone che non sono bozzetti, ma piuttosto vita in dinamismo. Si fanno leggere in movimento, letteralmente, e c’è piacevolezza anche fisica – confesso – nel girar pagina immaginando di voltare l’angolo e di seguire, come un inseguimento di curiosità, l’andamento della storia di gente che ha avuto comunque una propria verità vitale.
La terza cornice è quella che mi spingo a definire della “politica della scrittura”. Un esempio per tutti è a pag. 148, quasi alla fine, Metamorfosi di un mito in poesia nella parte Ricerca. Leggendo e rileggendo mi è apparso un convincente splendido esempio (per argomentazione, per pertinenza, per concretezza) di pedagogia dello scrivere. Andrebbe pubblicata in esergo ai testi scolastici. Oppure potrebbe essere declamata da qualche (inutile?) fine dicitore nei reading (inutili?) di poesia, o pubblicata nei programmi (retorici?) dei festival di letteratura. In quei reiterati Che vi sia libertà a capo riga c’è tutta la forza di una esperienza a stretto contatto con la carne viva di una società viva.
Sempre mantenendo… vivo e vegeto un atteggiamento da lettore, debbo confessare uno strano accadimento: non so per quale misterioso mutamento il titolo ripetuto a capo pagina mi si è trasformato alla vista in Apologhi in profondità.
Forse questo (visto che ho letto molta verità) è il titolo vero?
La mia vista mi ha finto un’altra parola. E il verbo fingere è un verbo molto strano…
Per questo, forse, molte parole, qui sopra, hanno la forma corsiva…
Grazie.
Silvano Sbarbati
Monte Roberto, 4 settembre 2023
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