Ondinotte di Roberto Morpurgo
(Fara Editore, 2020)
Roberto Morpurgo, scrittore maturo con alle spalle molte e significative pubblicazioni di narrativa, aforismi, teatro, propone in questo suo Ondinotte una raccolta di racconti brevi o brevissimi che come riportato sulla copertina sono “fiabe per adulti mai stati bambini”, splendida definizione ricca di ossimori che bene introduce allo spirito dell’opera. Se la fiaba è una forma letteraria ricca di implicazioni tipiche, di tutta una sua serie di simbologie e significati, destinati soprattutto all’infanzia, vero è che il rapporto di questo genere letterario con la sfera dell’inconscio collettivo e del subconscio è stato profondamente e diffusamente studiato e documentato: questo porta la fiaba a essere costituzionalmente un genere per adulti, perché scritto e pensato da adulti, sebbene con un linguaggio e storie accessibili ai bambini, come se l’adulto volesse regredire alla sua precedente condizione di bambino, entrare in dialogo con il bambino che è ancora in lui, se è capace di ritrovarlo. Quali sono allora queste fiabe scritte da un adulto che in realtà bambino non è mai stato o non ammette di esserlo stato? Quale la loro forma, la loro destinazione?
Roberto Morpurgo ci propone allora un insieme di racconti, che tendono essi stessi a definirsi favole o tentativi di favole o ancora sabotaggi di favole, in cui a dominare la scena è soprattutto il fantastico che spesso si deforma in surreale o grottesco: a questo contribuisce anche l’uso di un linguaggio polimorfo che combina termini colloquiali a vocaboli desueti o ricercati, giochi di parole a veri e propri calembour, sense of humour a non-sense, ironia a sarcasmo, leggerezza del racconto a riflessioni più profonde, esistenziali, anche se spesso combinate con il sorriso, con l’understatement. Ne deriva una raccolta molto variegata, e mai monotona, di racconti-favole in cui è l’elemento fantastico a essere preponderante, quasi come se l’autore volesse indicarci la strada per staccarci da terra, abbandonare i ceppi di una razionalità ormai ingiustificatamente greve e oppressiva, tanto da rendere l’aria irrespirabile, da pretendere una fuga liberatoria nel mondo della fantasia e dell’immaginazione, libere di esprimersi, di dettare le proprie regole a un lettore che deve essere pronto a confrontarsi con l’inconsueto, l’imprevisto, il “literarily incorrect”, a superare quella soglia, spesso molto sottile, fra vita e suo assurdo. Tutto questo avviene però senza intellettualismi, enunciazioni di principio o schemi precostituiti, ma si ha sempre l’impressione che la parola di “Ondinotte”, libera da vincoli imposti o auto-imposti, conduca in uno spazio tutto suo, dove avviene solo sé stessa, abbandonando tutte le costrizioni e le fossilizzazioni dovute al (cosiddetto) reale.
Di trovata in trovata, tutte peraltro originalissime, che spesso equivocano con il senso delle parole creando associazioni improbabili da cui scaturiscono storie (come quella fra balena e baleno, Caino e Adele, un Martin Peccatore e una Martina gabbianella, capro espiatorio e capra (r)espirato(r)ia, Coupin e Coupon, topografia e gattografia, esopismi sui generis e via dicendo), il lettore attraversa piacevolmente tutti i racconti del libro, incuriosito dalle storie e dalla lingua, in un’altalena di percorsi narrativi capace di rinnovarsi ininterrottamente.
Tutte prove a favore di un libro curioso, riuscito, avvincente.
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