«… vogliamo vedere Gesù». Con questa richiesta si apre il Vangelo che caratterizza la tappa odierna, V Domenica di Quaresima, come ultimo “segno” che scandisce il cammino che stiamo compiendo: dalle ceneri, dal deserto alla Vita risorta, alla Terra promessa.
Un cammino…orientato verso un “tempo” più che un “luogo”, una “ora”: quella di Gesù…e la nostra. «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (cfr. 2 Cor 6, 2): con tale appello si apriva il cammino “della santa Quaresima”, il giorno delle ceneri…lo abbiamo colto e accolto come “momento favorevole”, “ora della salvezza”?! Per noi, per te e per me… è effettivamente, realmente così: ci sentiamo, siamo in cammino verso quell’ora… abbiamo iniziato il cammino che porti a compimento la nostra unicità e irripetibilità in questo mondo…?! “Dove sei, dove ti trovi… fin dove sei arrivato nel tuo mondo?”.
Questo cammino è indirizzato a un giorno particolare, trova il suo fine in un’ora precisa: «il culto durante la festa». È la festa di Pasqua che Gesù si appresta a celebrare e a vivere…e anche noi! È la Pasqua di Cristo – non più “dei Giudei” – e quella dei suoi discepoli…la nostra! Come ci stiamo preparando, avvicinando all’ora pasquale? “Quali sentimenti, pensieri, desideri, attese, angosce o speranze abitano il tuo, il mio cuore?”.
«Tra quelli che erano saliti…alcuni Greci»: questi “greci” non fanno parte del Popolo d’Israele – non erano circoncisi – ma vengono a Gerusalemme per partecipare al pellegrinaggio pasquale come simpatizzanti o forse proseliti; pur non appartenendo al popolo eletto, tuttavia onoravano Dio secondo la religione ebraica e volevano camminare in quella luce che tale fede emanava. Noi siamo “figli” di quegli uomini di cultura greca, sono i nostri “antenati e padri” per provenienza storica e culturale: è di noi – di me e di te – che si parla nel Vangelo, è a noi che si rivolge la Parola del Signore…e noi – come quei greci – veniamo a Lui portando nel cuore una domanda insistente, un desiderio profondo. “Hai consapevolezza, senti che questa Scrittura è per te…qual è la tua domanda, il desiderio che porti, rivolgi a Lui?”.
«… si avvicinarono a Filippo … ad Andrea, e … andarono a dirlo a Gesù»: non vanno direttamente da Gesù, Lui – il “maestro” – non è immediatamente accessibile; presentano la loro richiesta agli unici due discepoli che portano un nome greco, che parlano la loro lingua, che li possono capire. Si rivolgono a qualcuno che faccia da intermediario e manifestano “la domanda, il desiderio del cuore”: «vogliamo vedere Gesù». Nel Vangelo di Giovanni, “vedere” ha il senso di “conoscere”, “credere” (cfr. Gv 1, 35-39); la loro non è pura curiosità, ma un vivo desiderio di adorare il vero Dio, di ricercare e incontrare Gesù. E noi, tu…la domanda che ti abita si rispecchia in questo essenziale desiderio: “Vuoi vedere Gesù…vuoi conoscerlo, incontrarlo?”. Abbiamo anche noi qualche “discepolo” – fratello, sorella, madre, padre spirituale – che ci possa capire, che sentiamo più vicino, più accessibile del Maestro e a cui affidare la nostra richiesta, con cui intrecciare la nostra ricerca…? Riconosciamo che ancora non conosciamo pienamente Gesù, il Signore, e che abbiamo bisogno di una mediazione, un intermediario per incontrarlo più profondamente e in verità?
«È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto»: Gesù affida la risposta ai suoi discepoli da consegnare a quei greci, a noi…ma la sua risposta sembra evitare la domanda, sviare la ricerca, parlare d’altro per sottrarsi alla vista: cosa significa questo strano discorso “fuori tema”?! Alla domanda di essere visto, Gesù risponde con l’indicazione di una direzione altra, un oggetto diverso da vedere, un nuovo sguardo da assumere. Anzitutto un rimando temporale, un’ora che “è venuta”: è giunto il momento decisivo in cui Gesù – il Figlio dell’uomo – deve entrare nella gloria preparata dal Padre al termine della sua missione terrena, che coincide con l’ora della morte; Egli ha piena coscienza che la sua morte tragica è imminente e che proprio quell’ora racchiude in sé un mistero: la glorificazione attraverso la morte. La risposta indica anche un segno particolare, che nella sua disarmante naturalezza esprime simbolicamente tale mistero di morte e di gloria… il chicco di grano che deve morire per dare vita, per portare frutto e non restare solo. Ma davvero il seme muore?! Come può nascere la vita da qualcosa che è morto…? Chi studia la natura, il “processo della vita” osserva in verità che il chicco di frumento – come ogni semente – non muore in senso proprio, bensì subisce una trasformazione: si spacca, lascia cadere, marcire una parte di sé, ma rimane vivo; dalla vita che sopravvive alla morte germoglia una realtà nuova, più ricca e abbondante, che pure era presente e contenuta in quel seme originario, e si sviluppa fino al frutto pieno e maturo. Davvero dunque siamo di fronte a un mistero: la vita piena passa per una morte parziale e provvisoria, eppure estremamente reale e concreta. E noi – tu ed io – come stiamo di fronte a tale mistero, dentro la terra dove siamo “caduti, piantati”…? Davanti alla “nostra ora”, nei tanti momenti inaspettati, che non sappiamo decifrare…come ci poniamo? Sappiamo cogliere il mistero di una vita che sboccia proprio attraverso la morte, che lì dove qualcosa di noi – di me e di te – deve morire è già nascosta una novità e pienezza che attende di fiorire…? Che cosa allora dovrà morire perché cresca e si compia la vita…?
«Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna»: di quale “amore” e quale “odio” parla qui Gesù? Potremmo intendere: “chi considera come valore supremo la propria vita psichica (chi è auto-centrato sui propri bisogni), è destinato a perderla; chi la smette di attaccarsi alla propria vita in questo mondo e non teme di romperla, la realizza e custodisce per sempre”. È un paradosso, che sul piano del comportamento pratico nei confronti dell’altro, si traduce in termini esattamente ribaltati: “amare” è agire per il bene e la felicità dell’altro; “odiare” è invece abbandonarlo, non poter sopportare perfino la sua presenza. In definitiva, chi “vive per se stesso”, si ritrova solo e smarrito, come morto; chi “vive per l’altro”, trova pienamente se stesso in una comunione di vita che non può finire. Anche noi ci ritroviamo di fronte a quest’ottica paradossale, rovesciata e a questa domanda: “Per chi sono io?” e non più soltanto “Chi sono da me stesso?”.
«Se uno mi vuole servire, mi segua …»: … ma dove siamo finiti, abbiamo perso il filo del discorso, del cammino?! Forse che Gesù ha davvero sviato il nostro interrogativo di fondo? Siamo partiti dicendo di “voler vedere” ed ora Lui ci parla di “servire”… Sì, è proprio così, se vogliamo vedere Gesù, dobbiamo seguirlo dove Lui va, dove si trova (non dove pensiamo di trovarlo noi!), dove compie il suo cammino: sulla croce, nel dono totale di sé, come “servizio d’amore” per ciascuno di noi. Se vogliamo veramente incontrare, conoscere Gesù (= credere) siamo invitati a con-prendere il mistero della croce, ad entrarvi dentro, a lasciarci cambiare, spaccare, trasformare perché ne esca una vita che si realizzi pienamente come comunione di amore con Dio e con i fratelli. Siamo consapevoli, riconosciamo che il desiderio di vedere il Signore porta in sé la disponibilità a servire l’altro per amore?
«Adesso l’anima mia è turbata… quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me»: certo, un tale rovesciamento di sguardo lascia spiazzati, turbati…è stato così anche per Gesù! Ma proprio per questo non dobbiamo essere sconvolti da quest’ora: nell’abbandono fiducioso alla volontà del Padre, siamo attratti dal Figlio, innalzato sulla croce, che desidera rivelarsi a noi in tutta la sua gloria (cfr. Gv 19, 35-37). Vogliamo lasciarci raggiungere da questa luce? “Non siamo più noi a cercare di vederlo, ma è Lui che cerca noi e ci attira a Sé”…
Nessun commento:
Posta un commento