nota di lettura di AR all'articolo di Gianni Criveller pubblicato su Archivio teologico torinese, 2017, anno XXIII, n. 1, pp. 129-144
Di grande interesse, puntuale e stimolante questa analisi sulla possibilità o meno di una teologia sino-cristiana: avvicinare queste due aree culturali è sempre stato complesso, ancor più quando entrano in gioco valori religiosi e spirituali (questi ultimi in particolare abbastanza poco trattati dal pensiero tradizionale cinese, più interessato a una applicazione etica di valori religiosi intesi a garantire un equilibrio armonico della società). Criveller parte raccontando di un incontro con un professore di marxismo dell'Università Fudan (a me particolarmente cara perché vi ho trascorso un anno accademico nel lontano 1984-85) che si rivelerà segretamente più interessato al Vangelo che alle speranze “illusorie” del marxismo (cfr. p. 130). Afferma all'inizio dell'articolo l'Autore:
“Una dozzina di centri di studi cristiani sono sorti in Cina negli anni Novanta del secolo scorso, e a essi fanno riferimento un gruppo di studiosi chiamati «cristiani culturali» (文化基督徒). Sono studiosi che, partendo da un interesse culturale, si accostano agli studi cristiani non solo
accademicamente, ma coinvolgendosi sul piano personale e arrivando, in alcuni casi, alla fede in Gesù. Una fede vissuta al di fuori delle strutture ecclesiali. Per questo i cristiani culturali cinesi hanno scelto, tra le loro fonti ispiratrici, Simone Weil, la scrittrice e mistica francese di origini ebraiche, attivista sociale, operaia in fabbrica per condividere le condizioni dei lavoratori, autrice di filosofia, teologia e spiritualità.”
Osserva Criveller che i cristiani culturali elaborano una teologia centrata sull'individuo, di sapore mistico-filosofico, influenzata dall'esistenzialismo per cui “il linguaggio è il luogo dell'esistenza, la sua forma e il suo confine: non è solo strumento di comunicazione, ma lo stesso pensiero” (p. 133).
Nel nuovo millennio, con un ritorno della Cina continentale al confucianesimo e all'orgoglio di essere un grande popolo e una grande nazione, l'approccio “culturale” viene emarginato e nasce una teologia più sinocentrica definita teologia sino-cristiana (漢語基督教神學) sulla scia dell'inculturazione proposta da Matteo Ricci e altri gesuiti già alla fine del XVI sec., una teologia che rifugge da tentazioni intimiste per aprirrsi a una dimensione più sociale. Secondo Yang Huilin fondatore o ora vicepresidente del Centro di cultura cristiana della prestigiosa Università del Popolo di Pechino il cristianesimo – ci ricorda Criveller – deve offrire alla Cina un “assoluto morale” e trascendente di cui ha grande bisogno (cfr. p. 136). Dopo aver abilmente riassunto altri approcci alla questione, l'A. dell'articolo si augura che “si apra una nuova stagione di ricerca intellettuale che sottragga il cristianesimo dalla marginalità” (p. 141) e pare fiducioso:
“La generazione giovane preferisce per sé, al termine cristiani culturali, quello di «studiosi cristiani» (基督教學人), mostrando anche, in genere, una maggiore e più esplicita adesione alla fede cristiana. Inoltre respingono l’idea di articolare la teologia cristiana come una disciplina di scienze umane.” (ivi)
Tuttavia, conclude Criveller:
“… la teologia in Cina deve ancora trovare identità e autonomia per poter confrontarsi, con pari dignità, con altre discipline accademiche e con il sistema ideologico nazionale. Alla domanda del titolo: «Esiste una teologia in Cina?» possiamo rispondere che sì, esiste una teologia in Cina. Il percorso, lo statuto e le prospettive di questo impegno teologico sono sottoposti a incongruenze, difficoltà
e sfide che ne rendono l’esito speranzoso ma alquanto incerto” (p. 144).
GIANNI CRIVELLER
The Chinese University of Hong Kong, Holy Spirit Seminary College of Theology and Philosophy of Hong Kong,
Seminario Teologico del PIME
Via Lecco 73 – 20900 Monza (MB)
giannicriveller@hotmail.com
Di grande interesse, puntuale e stimolante questa analisi sulla possibilità o meno di una teologia sino-cristiana: avvicinare queste due aree culturali è sempre stato complesso, ancor più quando entrano in gioco valori religiosi e spirituali (questi ultimi in particolare abbastanza poco trattati dal pensiero tradizionale cinese, più interessato a una applicazione etica di valori religiosi intesi a garantire un equilibrio armonico della società). Criveller parte raccontando di un incontro con un professore di marxismo dell'Università Fudan (a me particolarmente cara perché vi ho trascorso un anno accademico nel lontano 1984-85) che si rivelerà segretamente più interessato al Vangelo che alle speranze “illusorie” del marxismo (cfr. p. 130). Afferma all'inizio dell'articolo l'Autore:
“Una dozzina di centri di studi cristiani sono sorti in Cina negli anni Novanta del secolo scorso, e a essi fanno riferimento un gruppo di studiosi chiamati «cristiani culturali» (文化基督徒). Sono studiosi che, partendo da un interesse culturale, si accostano agli studi cristiani non solo
accademicamente, ma coinvolgendosi sul piano personale e arrivando, in alcuni casi, alla fede in Gesù. Una fede vissuta al di fuori delle strutture ecclesiali. Per questo i cristiani culturali cinesi hanno scelto, tra le loro fonti ispiratrici, Simone Weil, la scrittrice e mistica francese di origini ebraiche, attivista sociale, operaia in fabbrica per condividere le condizioni dei lavoratori, autrice di filosofia, teologia e spiritualità.”
Osserva Criveller che i cristiani culturali elaborano una teologia centrata sull'individuo, di sapore mistico-filosofico, influenzata dall'esistenzialismo per cui “il linguaggio è il luogo dell'esistenza, la sua forma e il suo confine: non è solo strumento di comunicazione, ma lo stesso pensiero” (p. 133).
Zhang Shuangli, giovane sudiosa di teologia cristiana, prof. di Filosofia all'Università Fudan, Shanghai |
Nel nuovo millennio, con un ritorno della Cina continentale al confucianesimo e all'orgoglio di essere un grande popolo e una grande nazione, l'approccio “culturale” viene emarginato e nasce una teologia più sinocentrica definita teologia sino-cristiana (漢語基督教神學) sulla scia dell'inculturazione proposta da Matteo Ricci e altri gesuiti già alla fine del XVI sec., una teologia che rifugge da tentazioni intimiste per aprirrsi a una dimensione più sociale. Secondo Yang Huilin fondatore o ora vicepresidente del Centro di cultura cristiana della prestigiosa Università del Popolo di Pechino il cristianesimo – ci ricorda Criveller – deve offrire alla Cina un “assoluto morale” e trascendente di cui ha grande bisogno (cfr. p. 136). Dopo aver abilmente riassunto altri approcci alla questione, l'A. dell'articolo si augura che “si apra una nuova stagione di ricerca intellettuale che sottragga il cristianesimo dalla marginalità” (p. 141) e pare fiducioso:
“La generazione giovane preferisce per sé, al termine cristiani culturali, quello di «studiosi cristiani» (基督教學人), mostrando anche, in genere, una maggiore e più esplicita adesione alla fede cristiana. Inoltre respingono l’idea di articolare la teologia cristiana come una disciplina di scienze umane.” (ivi)
Tuttavia, conclude Criveller:
“… la teologia in Cina deve ancora trovare identità e autonomia per poter confrontarsi, con pari dignità, con altre discipline accademiche e con il sistema ideologico nazionale. Alla domanda del titolo: «Esiste una teologia in Cina?» possiamo rispondere che sì, esiste una teologia in Cina. Il percorso, lo statuto e le prospettive di questo impegno teologico sono sottoposti a incongruenze, difficoltà
e sfide che ne rendono l’esito speranzoso ma alquanto incerto” (p. 144).
GIANNI CRIVELLER
The Chinese University of Hong Kong, Holy Spirit Seminary College of Theology and Philosophy of Hong Kong,
Seminario Teologico del PIME
Via Lecco 73 – 20900 Monza (MB)
giannicriveller@hotmail.com
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