Mariastella
Eisenberg è
nata a Napoli da un medico ebreo rumeno di etnia tedesca, laureato
a Montpellier e riparato in Italia a causa delle leggi razziali, e da una
giovane pianista napoletana. Già insegnante e dirigente scolastico, dal 2004 si
dedica alla scrittura e all’impegno sociale. Ha pubblicato Perché ancora i Promessi Sposi (Marimar
1989); Sara (Guida 2005); Carovita (Lettere
arti scienze 2009); Chiedi alle mani(Sovera
2009); Alfabetando (L’Aperia 2011, prefazione di Luigi
Trucillo); Cantico nella parola svelata(Compagnia
dei Trovatori 2013, prefazione di Silvio Perrella, nota di Bruno
Galluccio); Madri vestite di sole(Interlinea
2013, prefazione di Giampiero Neri, nota di Andrea Renzi); Viaggi al fondo della notte (Oèdipus 2015,
prefazione di Ugo Piscopo, nota di Maram Al-Masri). Ultima fatica è il romanzo Il tempo fa il suo mestiere (Edizioni
Spartaco, 2016).
Teorizzando sull’opera letteraria
Todorov sostiene che questa sia storia e discorso al tempo stesso. Storia
perché comprende una certa realtà e determinati avvenimenti che si presume
abbiano avuto luogo, oltre a riguardare personaggi che tendono a confondersi
con quelli della vita reale; discorso perché vi è un narratore che narra la storia
e un lettore che la percepisce, divenendo fondamentale il modo in cui il primo
la fa conoscere al secondo per l’instaurazione della relazione narrante tra i
due, relazione che può arrivare a coinvolgere anche il protagonista (o i
protagonisti) della storia e del discorso.
Gerard Genette analizzando la dimensione del tempo,
sempre nel contesto dell’opera letteraria, parla di fenomeni di anticipazione (prolessi)
o retrospezione di momenti narrativi rispetto al punto in cui la storia si
trova (analessi), mentre parla di fenomeni nei quali il tempo del discorso
coincide con il tempo della storia (durata) o di discorsi più brevi della
storia (sommario, pausa): la sospensione del tempo della storia (ellissi)
riguarda invece un’omissione dei parte di questa in relazione a una maggiore
velocità del tempo del discorso.
E’ innegabile che nel romanzo in questione possiamo
intravedere immediatamente la relazione narrante - direi improntata
all’incontro dei vari attori della relazione stessa, compresi i protagonisti
dell’opera, creandosi subito empatia con quest’ultimi – così come i fenomeni
relativi al tempo, presenti alternativamente – e sapientemente utilizzati -
nella costruzione della storia e del discorso. Risulta anche opportuno
individuare come, da un punto di vista stilistico, venga messo in gioco l’uso della diegesi, ovvero dell’andamento narrativo, laddove compare sia
il tipo di narratore extradiegetico, fuori dalla storia che racconta, sia
quello diegetico, anzi quelli diegetici, in quanto non uno, ma più narratori,
si palesano in vari momenti con i rispettivi punti di vista sulla vicenda,
essendo parte della storia narrata (omodiegetici, per dirla tutta).
Un’analisi di questo tipo, che mette in rilievo la dimensione di tipo strutturalista del romanzo, che ha
canoni ben precisi da rispettare, serve da subito a identificare le conoscenze,
in ambito di costruzione di un’opera, dell’autrice. E serve anche a
verificare come, al contempo, le emozioni – tante e forti – presenti nel lavoro
non siano accatastate alla rinfusa, non nascano da impulsi o ispirazioni – o
almeno non solo – ma siano il frutto di un attento ruminìo di coscienza, siano
il risultato di un lavorìo di scavo interiore e ricerca storica, di
introspezione sul ricordo personale e indagine sulla memoria collettiva, per
arrivare dalla meccanica della mente all’artigianato della parola, che plasma e
forgia in un unico affascinante e complesso contenitore quello che può
definirsi il manufatto finito: il romanzo. In questo senso Mariastella
Eisenberg mi pare abbia intrapreso un percorso, già ben delineato sin
dall’inizio, che non lascia dubbi sulla validità della sua opera, ricca davvero
di spunti di riflessione tanto che, parlarne o scriverne sembra quanto
meno riduttivo.
Già dalla lettura delle prime pagine, che subito
coinvolgono il lettore per la ricchezza descrittiva, si nota che il racconto non
inciampa in inutili particolari, rendendo tutti gli elementi indispensabili
all’immersione nelle vicende dei protagonisti e in specie delle protagoniste,
tra le quali si concentrano i principali nodi, alcuni dei quali non si
scioglieranno mai: da Sara la figlia causa e vittima suo malgrado dell’origine
della vicenda a Malca la madre effetto e carnefice, inconsapevole di come le
conseguenze delle scelte – quasi obbligate – arriveranno a devastare la figlia
stessa; da Annutza la moasa, una
sorta di levatrice, aiutante magica delle neomamme, a Tatiana la giovane
novizia che con la sua confessione tardiva aprirà un’ulteriore voragine nella
vita di Sara; da Miriam, la bambina che esprimerà il proprio punto di vista sugli
avvenimenti nella seconda parte del romanzo, costretta a subire anch’essa un
destino di figlia femmina, sempre sottovalutata rispetto al fratello maschio,
alla madre Lia, anch’essa vittima di un destino sconosciuto, e ancora alla
figlia di Miriam, Alessia, nella quale si riverseranno tutte le speranze di vita
migliore. In questa saga al femminile, in realtà il fulcro della storia è dato
dalla nascita di due figure maschili, i due gemelli, Tobia e Simone, figli di
Sara, che ignoreranno la reciproca esistenza, e si incontreranno quando ormai i
rispettivi destini risulteranno tracciati e segnati da percorsi diametralmente
opposti. Fanno inoltre da piedistallo alle proprie famiglie, ancora di
stampo largamente patriarcale, ma con modalità completamente diverse, i due
padri, capostipiti in un certo senso dell’intera saga familiare: il
commerciante di tessuti Mosè Rosenberg di Czernowitz e il professor Alberto
Bardi di Napoli.
La questione
posta dal libro, che compare già dal titolo dell'opera, è il ruolo rivestito dal
tempo, o meglio il mestiere svolto del tempo nella dimensione stessa
dell’esistenza: una questione che molto spesso i vari protagonisti sono
chiamati a porsi non trovando un’unica risposta, non trovando quella giusta,
non trovandone affatto. Il tempo compare all’interno di tutto il romanzo, come
un essere personificato, una sorta di convitato di pietra che agisce, spesso
lasciando ferite non rimarginabili, non mantenendo impegni presi, non lasciando
spazio neanche a micro momenti di felicità in luogo di continue riflessioni sul
senso della vita. E in questo agire sembra non tener conto della presenza umana
che attende un segnale, anche uno solo, per la rinascita, per la salvezza. Chi
si arrovella e lascia scorrere il tempo senza agire si ritroverà senza aver
ottenuto nessuna risposta. Questo capita a molti, se non a quasi tutti, i
personaggi della storia, perché nessuno sembra essere consapevole dell’importanza
del proprio passaggio sulla Terra che quello è già un mestiere da attribuire al
tempo: il percorso che ognuno fa nella propria crescita interiore, anche se
attraverso le maggiori sofferenze. E il tempo della drammatica vicenda - che si
svolge dal 1912 al 2014, praticamente un secolo - racchiude gli avvenimenti che
segnano il vissuto della famiglia dei Rosenberg, ebrei rumeni di etnia tedesca,
nei luoghi che vanno da Jassi in Moldavia, al monastero di Sucevița e alla
città di Rădăuți nella Bucovina, a Bucarest, a Napoli, fino a Gerusalemme. Un
tempo che porta con se pesantissimi silenzi, vite piene di speranze disattese,
odi e rancori che si trasformano in atteggiamenti irosi verso se stessi e gli
altri. Tra i tentativi disperati di ricucire ferite e strappi si inframmezzano
gestualità simboliche e rituali, come quella di strappare la stoffa del vestito
dalla parte del cuore, in segno di dolore straziante per la perdita di una
persona cara, o di continuare a preparare i cibi del sabato, il giorno di riposo,
anche in situazioni di assoluto disagio fisico e mentale
Il 1912 è l’anno
di inizio del romanzo. L’occasione è quella che porta Sara, la figlia sedicenne
di Mosè Rosenberg e Malca Schachter, la sesta di quindici figli, a imbattersi
durante una delle sue solite scorribande in campagna in un’anima irrequieta e
solitaria come lei: Giuseppe, figlio di contadini, con il quale vivrà un primo
e unico momento d’amore che basterà a cambiare la sua vita e non solo la sua. Infatti, da
quell’atto nasceranno due gemelli, una maledizione per chi nasce in Moldavia.
Un neonato, Tobia, verrà fatto passare come figlio dei genitori di Sara;
l’altro, Simone, di cui Sara stessa non conoscerà l’esistenza se non molto
tempo dopo, verrà prima affidato alle cure di un orfanotrofio, poi adottato da
una coppia francese che lo condurrà a Lione.
Figlia di
quella schiera di figlie che hanno sempre tentato di ribellarsi alle leggi dei
padri, Sara è una figura ribelle e fragilissima che sconterà all’infinito
l’aver infranto quelle leggi, con una pena che arriverà a indurirle i tratti e il cuore malato
d’affetto. A nulla serviranno le mura della casa paterna prima, della casa
coniugale poi, di quella del fratello (figlio, in realtà) in ultimo a
confortarla, a tenerla insieme nei suoi cocci inesorabilmente rotti, specie
dopo il testamento spirituale del padre e la lettera confessione dell’antica
amica ormai suora…
Qui, il peccato involontario e la coscienza personale, si
estendono al familiare fino a diventare narrazione epica di un popolo la cui
memoria si perde nelle vicende della diaspora e dell’olocausto.
Nell’accoglimento di un destino ci sono le mute accettazioni delle donne, i
giochi silenziosi dei bambini, i rimorsi dei padri, gli occhi di pietra di
carnefici e vittime che tessono fili di vite attraverso il tempo che, noncurante,
continua a fare il suo mestiere, attraverso un processo che tende alla ricerca
di se stessi, al ritrovamento della propria identità personale e collettiva:
infattibile è la rimozione, impraticabile l’oblio per i singoli o per il popolo
dei senza terra, di quegli erranti che si portano un pugno di terra nel proprio
oltrepassare la soglia dell’aldilà perché è proprio la terra, la terra promessa,
il simbolo della rinascita e del ritrovamento. Ricerca dell'identità, rinascita e
ritrovamento faranno parte del cammino anche che proverà a portare a compimento Sara, nel ritorno a Gerusalemme con la madre, in cuor suo mai rassegnata, fino in fondo, ad aver perso tutti i ruoli che competono al suo genere.
Difficilmente per lei il tempo lavorerà a suo favore.
Bologna, 15 ottobre 2017
Cinzia Demi
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