domenica 15 ottobre 2017

Il Tempo fa il suo mestiere di Mariastella Eisenberg.Recensione di C. Demi


Mariastella Eisenberg è nata a Napoli da un medico ebreo rumeno di etnia tedesca, laureato a Montpellier e riparato in Italia a causa delle leggi razziali, e da una giovane pianista napoletana. Già insegnante e dirigente scolastico, dal 2004 si dedica alla scrittura e all’impegno sociale. Ha pubblicato Perché ancora i Promessi Sposi (Marimar 1989); Sara (Guida 2005); Carovita (Lettere arti scienze 2009); Chiedi alle mani(Sovera 2009); Alfabetando (L’Aperia 2011, prefazione di Luigi Trucillo); Cantico nella parola svelata(Compagnia dei Trovatori 2013, prefazione di Silvio Perrella, nota di Bruno Galluccio); Madri vestite di sole(Interlinea 2013, prefazione di Giampiero Neri, nota di Andrea Renzi); Viaggi al fondo della notte (Oèdipus 2015, prefazione di Ugo Piscopo, nota di Maram Al-Masri). Ultima fatica è il romanzo Il tempo fa il suo mestiere (Edizioni Spartaco, 2016).


Teorizzando sull’opera letteraria Todorov sostiene che questa sia storia e discorso al tempo stesso. Storia perché comprende una certa realtà e determinati avvenimenti che si presume abbiano avuto luogo, oltre a riguardare personaggi che tendono a confondersi con quelli della vita reale; discorso perché vi è un narratore che narra la storia e un lettore che la percepisce, divenendo fondamentale il modo in cui il primo la fa conoscere al secondo per l’instaurazione della relazione narrante tra i due, relazione che può arrivare a coinvolgere anche il protagonista (o i protagonisti) della storia e del discorso.
Gerard Genette analizzando la dimensione del tempo, sempre nel contesto dell’opera letteraria, parla di fenomeni di anticipazione (prolessi) o retrospezione di momenti narrativi rispetto al punto in cui la storia si trova (analessi), mentre parla di fenomeni nei quali il tempo del discorso coincide con il tempo della storia (durata) o di discorsi più brevi della storia (sommario, pausa): la sospensione del tempo della storia (ellissi) riguarda invece un’omissione dei parte di questa in relazione a una maggiore velocità del tempo del discorso.
E’ innegabile che nel romanzo in questione possiamo intravedere immediatamente la relazione narrante - direi improntata all’incontro dei vari attori della relazione stessa, compresi i protagonisti dell’opera, creandosi subito empatia con quest’ultimi – così come i fenomeni relativi al tempo, presenti alternativamente – e sapientemente utilizzati - nella costruzione della storia e del discorso. Risulta anche opportuno individuare come, da un punto di vista stilistico, venga messo in gioco l’uso della diegesi, ovvero dell’andamento narrativo, laddove compare sia il tipo di narratore extradiegetico, fuori dalla storia che racconta, sia quello diegetico, anzi quelli diegetici, in quanto non uno, ma più narratori, si palesano in vari momenti con i rispettivi punti di vista sulla vicenda, essendo parte della storia narrata (omodiegetici, per dirla tutta).
Un’analisi di questo tipo, che mette in rilievo la dimensione di tipo strutturalista del romanzo, che ha canoni ben precisi da rispettare, serve da subito a identificare le conoscenze, in ambito di costruzione di un’opera, dell’autrice. E serve anche a verificare come, al contempo, le emozioni – tante e forti – presenti nel lavoro non siano accatastate alla rinfusa, non nascano da impulsi o ispirazioni – o almeno non solo – ma siano il frutto di un attento ruminìo di coscienza, siano il risultato di un lavorìo di scavo interiore e ricerca storica, di introspezione sul ricordo personale e indagine sulla memoria collettiva, per arrivare dalla meccanica della mente all’artigianato della parola, che plasma e forgia in un unico affascinante e complesso contenitore quello che può definirsi il manufatto finito: il romanzo. In questo senso Mariastella Eisenberg mi pare abbia intrapreso un percorso, già ben delineato sin dall’inizio, che non lascia dubbi sulla validità della sua opera, ricca davvero di spunti di riflessione tanto che, parlarne o scriverne sembra quanto meno riduttivo.
Già dalla lettura delle prime pagine, che subito coinvolgono il lettore per la ricchezza descrittiva, si nota che il racconto non inciampa in inutili particolari, rendendo tutti gli elementi indispensabili all’immersione nelle vicende dei protagonisti e in specie delle protagoniste, tra le quali si concentrano i principali nodi, alcuni dei quali non si scioglieranno mai: da Sara la figlia causa e vittima suo malgrado dell’origine della vicenda a Malca la madre effetto e carnefice, inconsapevole di come le conseguenze delle scelte – quasi obbligate – arriveranno a devastare la figlia stessa; da Annutza la moasa, una sorta di levatrice, aiutante magica delle neomamme, a Tatiana la giovane novizia che con la sua confessione tardiva aprirà un’ulteriore voragine nella vita di Sara; da Miriam, la bambina che esprimerà il proprio punto di vista sugli avvenimenti nella seconda parte del romanzo, costretta a subire anch’essa un destino di figlia femmina, sempre sottovalutata rispetto al fratello maschio, alla madre Lia, anch’essa vittima di un destino sconosciuto, e ancora alla figlia di Miriam, Alessia, nella quale si riverseranno tutte le speranze di vita migliore. In questa saga al femminile, in realtà il fulcro della storia è dato dalla nascita di due figure maschili, i due gemelli, Tobia e Simone, figli di Sara, che ignoreranno la reciproca esistenza, e si incontreranno quando ormai i rispettivi destini risulteranno tracciati e segnati da percorsi diametralmente opposti. Fanno inoltre da piedistallo alle proprie famiglie, ancora di stampo largamente patriarcale, ma con modalità completamente diverse, i due padri, capostipiti in un certo senso dell’intera saga familiare: il commerciante di tessuti Mosè Rosenberg di Czernowitz e il professor Alberto Bardi di Napoli.
La questione posta dal libro, che compare già dal titolo dell'opera, è il ruolo rivestito dal tempo, o meglio il mestiere svolto del tempo nella dimensione stessa dell’esistenza: una questione che molto spesso i vari protagonisti sono chiamati a porsi non trovando un’unica risposta, non trovando quella giusta, non trovandone affatto. Il tempo compare all’interno di tutto il romanzo, come un essere personificato, una sorta di convitato di pietra che agisce, spesso lasciando ferite non rimarginabili, non mantenendo impegni presi, non lasciando spazio neanche a micro momenti di felicità in luogo di continue riflessioni sul senso della vita. E in questo agire sembra non tener conto della presenza umana che attende un segnale, anche uno solo, per la rinascita, per la salvezza. Chi si arrovella e lascia scorrere il tempo senza agire si ritroverà senza aver ottenuto nessuna risposta. Questo capita a molti, se non a quasi tutti, i personaggi della storia, perché nessuno sembra essere consapevole dell’importanza del proprio passaggio sulla Terra che quello è già un mestiere da attribuire al tempo: il percorso che ognuno fa nella propria crescita interiore, anche se attraverso le maggiori sofferenze. E il tempo della drammatica vicenda - che si svolge dal 1912 al 2014, praticamente un secolo - racchiude gli avvenimenti che segnano il vissuto della famiglia dei Rosenberg, ebrei rumeni di etnia tedesca, nei luoghi che vanno da Jassi in Moldavia, al monastero di Sucevița e alla città di Rădăuți nella Bucovina, a Bucarest, a Napoli, fino a Gerusalemme. Un tempo che porta con se pesantissimi silenzi, vite piene di speranze disattese, odi e rancori che si trasformano in atteggiamenti irosi verso se stessi e gli altri. Tra i tentativi disperati di ricucire ferite e strappi si inframmezzano gestualità simboliche e rituali, come quella di strappare la stoffa del vestito dalla parte del cuore, in segno di dolore straziante per la perdita di una persona cara, o di continuare a preparare i cibi del sabato, il giorno di riposo, anche in situazioni di assoluto disagio fisico e mentale
Il 1912 è l’anno di inizio del romanzo. L’occasione è quella che porta Sara, la figlia sedicenne di Mosè Rosenberg e Malca Schachter, la sesta di quindici figli, a imbattersi durante una delle sue solite scorribande in campagna in un’anima irrequieta e solitaria come lei: Giuseppe, figlio di contadini, con il quale vivrà un primo e unico momento d’amore che basterà a cambiare la sua vita e non solo la sua. Infatti, da quell’atto nasceranno due gemelli, una maledizione per chi nasce in Moldavia. Un neonato, Tobia, verrà fatto passare come figlio dei genitori di Sara; l’altro, Simone, di cui Sara stessa non conoscerà l’esistenza se non molto tempo dopo, verrà prima affidato alle cure di un orfanotrofio, poi adottato da una coppia francese che lo condurrà a Lione.

Figlia di quella schiera di figlie che hanno sempre tentato di ribellarsi alle leggi dei padri, Sara è una figura ribelle e fragilissima che sconterà all’infinito l’aver infranto quelle leggi, con una pena che arriverà a indurirle i tratti e il cuore malato d’affetto. A nulla serviranno le mura della casa paterna prima, della casa coniugale poi, di quella del fratello (figlio, in realtà) in ultimo a confortarla, a tenerla insieme nei suoi cocci inesorabilmente rotti, specie dopo il testamento spirituale del padre e la lettera confessione dell’antica amica ormai suora… 
Qui, il peccato involontario e la coscienza personale, si estendono al familiare fino a diventare narrazione epica di un popolo la cui memoria si perde nelle vicende della diaspora e dell’olocausto. Nell’accoglimento di un destino ci sono le mute accettazioni delle donne, i giochi silenziosi dei bambini, i rimorsi dei padri, gli occhi di pietra di carnefici e vittime che tessono fili di vite attraverso il tempo che, noncurante, continua a fare il suo mestiere, attraverso un processo che tende alla ricerca di se stessi, al ritrovamento della propria identità personale e collettiva: infattibile è la rimozione, impraticabile l’oblio per i singoli o per il popolo dei senza terra, di quegli erranti che si portano un pugno di terra nel proprio oltrepassare la soglia dell’aldilà perché è proprio la terra, la terra promessa, il simbolo della rinascita e del ritrovamento. Ricerca dell'identità, rinascita e ritrovamento faranno parte del cammino anche che proverà a portare a compimento Sara, nel ritorno a Gerusalemme con la madre, in cuor suo mai rassegnata, fino in fondo, ad aver perso tutti i ruoli che competono al suo genere. Difficilmente per lei il tempo lavorerà a suo favore.
Bologna, 15 ottobre 2017
Cinzia Demi

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