domenica 28 maggio 2017

Alberi e uomini

Andrea Semplici: Alberi e uomini. Feste dei boschi tra Basilicata e Calabria, Editrice Universosud, aprile 2016.

Vincenzo e Raffaela D’Alessio


https://www.editriceuniversosud.it/shop/alberi-e-uomini-a-semplici-d-scapin/



Andrea Semplici, scrittore, e Daniela Scapin curatrice del testo hanno svelato alla memoria degli uomini la lunghissima storia dell’amore tra foreste e popoli.
Le foreste hanno costituito per il pianeta Terra (Gaia) l’immenso polmone verde apportatore di ogni forma di benessere: frutti, rifugio, legname da usare in migliaia di modi: la prima felice scoperta, dopo il fuoco, quella della zattera sulle acque dei fiumi e dei laghi, per arrivare poi ai mari.
I miti greci raccontano della dea Cerere (Madre della Terra e sorella di Zeus), la quale generò Proserpina (la divinità della rinascita), successivamente rapita da Ade (Dio degli Inferi) che avendola costretta a nutrirsi con i semi del melograno nel suo regno, l’aveva condannata a fare ritorno in superficie ogni sei mesi. Questo mito è nato in quell’epoca per incarnare l’alternanza delle stagioni e delle terribili carestie che spesso distruggevano i raccolti.
Accanto a questo mito, sempre di origine greca, ci è pervenuto quello di Priapo: divinità raffigurata con enormi organi genitali che proteggeva colture e animali domestici e allontanava il malocchio. Esso, più degli altri, ha trovato forza nel periodo romano quando la terra era affidata alla coltivazione schiavistica (villae rusticae) a beneficio dei proprietari che dimoravano quasi sempre sulle coste: vedi Pompei e in nel nostro caso Metaponto.
Ancora oggi, per quella parte della Lucania che mi è a cuore: CASTELSARACENO, vige la transumanza annuale dal luogo verso Metaponto (ne hanno parlato ampiamente e scientificamente le professoresse: Teresa Armenti, Ida Iannella e Franca Pirolo).
Le trecento pagine, del bellissimo volume scritto da Andrea Semplici e curato da Daniela Scapin, hanno una particolarità che ho riscontrato in pochissime opere: la scrittura danza sotto gli occhi al ritmo antico di strumenti lignei; le immagini seguono la danza come nelle lastre tombali lasciateci in eredità dalla Civiltà Greca; la scansione temporale di chi legge diviene kairos: il momento magico nel quale avvengono cose fuori dalla quotidianità.
All’improvviso ritornano padroni della stanza del lettore i navigatori greci approdati nella nostra terra meridiana quasi tremila anni fa. Essi hanno i volti scavati dal tempo dei contadini lucani, cantati dal poeta Rocco SCOTELLARO, alle prese con la lunga festa di Sant’Antonio di CASTELSARACENO (poiché il passaggio del monachesimo ha potuto esaugurare il nome del mito ma non la sua memoria):


Hai schiusa la memoria dal tiretto:
i panni neri sbiancano alle corde
ogni estate sull’aia fanno netto
il cane vecchio e quello che ti morde.
Suonano sempre le antiche zampogne
le cotogne ammolliamo nella brace
siamo tutti fratelli e stiamo in pace
e abbiamo tempo per il riso e per il pianto.
Io , non ho trovato la mia stella
non vuol dire se salto a tarantella.
 

(R. SCOTELLARO: Tarantella)

Spero di avere trasmesso attraverso i versi riportati, a chi legge, l’intensità dell’energia che promana dalle pagine del libro che Andrea Semplici ha realizzato spingendosi nei viaggi nelle terre del “Maio” (etimologia della festa del ritorno della stagione primaverile) elencate nel libro: Accettura; Pietrapertosa; Castelmezzano; Oliveto lucano; Rotonda; Viggianello; Castelsaraceno; Terranova del Pollino e Alessandria del Carretto.
Anche in Irpinia, la Festa del Maio, è celebrata nei sei comuni del Baianese (AV) e a Mirabella Eclano (AV) con l’innalzamento del Carro di Grano della Madonna Addolorata.
Come scrive l’autore del libro in un passaggio: “(…) A me Castelsaraceno appare una terra bellissima”. Cosa che è capitata anche a me, al primo incontro grazie agli amici del Club Italiano di Salerno.
Il rito segreto del taglio del lungo faggio, nel bosco del “Favino” di CASTELSARACENO, ad opera dei soli uomini, il rituale della consumazione del “Cibo della Festa”; il traino del faggio aggiogato alle due giovenche bianche; le musiche ancestrali che accompagnano il tragitto dal bosco al centro del paese, sono il ritorno millenario degli antichi “spiriti” della terra in mezzo agli uomini di questo nuovo millennio: bisogna viverla questa esperienza per uscirne con quel “mal di Casteddu” che colpisce gli abitanti e i visitatori del luogo spingendoli a tornare.
Elogio il lavoro dei due ricercatori che involontariamente, come scrive l’Autore nella parte introduttiva: “(…) Questo libro è poco più di una cronaca. Una sorta di racconto che non è riuscito a diventare romanzo. Non parla di antropologie, non è storia di sociologie. È solo quanto i nostri occhi hanno visto.”
Inconsciamente, invece, la lettura del testo in esame provoca agli occhi e alla mente del lettore i fecondi risultati nel campo caro all’antropologo Ernesto de Martino (autore del testo Sud e Magia, del 1948) e al filone conseguente della ricerca antropologica e sociologica (Carlo Mongardini: Tradizioni e innovazioni nel Sud, del 1972).
Alberi e uomini divengono, in questo lavoro, forza millenaria unica chiamata a rinnovare gli antichi patti contro le divinità “ctonie” che cospirano allora come oggi attraverso il più distruttivo “inquinamento” ad impoverire la bellezza di Madre Natura.
Non a caso nei film realizzati in questi anni, riprendendo il bellissimo testo di J.R.R. Tolkien: Il Signore degli anelli, i due Hobbit Merry e Pipino trovano riparo e aiuto nella “Foresta di Fangor” dalla persecuzione degli Orchi agli ordini di Sauron (il Signore delle tenebre e del male), all’ombra di un grande albero che dialoga con loro.
Amo le persone come Andrea Semplici, consonanza del suo stesso cognome, il quale condivide sentimenti puri per la terra che appartiene da millenni a questi popoli e a lui che la sente propria: “(…) Scrivere è il mio mestiere. Non ho altro da restituire agli uomini e alle donne della Lucania e della Calabria se non delle parole in gran parte inutili” (p. 7).

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