Articolo di Lorenzo Spurio
In
questo volume antologico curato dalla scrittrice abruzzese Lorena Marcelli
trovano posto racconti e poesie di vari autori contemporanei che hanno aderito
alla causa di denuncia contro l’inarrestabile fenomeno della violenza di
genere. In particolar modo è nei contributi narrativi che i vari autori sono
riusciti a rendere con tocchi di alta qualità linguistica e perfetta padronanza
del genere, i degradati ambiti relazionali e sociali, le aridità umane e i
nevrotici meccanismi della mente che sono protagonisti di storie inenarrabili e
dolorose dove è la sregolata azione umana a dettare le esistenze dei suoi
simili.
Uomini
soli o scontenti, delusi e incompresi o più spesso maneschi ed ossessionati,
profondamente gelosi e dalla cultura fondata su una impostazione retrograda e
patriarcale, come i peggiori mostri o caratteri maligni della fiaba più
terrificante, mostrano tutte le loro ambiguità di fondo, le debolezze
mascherate dall’adozione della violenza e dalla manifesta supremazia. Sono
descritti scenari familiari e relazionali alquanto difficili dove la
comprensione per le donne sole e dominate sembra essere la grande assente,
tanto da spingere le malcapitate a una fuga dal contesto domestico che difficilmente
riesce a compiersi perché –per citare dal racconto di Corinne Savarese- “la
sofferenza è un mantello gelido che cala addosso e toglie il sole”.
Due
date importanti nella legislazione del nostro Paese che hanno concesso alla
donna una maggiore possibilità di tutelarsi e di rivendicare il proprio stato
d’abnegazione indotta e di vera e propria schiavitù sono rappresentate dall’abrogazione
del cosiddetto delitto d’onore[1] (1981)
e dal riconoscimento del femminicidio quale reato propriamente detto (2013) che
prevede un inasprimento della gravità nei confronti degli atti persecutori (stalking) commessi od omicidio contro il
partner, coniuge o convivente.
Un
programma televisivo come “Amore criminale” (Rai3), il prossimo anno alla
decima edizione, risulta essere uno dei format di denuncia alla violenza
sessuale più seguiti e sarebbe senz’altro stato impensabile solamente venti o
venticinque anni fa quando la violenza sulla donna veniva denunciata molto
meno, malcelata o sviata in modi e forme che contribuivano alla
decolpevolizzazione del gesto verso l’uomo e alla mancata protezione sociale
verso la donna. Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di violenza
sessuale anche per mezzo di un’ampia campagna volta alla denuncia e alla
coscienziazione su quanto sia ulteriormente peggiorativo e lesivo della persona
interessata e della società celare, tentare di annullare o archiviare un dato
episodio di violenza. La casistica che si presenta all’interno di una coppia dove
l’uomo giunge all’adozione spregiudicata della violenza è per lo più similare
se non addirittura un copione ormai troppo noto che si ripete assai
frequentemente.
Denunce
di stalking fatte ed archiviate,
denunce di violenza che impongono l’uomo a stare lontano dalla casa e dal
raggio d’azione della donna, affido unico dei minori alla madre e soprattutto
l’evidenza della fine del rapporto sono i temi cardine dai quali si sviluppa
furiosa l’energia dirompente e annullante dell’uomo. Compreso che l’altra metà
non è più in qualche modo suggestionabile e assoggettabile, l’uomo –come
sospinto in un retrogrado recupero dello stato di natura- perde ogni
peculiarità propria del genere umano e si brutalizza. Come un animale selvaggio
impiega la forza per ottenere ciò di cui ha bisogno, una volta che il
ragionamento, il dialogo, il desiderio di una crescita hanno dimostrato
l’inefficacia nel suo ferino percorso di depredazione. Ecco che gli istinti di
morte sopravvengono in maniera incontenibile sfociando su ciò che fino a poco prima
era stato l’oggetto dell’amore, la donna della propria vita, la compagna di
un’intera esistenza. Non sono infrequenti, infatti, fenomeni di femminicidio
anche all’interno di coppie unite in matrimonio da vari decenni. Il
femminicidio non è un fenomeno mappabile per età, livello culturale, geografia,
condizione economica, confessione religiosa, etc. perché –lo si è visto dalla
cronaca- interessa fasce generazionali diverse, intacca persone dall’alto
profilo umano come pure persone modeste, che conducono una vita semplice. Se la
cultura potesse intervenire a sanare questo difficile problema, che ha assunto
i tratti di una realtà endemica, allora si potrebbe lavorare in questa direzione
per non consentire che strati disagiati ed emarginati della società cadano in
questo baratro ma purtroppo il livello culturale, l’apertura nei confronti
della società, il grado di istruzione etc. non sono paradigmi che incidono
direttamente su questo tipo di relazioni malate, su questi accecamenti della
psiche quando tutto viene travolto da un annebbiamento pauroso della mente dal
quale non è possibile mettersi in salvo.
Ecco,
allora, che progetti come questo curato da Lorena Marcelli possono essere utili
nella società frammentata dell’oggi dove il problema è sempre più concreto
tanto da poter riguardare la nostra vicina di casa come pure una nostra amica
che, per vergogna, riesce a tenere tutto nascosto sino a che non si presenta un
episodio critico che palesa la situazione di inadeguatezza e sofferenza.
Parlare del femminicidio e della violenza in genere non serve a risolvere né a sanare un problema talmente vasto e radicato, purtroppo, in un certo tipo di cultura che, se per molte cose può dirsi all’avanguardia e innervata su un rimarchevole sviluppo umano, dall’altro canto è essa stessa erede di una forma pregiudiziale, maschilista e patriarcale, di quel patriarcato austero di provincia relegato in famiglie spesso numerose ma dove l’orrore è un fatto facile e genetico da nascondere.
La
società d’oggi, suggestionata da continui casi d’inciviltà e di sfruttamento è
ben informata su cosa è richiesto di fare, rispondendo alla propria coscienza e
all’impegno etico di chi è cittadino del mondo, dinanzi a casi d’abuso, di
violenza, di sottomissione e, in ciascun modo, di emarginazione e annullamento
dell’identità altrui. Permangono delle nocive sacche di resistenza
rappresentate dall’omertà e dall’indifferenza, le due spregevoli sorelle che
ancora sembra difficile da battere, complice quella cultura della tradizione e
della strenua difesa dell’onore che in molti ancora non sono in grado di
svilire, neppure al costo del salvataggio di una vita.
C’è
poi la questione religiosa che non è da sottovalutare. La vecchia Europa è da
anni il bacino d’approdo di numerose famiglie di altre parti del mondo, spesso
di fede musulmana. Figlie di berberi che in Europa cercano di condurre la vita
familiare nella piramidale organizzazione della società com’è nella loro
cultura patriarcale e dispotica che, invece, fanno loro il nuovo stile di vita,
quello italiano per l’appunto, senza indossare l’imposto velo, ricorrendo ai
trucchi, scegliendo abiti colorati e moderni e dedicandosi in maniera
particolare alla cura del corpo. Indimenticabile la vicenda della povera Hina Saleem
che alcuni anni fa venne massacrata dal padre, dallo zio e da altri uomini
della sua famiglia con la colpa di aver voluto vivere all’occidentale, di aver
voluto indossare jeans e prendere parte alla normale vita sociale come le sue
coetanee. Si tratta, allora, in questo caso di adoperare una piccola rettifica
in merito a quanto esposto precedentemente circa il fattore culturale quale
elemento incidente o meno in episodi di violenza di genere. La questione si fa
oltremodo articolata tenendo in considerazione che in quella circostanza, come pure
in altre simili, alcuni esponenti della comunità islamica non mancarono di
prendere le distanze dall’esecrabile gesto.
Con
questa opera si dà voce a chi l’ha perduta perché gli è stata tolta, alle donne
che sono state imbavagliate, malmenate e costrette al silenzio, a tutte quelle
persone che vivono nel tormento una condizione di profondo dolore, depressione
e la convinzione di essere nulli per se stessi e per il mondo tutto. Vittime
sacrificali di una crudeltà che è la vita degenerata della società d’oggi dove
il sentimento e il rispetto finiscono per essere poca cosa quando si viene
accecati dalla gelosia, dal risentimento, dall’odio e dalla necessità di
rivalsa.
Il
volume Eva non è sola curato da
Lorena Marcelli si avvale del sostegno di amministrazioni pubbliche locali che
hanno apprezzato l’esimio lavoro promosso riconoscendolo come degno di spessore
a livello sociale, tra di loro la Provincia di Teramo e il Comune di Roseto
degli Abruzzi dove si è tenuta la presentazione ufficiale del volume il 25
novembre u.s. presso la Sala Consiliare. A seguire l’antologia è stata proposta
anche a Campobasso, Termoli e Pescara e tra le prossime tappe che la vedono
protagonista figurano L’Aquila (il 18 gennaio) e Giulianova (il 20 gennaio). Il
costo contenuto del volume (10€) permette una lettura non facile né dolce ma
ricca di spunti di analisi tanto da rinvigorire quell’impegno socio-civile spesso
tiepido e vacuo, a favore di una battaglia che è indistintamente di tutti.
Affinché Eva non sia sola è necessario, però, sradicare il pregiudizio,
archiviare i superomistici spiriti d’orgoglio maschile ed impiegare il
cervello, unico mezzo che può consentire di comprendere la realtà. La violenza
non è dell’uomo e quando egli se ne appropria deve essere condannato duramente
senza scusanti di sorta.
La curatrice del volume
LORENA MARCELLI vive in Abruzzo. Con lo
pseudonimo di “Laura Fioretti” ha pubblicato i romanzi Uno strano scherzo del destino (2014), Per averti (2014) e Avrò cura
di te (2015). Nel 2014 è risultata vincitrice assoluta del Concorso
Nazionale indetto dall’editore Marcelli di Ancona nell’occasione del 50esimo
anno di attività con il thriller storico L’enigma
del Battista. In digitale ha pubblicato, con i tipi della Casa Editrice
EEE, i romanzi La collina di girasoli
(2015) e Un’altra direzione (2016).
Jesi, 22-12-2016
[1] In Italia, come
in altri paesi dell’Europa, veniva riconosciuto un attenuamento sensibile di
pena o addirittura la cancellazione di pena in determinate circostanze nelle
quale un crimine commesso interessava questioni di difesa dell’onore familiare.
Vale a dire il genitore che uccideva la figlia perché questa si era unita
sessualmente con un uomo diverso dal marito da lui ordinatole, contravvenendo a
infangare il suo onore e la rispettabilità della famiglia, non era propriamente
un reato ma un’azione preventiva e sanzionatoria in qualche modo concessagli
dallo stato. Il crimine non veniva considerato in quanto tale ma era valutato
in base alle logiche relazionali tra gli intervenuti e le ragioni che portavano
all’assunzione di quel dato gesto omicida.
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