Non gli mancava nulla. Fin dai primi vagiti lirici Andrea Ponso è stato riconosciuto come uno dei poeti più importanti del nuovo millennio. Letture solide e ispirazione lucidissima, fu battezzato da Maurizio Cucchi, che gli introdusse il primo libro (La casa, 2003), per poi introdurlo nel palazzo di cristallo di Segrate, in Mondadori. Consueto cursus honorum (pubblicazioni nell’infelice Almanacco dello Specchio, inclusione nell’antologia didattica Nuovissima poesia italiana) prima del libro nobile: nel 2011, nella principesca collana de Lo specchioMondadori, nello stesso anno in cui viene pubblicato Catena umana di Seamus Heaney, Ponso pubblica I ferri del mestiere. Un libro importante, un incendio di ghiaccio, di un Leopardi passato per le ossessioni di Philip K. Dick. Ponso, nel frattempo editor per il Saggiatore, si appresta a una carriera da ‘poeta laureato’, da burocrate del verso? Al contrario, è inghiottito nella conversione. Frequenta il Monastero di Camaldoli, balocca con Isaia, traduce il Kohèlet e il Cantico dei Cantici. Pensa di farsi monaco. Ma il monastero gli sta stretto, allora si reclude nella sua dimora, nel vicentino, e fa di essa cella ed eremo.
Il poeta nato con la camicia si mette la camicia di forza. Si inabissa nella Bibbia, tenendo i contatti con il mondo dal pulpito di Facebook. Un esito del suo vagabondaggio spirituale sono le Letture bibliche pubblicate dal microeditore Fara (pp. 216, 18 euro; chiedetelo qui: info@faraeditore.it). Con maniacale acribia, Ponso commenta i brani sacri del giorno: vergando titoli radicali (Fare l’amore con Cristo: la peccatrice; Il dono incommensurabile della finitezza; Dio è un ladro), insegna che “anche l’ultimo, il più piccolo, può essere visitato e sconvolto dalla grazia”, ma soprattutto che “in quella tempesta, in quel mare pericoloso e caotico che è la vita, occorre sprofondare fino in fondo”. Ponso, che quest’anno ne fa 40, è andato davvero fino in fondo, cestinando la fama poetica per la vita autentica.
Un percorso da silenziosi rivoluzionari condiviso da altre ‘promesse’ della lirica nostrana. Come Isacco Turina, poeta straordinario che si rifiuta di pubblicare, insegna Sociologia all’Università di Bologna e ha compilato uno studio su I nuovi eremiti (Medusa, 2014). Oppure Andrea Temporelli, che precocemente, dieci anni fa, ha esordito nella ‘bianca’ Einaudi con Il cielo di Marte, libro che fece gridare al miracolo, e da qualche anno ha deciso per la solitudine assoluta, in un paese sul Lago d’Orta. Non prima di aver concluso un romanzo, Tutte le voci di questo aldilà, in cui atrocemente squarta il piccolo mondo della poesia del Belpaese, redigendo una accurata denuncia del sistema editoriale odierno. Secondo Tiziano Scarpa è un libro che ha il carisma del capolavoro. Ma naturalmente giace impubblicato, tutelato dall’indifferenza del proprio autore.
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