Altre recensioni di Andrea Borla: La città dell’oblio, L’uomo che credeva di essere se stesso e in parole polvere Una recensione a cura di Andrea Borla
Aa. Vv., Storie di vita, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna, 2007
Negarlo servirebbe a poco. Il grande pubblico, oggi, non è più abituato ai racconti e rischia di considerare questo mezzo espressivo come un parente di grado inferiore rispetto ai romanzi. Reputo questo giudizio profondamente ingrato e lapidario, soprattutto perché non rende giustizia alla bravura e alla capacità di sintesi indispensabili per condensare in poche pagine la costruzione di personaggi, situazioni, ambienti, vicende e conclusioni. Ma poco importa: i personaggi appaiono ed esauriscono la loro funzione in poche pagine: come possono competere con i loro colleghi che tornano libro dopo libro, condividono con il lettore l’evoluzione delle loro vite di carta e si trasformano così in conosciuti e consueti compagni di viaggio?
In questo panorama desolante, Storie di vita, una raccolta scritta a otto mani da quattro autori e pubblicata da Fara Editore, potrebbe avere la forza per tentare una strenua difesa contro i mutati e instabili gusti del pubblico. Rispetto alle semplici antologie, spesso troppo disomogenee, Storie di vita contiene al suo interno diversi racconti per ogni autore e offre in questo modo la possibilità di frequentare ognuno di essi per un tratto di strada più lungo di una breve passeggiata, di approfondirne stile e scelte narrative, di prendere confidenza con uno spicchio del loro mondo di dimensioni maggiori rispetto a quelle offerte da un solo racconto.
A inaugurare la raccolta è Marco Bottoni, a cui spetta il compito di accogliere il lettore all’interno di una vera e propria casa di vita fatta di quotidianità e di fuga da essa e da se stessi che terminerà con l’ultima pagina del libro. Quelle di Bottoni sono storie narrate con tono enfatico e quasi violento che trattano di vite precarie appese come foglie o arrivate al capolinea o di altre in cui amore e malessere si confondono. Particolarmente interessante Sgrupada, storia di sofferenza e di forza di volontà di un corridore che affronta una gara podistica che è confronto a ritroso con la figura di suo padre.
I racconti di Emanuele Eccel (Centodieci battute al minuto) sono frutto di un’arguzia deliziosa, grazie alla quale il lettore è spinto di fronte sia a soluzioni narrative che stupiscono e appassionano, sia a sviluppi tutt’altro che banali e scontati e che rendono la lettura intrigante. Se questo discorso vale in particolar modo per Morte inattesa di un fantasma, può essere tuttavia esteso anche agli altri teatri del viaggio di Eccel, luoghi fisici e della mente, racconti ambientati a Kouros o nei paesaggi africani, nel territorio sempre stupefacente del proprio passato, in una foresta o su un’isola.
A differenza degli altri autori, Giuliana Guerri non presenta una serie di brani autoconclusivi ma un unico racconto lungo (Una ragnatela di lana rossa) suddiviso in capitoli e incentrato sul complesso e sfaccettato processo di integrazione e disintegrazione che l’arrivo di una bambina scatena nella famiglia affidataria. Sono pagine che consiglio di leggere attentamente, non tanto perché mettono in evidenza con grande realismo i rischi e i problemi che una coppia potrebbe trovarsi ad affrontare durante un’esperienza di quel tipo, ma per un motivo esattamente opposto: è l’amore, quello vero, a farsi strada in mezzo a difficoltà e compromessi, ad affiorare in mezzo a sforzi e rotture. Che possa essere di stimolo a qualcuno a intraprendere un cammino simile?
L’elemento che rende assai particolare Vite avvitate di Giusi Speranza Jouven è (oltre ai contenuti, ovviamente) il linguaggio utilizzato per descrivere le situazioni che si profilano davanti al lettore, decisamente efficace e stuzzicante. Il tono, in Quel pasticciaccio della rue du Temple, è ironico e quasi scanzonato (è sufficiente una singola parola messa al posto giusto — “joli”, per esempio — per far sbocciare il sorriso sul volto del lettore), diventa più serio e sfaccettato in Insieme, si fa preciso e calcolato nel giallo Caffè turco e cambia nuovamente in Hotel quattro stelle tramutandosi in parlata dialettale. Sono trasformazioni che arricchiscono i quattro racconti che chiudono la raccolta edita da Fara, che si rivela in grado di imporsi all’attenzione del lettore nonostante le difficoltà legate alla divulgazione di opere che si allontanano dalla rassicurante consuetudine del romanzo. Ma è comunque positivo che qualcuno prosegua in questa sorta di lotta per recuperare la dignità del racconto di fronte al grande pubblico. E poi, a volte, quel che conta è la lotta in sé, non tanto i suoi risultati.
Andrea Borla
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