Intervento di Rosamaria Rita Lombardo al Convegno Studi sulla Candidatura Unesco di Monte Guastanella tenutosi a Santa Elisabetta (AG) 18-19 luglio 2015. Numerosi link di approfondimento nella pagina del libro L’ultima dimora del Re.
Si realizza oggi qui un progetto che
sembrava di difficile inveramento per l’ambizione e la sfida in
esso contenute: ovvero il portare all’attenzione della comunità
scientifica un’ipotesi archeologica legata alle radici storiche
più antiche del territorio agrigentino in virtù della quale sarebbe
possibile retrodatare il panorama dei contatti e dei rapporti in
antico tra Grecia e Sikania, anticipandoli di diversi secoli (XVI-XIII sec. a.C.) rispetto a quelli assodati della
colonizzazione greca d’età storica (VIII sec. a.C.).
In aggiunta e a completamento di
questo, vi è la ferma convinzione che si possa attribuire piena
veridicità storica ai miti antichi e alla loro trasmissione orale
conservatasi, come nel nostro caso, prodigiosamente immutata nei
millenni.
Questo importante appuntamento, che io
vedo come grande opportunità di valorizzazione di un territorio in
cui affondano le mie radici, è stato possibile grazie all’impegno
e al contributo di persone che in questo momento desidero ringraziare: il Sindaco, Architetto Mimmo Gueli, e l’Amministrazione
Comunale di Santa Elisabetta che ci ospita, il dottor Ray Bondin,
Esperto dell’Unesco per il Settore del Patrimonio Artistico e
Ambientale Mondiale, Ambasciatore e Delegato permanente di Malta
presso l’Unesco, che ha con entusiasmo non scontato ha sostenuto fin
dall’inizio il mio progetto, facendosene prezioso ed
insostituibile vessillifero e mentore, i rappresentanti delle
Istituzioni responsabili della tutela del patrimonio archeologico e
culturale dell’area agrigentina, gli studiosi ed accademici
generosamente intervenuti, gli amici che mi hanno sostenuto e tutti i
partecipanti.
Rosamaria Rita Lombardo e Raymond Bondin (ambasciatore Unesco) |
Nel percorso e nel dipanarsi degli studi e delle
ricerche, da me condotte e realizzate, che sono culminate in questo
evento, nei momenti in cui le difficoltà sembravano prendere il
sopravvento è stato determinante l’appoggio, l’affetto e
l’incoraggiamento di mia figlia Thuy Lan e di mio marito Francesco Ritondale (nella foto qui sotto assieme alla sottoscritta). A quest’ultimi va in questa sede la mia più
grande riconoscenza e gratitudine.
Il presupposto che fonda la mia ricerca
è che il dato mitico, tràdito oralmente e corroborato dai dati
materiali, “archeologici”, è uno degli elementi di cui chi
si occupa di storia può avvalersi per ricostruire epoche per le
quali non esistono fonti scritte. Tale convinzione è presente
nello stesso lucido e disincantato Tucidide nell’Archaiologia
delle sue Storie (libro I , capp. 2-19) ove lo storiografo greco, affrontando il tema del Mito, intuisce che la narrazione mitica,
trasmessa oralmente, è a suo modo Storia, indizio di realtà non
altrimenti conoscibili.
Anzi la trasmissione orale del mito
può trovare forma nella individuazione di prove storiche oggettive
acquisite mediante un capillare e rigoroso studio scientifico ed
archeologico.
Il Mito pertanto merita sovente, a mio
avviso, di far parte a pieno titolo della Storia e costituire
illuminante elemento spia e guida, come lo è stato per me, nella
conduzione della ricerca archeologica.
Tale prospettiva ha guidato negli anni
passati archeologi e studiosi di grande spessore culturale coi quali
ho potuto lavorare e confrontarmi.
Va ricordata a tale titolo
l'identificazione di molti siti da parte del mio indimenticabile
Professor Orlandini – tra i quali il Thesmoforion di Bitalemi in
quel di Gela negli anni Sessanta. Tale identificazione è scaturita, prima che dall'effettuazione degli scavi veri e propri, da
indagini toponomastiche, memorie folkloriche e persistenze di culti
antichi pagani in analoghi culti moderni cristiani. Si fa riferimento
altresì ad analogo procedere nella conduzione degli scavi da parte
della professoressa Zancani Montuoro (1934-1940) in quel di Paestum
alla ricerca del santuario di Hera Argiva, l’Heraion alla foce
del Sele di memoria straboniana con evidenti legami con il Santuario
e il culto della Madonna del Granato di Capaccio.
Rosamaria Rita Lombardo |
Io, in verità, provengo da questa scuola di pensiero e di ricerca, appartengo a questa formazione scientifica, che vuole essere aperta e poliedrica, dei miei Maestri Pietro Orlandini, Dinu Adamesteanu, Dario Del Corno, Momolina Marconi, Paul Faure, e oggi lo stesso Andrea Carandini, che di recente ha scoperto sul Palatino le mura di Romolo, “arrendendosi” al dato mitico, per i quali il mito è “storia sacra” e quindi “storia vera” perché, come ben sostiene Mircea Eliade, si riferisce e rimanda sempre a delle realtà in qualche modo attendibili storicamente.
Per dirla con le parole di Mario Zoli, “il mito è la storia scritta una volta per sempre”, anche se
talora, e qui cito il mio compianto professore Dario Del Corno “la mitologia è paragonabile ad un labirinto di cui sembra essersi
smarrito irrimediabilmente l'ingresso”.
L’origine più profonda e personale
di questa fiducia nella veridicità storica del Mito è legata alla
testimonianza orale trasmessa dalla viva voce di mio padre, Nicolò
Lombardo, “aedo” moderno e inconsapevole custode di una verità
appartenente al tempo “aionico” del mito che in siciliano così
testimoniava: “Lu re Mini Minosse è drivucatu intra la muntagna
di Guastanedda. È tuttu chinu d’oru e, quannu lu scoprinu,
iddu addiventa un crastu d’oru e unu av’arrimaniri” (ovvero: “Il re Mini–Minosse è sepolto nella montagna di
Guastanella. È tutto pieno d’oro e, quando lo scoprono, egli
diventa un capro d’oro e uno degli scopritori deve sacrificare la
propria vita”). In questa memoria familiare ho scavato come
se stessi affrontando una stratigrafia!
Nicolò Lombardo |
Tale preziosa memoria orale, unita
alla sorprendente concordanza dei dati forniti dalle fonti storiche
sul triste epilogo dell’avventura del re Minosse in Sicilia con
quelli emersi dall’indagine autoptica, topografica, toponomastica, idrografica e folklorica da me effettuata sul territorio in
questione, indurrebbe ad avvalorare la suggestiva ipotesi
archeologica da me avanzata e a considerare altamente probabile
l’identificazione della fortezza dedalica di Camico e del
tempio-sepolcro del talassocrate cretese col sito, ancora in parte di
mia proprietà.
Minosse è il protagonista indiscusso
della tradizione storiografica sulla saga infausta cretese in
Sicilia nonché della narrazione “aedica” da cui sono scaturite
tutte le ricerche e indagini esposte e illustrate nel mio saggio.
La figura tradizionale del sovrano minoico sembra essere precorsa da
una più arcaica epifania di regalità legata alla figura del capro.
A tal riguardo credo sia importante da parte mia richiamare
l’attenzione su una illuminante nota relativa al mito di Minosse
riportata dall’illustre studioso R. Graves nella sua celeberrima
opera (R. Graves, I miti greci, pp. 284-285) in cui questi afferma
che sembra che a Creta il culto della capra precedesse il culto del
toro attestato in molte pitture parietali della Creta minoica, e
che Pasifae, sposa di Minosse che si innamora del toro con cui
genera il Minotauro, in origine si unisse al “re capro”.
È allora proprio il “re capro
Minosse” il genius loci di Monte Guastanella la cui
memoria persiste, a dispetto del tempo, e reclama di veder
riconosciuto un posto nella nostra storia desacralizzata?
Primo grande talassocrate cretese,
Minosse, re di Cnosso figlio di Zeus ed Europa, trovò la morte in
Sicilia a Camico, nell’inseguire Dedalo colà rifugiatosi quale
ospite dal re indigeno sicano Cocalo, che l’uccise con l’aiuto
delle figlie in un bagno bollente. Il suo corpo fu, dai compagni che
lo avevano seguito nella spedizione punitiva, sepolto con grande pompa
nell’isola. Quest’ultimi, difatti, come narra la fonte diodorea,
“costruirono un doppio sepolcro e posero le ossa nella parte
nascosta, mentre in quella scoperta edificarono un tempio ad
Afrodite”. Più tardi la sua tomba sarebbe stata scoperta da
Terone, tiranno di Agrigento, e le spoglie trasportate a Creta, dove
gli sarebbe stato eretto un monumento sepolcrale (la Temple-Tombe
rinvenuta a Cnosso da Evans).
Rinvio per una dettagliata disamina
delle fonti antiche sulla saga di Minosse in Sicilia al mio studio su Monte Guastanella.
Monte Guastanella |
In questa sede possiamo evidenziare
come lo studio puntuale delle molteplici fonti antiche sembri
condurre a queste ipotesi:
Anfora Hubbard (fine VIII sec. a.C., Nicosia, Cipro) |
- La saga del re cretese Minosse in
Sicilia non sarebbe una composizione di età storica
legittimante l’espansione coloniale greca in Occidente. Essa sarebbe invece un’autentica
composizione di epoca remota legata al mondo cretese-miceneo da
ritenersi attendibile e valida sul piano della verità storica
nonché contemporanea allo
svolgimento dei fatti narrati (XIII
sec. a.C.). Tale saga, trà-
dita oralmente per generazioni e
generazioni nell'arco dei
secoli fino ai nostri giorni, sarebbe
stata solo in epoca sto-
rica trascritta e veicolata
letterariamente.
- Il fiume Platani sarebbe l’antico
Lykos delle fonti, fiume questo che dovette esser risalito da
Minosse prima di approdare a Makara-Minoa (come dice ERACLIDE
LEMBO 29, F.H.G., II: “dopo aver risalito il fiume Lykos”).
- La contrada Macaruni che si estende
alle spalle di Monte Guastanella sarebbe il territorio su cui
sorgeva l’antica Makara-Minoa, città questa, secondo la
tradizione, contigua a quella di Camico, essendo posta lungo il
fiume Lykos e non alla sua foce (come afferma ERACLIDE LEMBO
29, F.H.G., II: “dopo aver risalito il fiume Lykos si impossessò della
città”).
- Il fiume Drago-Akragas, che si
origina presso la sorgente Mallia, posta ai piedi di Monte
Guastanella, costituirebbe l’antico bacino idrografico
del fiume Camico.
Tale fiume, secondo le fonti di acque
sulfuree e dall'aspetto
di un mare ribollente, da
identificarsi probabilmente con la distesa fangosa e gorgogliante
delle Macalube, dava, difatti, in antico, il nome alla città sicana del re Cocalo, presso
cui scorreva, dividendo con il suo corso in due parti l’agro
agrigentino o costituendone il confine naturale.
- Monte Guastanella, caratterizzato
com’è da un'unica via di accesso e da un'eccelsa rupe
fortificata, sarebbe il sito della antica Camico, reggia del re sicano
Cocalo, costruita dall’ingegnoso Dedalo e definita dallo
storico Diodoro
φρούριον (luogo fortificato) agrigentino
(DIODORO SICULO, IV,78; XXIII,9). In tale luogo, secondo quanto
attestato dalle fonti, il re cretese Minosse sarebbe stato ucciso con
l’inganno. La sua tomba potrebbe essere stata
innalzata proprio a Camico, città questa a cui,
in seguito, i Cretesi posero un estenuante ed infruttuoso assedio
al fine di vendicare la morte del loro re e forse pretenderne
la restituzione delle amate spoglie (ERODOTO, VII,170 -
DIODORO SICULO, IV,79).
- La tomba di Minosse, dopo la
conquista falaridea di Camico, sarebbe stata in età teroniana
ritualmente chiusa e non abbattuta.
- La sconcertante tradizione orale
della sepoltura di un re, dal nome “Mini-Minosse”, nelle
viscere di Monte Guastanella, in qualche modo legata alla presenza in
esso di un ambiente ipogeo da me ispezionato ed all’esistenza
di un vano cultuale ad esso sovrapposto, che la gente del luogo
ha sempre chiamato “chiesa”, qualificherebbe tale sito come quello della
Tomba-Tempio del re cretese Minosse, di cui parla Diodoro
Siculo.
- I grafemi e le immagini rinvenute
incise sulle pareti degli ambienti rupestri nonché in particolare la
peculiare figura di uomo dal copricapo piumato presente sul
monumentale rozzo sedile di pietra della grotta sommitale,
conosciuto come il “trono del re”, parrebbero appartenere a
sistemi di scrittura e ad un panorama iconografico del Mediterraneo
orientale, in specifico minoico-miceneo.
Il Trono del Re |
Il reticolo tauromorfico |
- Tra tutti questi elementi, di particolare suggestione ed interesse sembra essere il nome del nostro sito;
il toponimo Guastanella (volgarmente
Uastanedda, Vastanedda o Guastanedda), a testimonianza della
originaria caratterizzazione minoico-micenea dell’insediamento in questione,
deriverebbe, dal minoico Wastanedda (wa- abbreviazione di wanax
- re o wanakatero - regale, come si può evincere da
L.R. Palmer, Minoici e Micenei, p. 154, e stan - dimora, luogo,
città - radice del verbo cretese
στανυομαι- dimorare, abitare) e significherebbe “Città del re”. La lettura etimologica di tale
toponimo, consentirebbe, di identificarlo con quella “Città
del re” contemplata nella lista delle
fortezze bizantine di Sicilia, riferibile ad un centro bizantino
conquistato dai Musulmani nell’881-882, poco dopo la presa di
Maqara, secondo quanto testimoniato da Ibn al Athir (B.A.S.,
I, p. 398).
- Il sito rupestre ed ipogeico di Monte
Guastanella, identificabile con quello dell’antica città di Camico,
vanterebbe una formidabile ed ininterrotta continuità insediativa
nei secoli. Configurantesi, successivamente alla
frequentazione cretese, come fortezza cartaginese
appartenente ad una grande catena di località puniche tra loro collegate
con fuochi e fumate, Monte Guastanella venne in seguito
probabilmente rioccupato e ristorato, quale centro fortificato, dai
Bizantini. Conquistato, quindi, dai Musulmani,
fu espugnato nel 1087 da Gerlando Montaperto, valente
commilitone di Ruggero il Norman-
no. Segnalatosi, poi, nel 1220 come
baluardo di resistenza dei ribelli saraceni dell’agrigentino
contro Federico II, esso passò nel 1305 sotto la baronia di
Bartolomeo Montaperto. Quindi, passando nel volger dei secoli di
feudatario in feudatario (famiglie Aragona Tagliavia di Terranova e
Pignatelli), finì con l’essere acquistato nel 1947 da mio
padre, Nicolò Lombardo.
A conforto dell’ipotesi che
identificherebbe il maestoso e svettante sito rupestre di Guastanella
con l’ultima dimora del re Minosse in terra di Sicilia concorrono
come elementi altamente probanti la peculiare localizzazione
geografica della rupe, l’ascendenza etimologica del toponimo del
sito, i chiari caratteri minoico-micenei della rocca ivi costruita (una sorta di piccola Micene come si può evincere dalle immagini
satellitari delle due rocche da me poste a confronto nel mio studio,
seppur frammisti a posteriori interventi contaminatori operati nel
volger dei secoli da Bizantini, Musulmani, Normanni e Svevi
succedutisi nell’occupazione del sito (gli studi precedenti la mia
ricerca ritengono corretto per lo più considerare e classificare
tale insediamento come altomedievale), nonché la preziosissima
memoria popolare da me raccolta e verificata direttamente in loco.
Rocca di Micene
|
Questi elementi devono al momento
mantenere un margine di ipoteticità, fugabile solo dalla conferma
di un’indagine archeologica sistematica, condotta in loco, che la
mia ricerca ha inteso caldeggiare. Nuovi e più allargati studi potranno
contribuire a correggere o accettare le ipotesi che ho qui esposto.
Vorrei da ultimo, a chiusura del mio intervento, accomiatarmi da voi citando le profonde e sagge parole di Cesare Pavese: “Quando un popolo non ha più senso vitale per il suo passato si spegne. La vitalità creatrice è fatta di una riserva di passato. Si diventa creatori anche noi, quando si ha un passato. La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia”. E spero davvero che l’evento di questi giorni possa contribuire al raggiungimento dell’ambizioso obiettivo che ci siamo prefissati: l’inserimento del sito di Monte Guastanella nella lista del Patrimonio Unesco con l’attivazione in loco di una sistematica campagna di scavi le cui risultanze possano, fungendo da volano di sviluppo compatibile con la vocazione del territorio, innescare un processo virtuoso di valorizzazione e promozione dell’area distrettuale agrigentina.
Un grazie a tutti!
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