Siderofilax
Di
origini ascolane, Angela Rosati risiede a Bologna dal 1961. Insegnante di
lettere, ha pubblicato il suo primo libro Grazie
a libretti di fichi (Tracce) nel 2000, vincendo il primo premio al concorso
"Parco della Maiella" quale "miglior romanzo d'Abruzzo degli
ultimi dieci anni". In seguito ha ricevuto altri riconoscimenti per le sue
opere sia in prosa che in poesia, fino alla menzione d'onore ottenuta nel 2012
in occasione di un concorso internazionale indetto da una fondazione culturale
di Zurigo per la raccolta di poesie intitolata Spes, ultima dea. Ha
frequentato a lungo i corsi di poesia dell'Università di Bologna in particolare
quelli del professor Alberto Bertoni. Per Pendragon ha pubblicato le raccolte
poetiche Rinascimento (2013) Siderofilax (2015).
Conosco
Angela Rosati da diversi anni, anche se la nostra frequentazione è diventata
più assidua da quando si è decisa nel 2013, dopo anni di lavoro sulla poesia, a
pubblicare il suo primo libro, Rinascimento,
nella collana Sibilla che dirigo per
le Edizioni Pendragon di Bologna.
Oggi, a
distanza di due anni da quel suo esordio, la Rosati esce con un secondo libro, Siderofilax (idealmente “filo che corre
tra le stelle”), sempre con Pendragon, libro che presenteremo sabato 6 giugno,
nella prestigiosa sede del Collegio San Luigi di Bologna. In questo lavoro, di
cui parlerò in quest’articolo, l’autrice rende conto nell’introduzione anche
delle sue origini, presentando le profonde radici che la legano all’arte e alla
poesia in un percorso tra antenati illustri – tutti originari di Ponzano di
Civitella del Tronto, in Abruzzo - quali il Padre Barnabita Pietro Rosati –
poeta e latinista, amico fraterno del Pascoli – il pittore (ingegnere e
archeologo) Vincenzo Rosati, nipote di Pietro, autore del quadro riportato in
copertina La voce del mare, il poeta dialettale Giovanni Rosati, padre di Vincenzo e fratello di
Pietro – autore di poemetti in versi legati alla sua terra -.
Alberto Bertoni nella
prefazione al precedente libro di Angela Rosati, Rinascimento, scrive in chiusura che l’autrice «non si nega mai – religiosamente – al negativo della realtà, mirando
ad elevarlo proprio attraverso la poesia a capacità di riconoscimento del
“diritto dell’altro”, di ogni Altro.». L’affermazione mi dà lo spunto per iniziare
a presentare la nuova raccolta della Rosati, molto attenta alle problematiche
sociali, partendo da un testo dove il “diritto dell’altro” si nasconde nelle
agnizioni di una Terra ondeggiante di
cadaveri dove un corpo martoriato/ma
un sorriso sulle labbra diventano tasselli di un unico puzzle, rapportati
attraverso le similitudini con: ogni
bocciolo/sete di linfa trasparente/quasi legati a farsi forza/di energia comune
temprati per costruire una mappa di quell’impegno civile che non si nega,
appunto, tra le pieghe dei versi dell’autrice ma, al contrario, trova forza e
gioco espositivo grazie ai correlativi oggettivi su cui è costruita la sua
poetica. Così, se è impossibile non notare questa tensione nei versi: Sono loro che stringono oggetti/che si
portano avanti espressive/che si chiudono in possesso/che si aprono a benedire…
dove nell’elemento simbolico delle mani sentiamo racchiudersi tutti i
sentimenti dell’uomo mentre è intento a forgiare le sue creature, è altrettanto evidente che l’uomo-donna-poeta interseca
la sua stessa esistenza in un luogo – che diventa il luogo della poesia – già
citato dalla Rosati anche nel precedente libro, la città di Bologna, con i suoi
portici, col rosso dei palazzi/col
giallo del sole… seconda patria di molti/speranza di civiltà. Luogo che non
è l’unico tuttavia dove l’autrice si sofferma a riflettere, che non è l’unico a
cui appartiene la poesia. Nel testo dove Pietre
sfumate coprono/il tuo cammino/della strada più stretta/d’Italia ecco che
il luogo diventa fotografia di Civitella del Tronto, terra nella quale
s’incontrano quei figli coi nipoti, che spinti
solo dal vento entrano nel santuario mariano dedicato alla Madonna dei Lumi, - una
delle realtà monumentali più note del territorio teramano che conserva tuttora
memoria d’arte romanica, di misticismo, di spiritualità – e incidono sui
fotogrammi dei versi i ringraziamenti per
le pietre sfumate, per l’acqua
che lava le colpe, per quell’azzurro fendibile, utero degli avi. Angela
Rosati riesce così a costruire uno spazio poetico dove la storia e gli eventi
che la compongono si fissano nel tempo reale del presente, in una visita alla
terra che fu degli avi, che fu teatro di vita e battaglie, dove la preghiera di
ringraziamento è il tramite per una riconciliazione con l’incedere, non sempre
condiviso, dell’accadimento passato.
E sembra, quasi, che la dimensione della riconciliazione sia
prevista in sprazzi di visioni e raccordi mariani laddove Maria è la Madonna dal volto/dolce [che] sembra chinarsi/accogliente; è la Madre delle conversioni/custode delle
speranze/ispiratrice di un domani; è forse la figura nascosta in un
incontro per strada, che segue l’autrice su una
panchina di un giardino, che patteggia con lei la vita, nell’invito a
rivedersi; è forse la bambina dall’abito bello che ha detto di chiamarsi Maria, la cui immagine riflessa negli specchi
è sempre più rarefatta: frutto di quelle sensibilità votive tutte al femminile
nei confronti di una figura sodale, a cui spesso si rivolgono le donne, e di
cui la poesia raccoglie testimonianze notevoli anche nel nostro ‘900 come per
Alda Merini a Maria Luisa Spaziani.
Ma l’io poetico, protagonista di buona parte dei testi della
raccolta, continua a scandagliare la realtà che più lo colpisce, si addentra
ancora nei meandri di un percorso interiore che diventa cosmico, laddove il
riferimento preso a prestito per l’invenzione e il raccoglimento diventano un
tutt’uno con la natura, con gli elementi dell’universo: ora sono le stelle/che nel firmamento/ti abbracciano…
che comunicano l’immensità del creato/la vastità della luce che avvolge; ora
diventano visioni di Un tondo rosso
mattutino/sfrangiato di blu plumbeo/ [che] s’inabissa all’orizzonte… mentre dall’altra parte lo stesso mare accompagna il suo tramonto ed è il presepe della vita/che fluido scorre;
ora creano una voce eterna del mare
che la donna-poeta ascolta per carpire all’arida
sabbia/di una cometa qualcosa in più del mistero della vita; e ancora si
affidano al soffio di vento - forza
che l’autrice stessa definisce come sconvolgente, propulsore, cancellatore dl
brutto – capace di infiammare e di riempire le
notti con la sua immagine sfocata.
Un libro, questo della Rosati, dove l’unico appello che si
potrebbe fare all’autrice è quello di lasciarsi andare di più, di essere più
“minatore” e scavare ancora di più dentro se stessa per comprendere e
raggiungere meglio gli altri – come diceva Giorgio Caproni - perché nell’incedere elegante e determinato
dei testi si notano delle rigidità, dei momenti di astrazione totale dalla
realtà dove la visionarietà – eppure necessaria in poesia – supera di gran
lunga quel bisogno di attaccamento al reale di cui la poesia stessa deve essere
nutrita, perché non sia un luogo d’élite ma diventi il luogo di tutti.
Tre poesie da Siderofilax:
Un tondo rosso mattutino
sfrangiato di blu plumbeo
s'inabissa all'orizzonte
allontanandosi alla vista
in un canale verso il mare
a quello stesso africano
che sfacciato e incandescente
accompagna il suo tramonto
E' il presepe della vita
che fluido scorre
*****
Ti ho sentita
sfiorarmi le guance
tante volte
l'avevi fatto
senza avvertirlo
Un palpito di pelle
fresca a sfiorare
la mia cipria
a riscaldare
una guancia immobile
In attesa
*****
Il suo abito è bello
gli accessori intonati
ha detto di chiamarsi Maria
l'aspetta l'autista al crocevia
il pranzo è servito da Gigì
la bella orientale filippina
Gli specchi splendenti
riflettono la sua immagine
che si fa rarefatta
disperdendo la scia
fra inutili arazzi
e odiati steccati
*****
Bologna, 2 giugno 2015
a cura di Cinzia Demi
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