martedì 2 giugno 2015

Siderofilax il nuovo libro di Angela Rosati (Pendragon Edizioni). Recensione di Cinzia Demi


Siderofilax

Di origini ascolane, Angela Rosati risiede a Bologna dal 1961. Insegnante di lettere, ha pubblicato il suo primo libro Grazie a libretti di fichi (Tracce) nel 2000, vincendo il primo premio al concorso "Parco della Maiella" quale "miglior romanzo d'Abruzzo degli ultimi dieci anni". In seguito ha ricevuto altri riconoscimenti per le sue opere sia in prosa che in poesia, fino alla menzione d'onore ottenuta nel 2012 in occasione di un concorso internazionale indetto da una fondazione culturale di Zurigo per la raccolta di poesie intitolata Spes, ultima dea. Ha frequentato a lungo i corsi di poesia dell'Università di Bologna in particolare quelli del professor Alberto Bertoni. Per Pendragon ha pubblicato le raccolte poetiche Rinascimento (2013) Siderofilax (2015).



Conosco Angela Rosati da diversi anni, anche se la nostra frequentazione è diventata più assidua da quando si è decisa nel 2013, dopo anni di lavoro sulla poesia, a pubblicare il suo primo libro, Rinascimento, nella collana Sibilla che dirigo per le Edizioni Pendragon di Bologna.

Oggi, a distanza di due anni da quel suo esordio, la Rosati esce con un secondo libro, Siderofilax (idealmente “filo che corre tra le stelle”), sempre con Pendragon, libro che presenteremo sabato 6 giugno, nella prestigiosa sede del Collegio San Luigi di Bologna. In questo lavoro, di cui parlerò in quest’articolo, l’autrice rende conto nell’introduzione anche delle sue origini, presentando le profonde radici che la legano all’arte e alla poesia in un percorso tra antenati illustri – tutti originari di Ponzano di Civitella del Tronto, in Abruzzo - quali il Padre Barnabita Pietro Rosati – poeta e latinista, amico fraterno del Pascoli – il pittore (ingegnere e archeologo) Vincenzo Rosati, nipote di Pietro, autore del quadro riportato in copertina La voce del mare, il poeta dialettale Giovanni Rosati, padre di Vincenzo e fratello di Pietro – autore di poemetti in versi legati alla sua terra -.



Alberto Bertoni nella prefazione al precedente libro di Angela Rosati, Rinascimento, scrive in chiusura che l’autrice «non si nega mai – religiosamente – al negativo della realtà, mirando ad elevarlo proprio attraverso la poesia a capacità di riconoscimento del “diritto dell’altro”, di ogni Altro.». L’affermazione mi dà lo spunto per iniziare a presentare la nuova raccolta della Rosati, molto attenta alle problematiche sociali, partendo da un testo dove il “diritto dell’altro” si nasconde nelle agnizioni di una Terra ondeggiante di cadaveri dove un corpo martoriato/ma un sorriso sulle labbra diventano tasselli di un unico puzzle, rapportati attraverso le similitudini con: ogni bocciolo/sete di linfa trasparente/quasi legati a farsi forza/di energia comune temprati per costruire una mappa di quell’impegno civile che non si nega, appunto, tra le pieghe dei versi dell’autrice ma, al contrario, trova forza e gioco espositivo grazie ai correlativi oggettivi su cui è costruita la sua poetica. Così, se è impossibile non notare questa tensione nei versi: Sono loro che stringono oggetti/che si portano avanti espressive/che si chiudono in possesso/che si aprono a benedire… dove nell’elemento simbolico delle mani sentiamo racchiudersi tutti i sentimenti dell’uomo mentre è intento a forgiare le sue creature, è altrettanto evidente che l’uomo-donna-poeta interseca la sua stessa esistenza in un luogo – che diventa il luogo della poesia – già citato dalla Rosati anche nel precedente libro, la città di Bologna, con i suoi portici, col rosso dei palazzi/col giallo del sole… seconda patria di molti/speranza di civiltà. Luogo che non è l’unico tuttavia dove l’autrice si sofferma a riflettere, che non è l’unico a cui appartiene la poesia. Nel testo dove Pietre sfumate coprono/il tuo cammino/della strada più stretta/d’Italia ecco che il luogo diventa fotografia di Civitella del Tronto, terra nella quale s’incontrano quei figli coi nipoti, che spinti solo dal vento entrano nel santuario mariano dedicato alla Madonna dei Lumi, - una delle realtà monumentali più note del territorio teramano che conserva tuttora memoria d’arte romanica, di misticismo, di spiritualità – e incidono sui fotogrammi dei versi i ringraziamenti per le pietre sfumate, per l’acqua che lava le colpe, per quell’azzurro fendibile, utero degli avi. Angela Rosati riesce così a costruire uno spazio poetico dove la storia e gli eventi che la compongono si fissano nel tempo reale del presente, in una visita alla terra che fu degli avi, che fu teatro di vita e battaglie, dove la preghiera di ringraziamento è il tramite per una riconciliazione con l’incedere, non sempre condiviso, dell’accadimento passato.
E sembra, quasi, che la dimensione della riconciliazione sia prevista in sprazzi di visioni e raccordi mariani laddove Maria è la Madonna dal volto/dolce [che] sembra chinarsi/accogliente; è la Madre delle conversioni/custode delle speranze/ispiratrice di un domani; è forse la figura nascosta in un incontro per strada, che segue l’autrice su una panchina di un giardino, che patteggia con lei la vita, nell’invito a rivedersi; è forse la bambina dall’abito bello che ha detto di chiamarsi Maria, la cui immagine riflessa negli specchi è sempre più rarefatta: frutto di quelle sensibilità votive tutte al femminile nei confronti di una figura sodale, a cui spesso si rivolgono le donne, e di cui la poesia raccoglie testimonianze notevoli anche nel nostro ‘900 come per Alda Merini a Maria Luisa Spaziani.
Ma l’io poetico, protagonista di buona parte dei testi della raccolta, continua a scandagliare la realtà che più lo colpisce, si addentra ancora nei meandri di un percorso interiore che diventa cosmico, laddove il riferimento preso a prestito per l’invenzione e il raccoglimento diventano un tutt’uno con la natura, con gli elementi dell’universo: ora sono le stelle/che nel firmamento/ti abbracciano… che comunicano l’immensità del creato/la vastità della luce che avvolge; ora diventano visioni di Un tondo rosso mattutino/sfrangiato di blu plumbeo/ [che] s’inabissa all’orizzonte… mentre dall’altra parte lo stesso mare accompagna il suo tramonto ed è il presepe della vita/che fluido scorre; ora creano una voce eterna del mare che la donna-poeta ascolta per carpire all’arida sabbia/di una cometa qualcosa in più del mistero della vita; e ancora si affidano al soffio di vento - forza che l’autrice stessa definisce come sconvolgente, propulsore, cancellatore dl brutto – capace di infiammare e di riempire le notti con la sua immagine sfocata.
Un libro, questo della Rosati, dove l’unico appello che si potrebbe fare all’autrice è quello di lasciarsi andare di più, di essere più “minatore” e scavare ancora di più dentro se stessa per comprendere e raggiungere meglio gli altri – come diceva Giorgio Caproni -  perché nell’incedere elegante e determinato dei testi si notano delle rigidità, dei momenti di astrazione totale dalla realtà dove la visionarietà – eppure necessaria in poesia – supera di gran lunga quel bisogno di attaccamento al reale di cui la poesia stessa deve essere nutrita, perché non sia un luogo d’élite ma diventi il luogo di tutti.

Tre poesie da Siderofilax:

Un tondo rosso mattutino
sfrangiato di blu plumbeo
s'inabissa all'orizzonte
allontanandosi alla vista
in un canale verso il mare
a quello stesso africano
che sfacciato e incandescente
accompagna il suo tramonto
E' il presepe della vita
che fluido scorre

*****

Ti ho sentita
sfiorarmi le guance
tante volte
l'avevi fatto
senza avvertirlo
Un palpito di pelle
fresca a sfiorare
la mia cipria
a riscaldare
una guancia immobile

In attesa

*****

Il suo abito è bello
gli accessori intonati
ha detto di chiamarsi Maria
l'aspetta l'autista al crocevia
il pranzo è servito da Gigì
la bella orientale filippina

Gli specchi splendenti
riflettono la sua immagine
che si fa rarefatta
disperdendo la scia
fra inutili arazzi
e odiati steccati

*****

Bologna, 2 giugno 2015 

a cura di Cinzia Demi

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