martedì 23 novembre 2010

Su Sputami a mare (Le voci) di Stefano Bianchi

FaraEditore, Rimini 2010

recensione di Anna Maria Tamburini


Trovo che notevole forza questa scrittura tragga principalmente dalla immediatezza del dettato e dagli accostamenti alogici e analogici, come solo la vita sa fare naturalmente quando accosta le voci e le cose, anche le più disparate.
Eppure delle voci – che appaiono, in corsivo, in calce ai testi –, del parlato che insiste sulla memoria, presente anche in modo inconscio, è interessante notare le concatenazioni che, da pagina a pagina, nella successione realizzano una sorta di narrazione sul filo di un motivo che lega un testo a quello che segue: rare perle, che si colgono tra le pieghe delle cose non dette (p. 64), nella pagina successiva diventano il tesoro che ho sepolto (p. 65), che la voce riportata in calce rimedita: Non avere paura piccola, / le perle stanno chiuse (p. 65). Infine sono perline / sul filo dei giorni (p. 73). E sono voci della vita ordinaria che ci investe e ci forma: le raccomandazioni della madre sulla porta di casa – Copriti che è freddo / lo vuoi il berretto? (p. 23); E non far tardi / non far tardi… (p. 25)  – . Ma anche la propria voce. La voce del poeta che invita l’amica: Usciamo a piedi / Che ti porto al ristorante (p. 75); e poi prosegue, due pagine più avanti: là sul molo… (p. 77). Oppure: non c’è fretta / questa notte (p. 69); dormo abbracciato a te (p. 71). 
Del resto questa è poesia che tende a raccontare. Valga per tutti l’episodio dell’anello perduto (Tasca bucata, p. 23), (ma quest’attimo che riluce d’oro / come l’anello dell’amore eterno / a chi l’ha perduto, in La corsa, p. 29). È tra le righe di una storia d’amore, abbozzo di vissuto, che la raccolta prende titolo (Malìa, p. 37). A volte è proprio il racconto che conta, che fa la vita. Il poeta si fa trasportare dal corso e dal ritmo della parola, la quale, una volta imboccata la sua strada, va per suo conto sino appunto a trasportare a sua volta il poeta che ferma solo i momenti e i gesti (p. 65). Non prevale l’esigenza di mettere in ordine una visione del mondo.
Ed è anche, questo, un modo significativo di sapere stare nel presente (p. 41), con piglio ironico, spesso – Questo è il gioco cui giochiamo / nessun coniglio anima mia (Il mago senza coniglio, p. 74) – aggiungendo sempre altro con tono tra lo scanzonato e il disincantato. Nessuna sbavatura sentimentale, tanto che l’ultimo testo, profondo quanto breve ed essenziale, si congeda dal lettore con la parla fine, stop (p. 81).
Nell’asciutto dettato la parola è sempre musicale, con prevalenza di assonanze e consonanze, ma anche con una certa frequenza di rime.
A più riprese un’eco biblica si cela tra le parole usate sempre nei loro significati piani e ordinari: Se devi fare il tuo lavoro / fallo! (Inverno, p. 34); sino a scoprirla amara sulla lingua (L’antidoto, p. 49); cercare il tesoro che ho sepolto (Il tesoro sepolto, p. 65), Conosco i segni dei tempi (il mago senza coniglio, p. 73); e il dio di tutti a dirti “resta!” / solo per l’ultimo saluto / prima che facesse buio  (Via Fontevivola, p. 76).

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