recensione di Anna Maria Tamburini
Poesia di profonda umanità, in questo libro di Carla De Angelis, A dieci minuti da Urano (poesie di tentata conquista), dove la scrittura elabora un dolore che esplode, controllatissimo: invece di morire / traghetto parole // fino a farne una culla / per le mie ferite.
Un amore grande trasuda da ogni riga divenuta, per necessità, essenziale: nei testi, brevi, che non arrivano ai venti versi, organizzati quasi regolarmente in distici, il filo del pensiero trapassa dall’uno all’altro senza soluzione di continuità. Qualche verso isolato. Una strofa di tre versi, eccezionalmente, per l’avvio di Arriva il Natale: restauro, dove l’amore si fa grido di preghiera: Ti seguirò come sempre / prova a togliere le spine // per scoprirmi ancora affamata di innocenza e di carezze (p. 72).
Si interroga, l’amore che si dilata oltre i confini dei volti familiari: Taccio / per non smentire parole deluse //per non dovere scuse /al pane che butto // all’armadio troppo pieno / all’acqua che si perde // alle carrette del mare. / Siamo ancora buoni? L’amore s’inchina con venerazione sulle orme delle figure amate:
Ho bevuto un bicchiere
né rosso né bianco
era puro arcobaleno
per onorare le tue vigne
Ho imparato a legare i tralci
contare le gemme
raccogliere gocce di sangue
gustare il miele che cola
la voglia nella gola che poi
sale alla testa
Beato quel chicco
nel canto della vendemmia
Beato il piede che lo ha pestato
L’amore pronuncia ripetutamente la parola perdono (pp. 54 e 57). Ma soprattutto il rapporto con la figlia diviene l’ambito dove la poesia dispiega un ordine diverso delle cose: Burli il tempo, resti bambina // Ti as/serve tanta bellezza / figlia (p. 79). Per lei la preghiera si fa grido di invocazione anche sinceramente ribelle ai disegni che interpellano drasticamente la fede, come talvolta certi Salmi: Fra le nuvole ti nascondi (…) ammetti da solo non puoi / manda tuo figlio a seminare salute e rispetto // Non lo crocifiggere / Non spargere altro sangue (p. 29).
Ma la certezza che questo è tempo di semina (p. 27) conclude la raccolta con un testo che si apre come discorso aperto:
… poi una nuvola è scesa
fino a terra
il Pastore sfinito l’ha raggiunta
per dissetarsi,
seguito da una moltitudine
piena di speranza.
Infatti la poesia assume una cifra profetica non solo per una professione di fede che assimila le esperienze – il profeta sa che la vita (p. 67) – ma precisamente per questo dilatarsi degli orizzonti dell’amore seguito da una moltitudine / piena di speranza. È difficile potersi pronunciare su esperienze di scrittura così marchiate a fuoco, è diffidato persino il lettore cui apertamente si rivolge: entrate a piedi scalzi / non calpestate i disegni (p. 94), che non sono ovviamente solo quelli su tela o su carta.
Nessun commento:
Posta un commento