mercoledì 30 dicembre 2009

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi

Monastero di Camaldoli, 30 Dicembre 2009

di Ivan Nicoletto


Prima che avvenga,
la creazione è sempre invisibile.
E noi dobbiamo scommettere su quell’invisibile. (
Edgar Morin)



L'uomo deve non tanto costruire la sua vita,
quanto proseguire la sua incompiuta nascita;
deve nascere via via, lungo la propria esistenza... (Maria Zambrano)



Non è ancora stato svelato ciò che saremo (I LETTERA DI GIOVANNI 3,2)


Desidero condividere con voi alcune risonanze a partire dall’immagine di un salmo che ha magnetizzato la mia attenzione: Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi.

Nel primo spunto mi soffermo sullo sguardo, nel secondo sull’informità, nel terzo sulla creatività o sull’estro divino.

primo spunto: sullo sguardo
Per gli avventurosi tra di voi che desiderano esplorare il sito della NASA, sono disponibili delle foto che ritraggono  l’universo appena nato, in un’età di circa trecentomila anni dall’inizio, dall’esplosione del Big Bang… un tempo da neonato, considerati i più di tredici miliardi di anni che conta il nostro cosmo…
Sono immagini che giungono a noi grazie alla scoperta di una radiazione diffusa in modo omogeneo ovunque nello spazio: la radiazione cosmica di fondo. La fuga di questa luce allo stato nascente, nello spazio e nel tempo (residuo luminoso fossile delle epoche successive al Big Bang), giunge fino a noi, offrendoci una panoramica a più colori sulla genesi dell’universo ancora bambino, di cui tutta l’energia è conglobata in uno spazio ultragremito. Da questo grumo informe, dalle intensità diverse, si sono gradualmente formate e differenziate le strutture primordiali che hanno dato vita agli ammassi galattici, alle stelle e, qualche miliardo di anni dopo, al sole del nostro sistema…
Nessuno sguardo umano, eccetto quello mitologico-religioso, si era mai inoltrato nell’inaccessibilità degli inizi, il cui contatto provoca una vertigine d’infinito!
Noi umani, determinati in modo drastico dalla brevità delle nostre vite, e dalla limitatezza dei nostri sensi, grazie agli strumenti tecnologici, che sono estensioni del nostro desiderio e del nostro dialogo emozionato con il mondo, sporgiamo sull’evento abissale da cui è iniziato a dispiegarsi lo spazio e il tempo! Da quel fondo che comincia a rivelarsi, l’abisso guarda a noi, rendendoci spettatori dell’inizio di tutti gli inizi, dell’esordio dell’universo [a. schiavone 2007, 11-13].
I nostri occhi, e gli strumenti che ne hanno modificato le capacità, ci hanno reso consapevoli di quel grembo sorgivo che ci ha generati, del processo di differenziazione e di complessificazione grazie ai quali siamo giunti attraverso tempi, spazi e peripezie inenarrabili, fino a qui e ora, nel trapasso dal 2009 al 2010…
Una volta che abbiamo visto, e ci lasciamo afferrare dalla visione, non possiamo ignorarne il senso, ossia che tutto, in quel grembo ancora informe, era collegato, e continua ad esserlo, come rete connettiva della vita, e che quell’inizio attendeva la nostra consapevolezza, per renderci maggiormente coinvolti nel processo, affidandoci un’inedita responsabilità del mondo, proiettandoci nel futuro con le nostre scelte personali e globali.
Il nostro sguardo, attraverso queste immagini dell’inizio, si affaccia, per così dire, sul grembo del cosmo ancora informe…  Grumo informe mi videro i tuoi occhi, afferma il Salmista, rivolgendosi alla sorgente creatrice, e già nel Libro tuo ero tutto scrittoè il salmo 139, che inizia con le parole: Tu scrutando mi penetri Signore
Il credente immagina che il Soffio e lo Sguardo creatore si spingano là dove ancora non c’è forma, coscienza, luce, come nel ventre materno in cui andavo formandomi, come nel grembo del cosmo, dove tutto era indistinto coagulo, come nel crogiolo del tempo, dove siamo ancora in gestazione...
Il credente immagina… l’immaginazione, come sappiamo, dà voce al linguaggio del desiderio umano, dà forma all’informe, a ciò che ancora non c’è, che posso o vorrei diventare… Nell’oscurità del grembo, nel guscio del presente, in cui sempre mi trovo a vivere e a nascere, in tensione fra ciò che ancora non sono e ciò che manca, che potrei diventare, immagino che l’informe sia abitato da una presenza invisibile che ama e inquieta, accompagna e accudisce, ispira e lotta, continua ad alimentare galassie di senso dentro di noi. Essa continua a trarci dal nulla e dal caos verso un di più ancora sconosciuto, ci dona capacità di intravedere scenari futuri, ci espone alle radiazioni della creatività, della speranza e della libertà, fa sbocciare in forme sensibili e variegate le utopie chiuse nel corpo. [m. foucault 2008]
Oh, fonte cristallina
Se nel tuo argenteo sembiante
Formassi all’improvviso
Quegli occhi desiderati
Che porto disegnati nelle mie viscere
                s. giovanni della croce, Cantico Spirituale,XII

Non potremmo scorgere, in questa relazione fra gli occhi divini e l’informe, un Dio arrischiato nel divenire del mondo e delle creature, in attesa che il nostro sguardo lo riconosca e lo assuma? Non apparirà, spesso, non nelle forme già consolidate, ma nelle emergenze del nuovo che ci sconcerta, che ci educa ad una inedita prospettiva? Saremo, noi umani, un’interfaccia del divino, come se i suoi occhi chiedessero ospitalità, per aprirsi nei nostri occhi, coinvolgendoci in una migrazione che continua a ridisegnare e a trasformare ogni stadio raggiunto, in un oltre inafferrabile? Saremmo un’espansione del sogno divino, del suo estro, del suo divenire?

secondo spunto: l’in-formità
Il poeta Mario Luzi interpreta il nostro tempo come un Mondo in ansia di nascere  / Ma stretta è la porta dell’origine /  a miriadi si accalcano / … E noi dal gorgo / d’un oscuro tempo / lì in quello sciame / fila / ciascuno il filo / luminoso / e doloroso della grande trama, / fabbrica una storia / nella storia… [m. luzi, 2004, 965].
Il poeta avverte che è maturata nel nostro tempo una nuova coscienza, in ansia di nascere. Io, noi, la storia, il cosmo… ci troviamo coinvolti in una travagliata, informe  generazione che spetta anche a  noi di compiere, in questo frangente dell’evoluzione umana…
Non è, però, così semplice e spontaneo assumere e fare esperienza di una gestazione in atto, accogliere il mutamento nella nostra esistenza, lasciare che una forma si sviluppi, fiorisca e muoia, per lasciare il posto ad un’ulteriore gemmazione, in quanto significa congedarci dal già conosciuto e rassicurante, per esporci in modo accogliente allo sconosciuto che destabilizza, di fronte al quale possono insorgere resistenze, opposizioni, conflitti, paure…
Come esempio emblematico di questa trasformazione da una forma all’altra di coscienza, vorrei evidenziare il passaggio, nella nostra storia recente, da una concezione di uomo antropo-centrato, ad una emergenza dell’umano come dialogo coniugativo con le alterità.
La nostra modernità è iniziata con la scoperta che la terra non è immobile centro del mondo, ma una mobile particella, orbitante in un sistema solare di cui è parte. Abbiamo poi scoperto che non solo il nostro pianeta, ma nemmeno la specie umana è un’essenza statica, compiuta, completa, né tantomeno perfetta e separata, ma è un cantiere aperto, un’identità in continua trasformazione, in un perenne non equilibrio creativo.
è andata in pezzi l’idea che esista un prototipo dell’umano, pensato come fulcro, apice, e compimento della creazione, e che esso sia il centro gravitazionale intorno a cui tutto orbita, e al quale tutto dev’essere riferito. Questa comprensione dell’uomo, centro e misura del mondo, non è per nulla innocua e innocente, avendo alimentato un immaginario di dominio e di onnipotenza che ha a sua volta espulso e sostituito l’immagine di un Dio quale fondamento sicuro e stabile dell’essere. L’uomo diventa capace, con il suo sapere, di controllare l’universo, di trasformarlo in un insieme di meccanismi regolati da leggi certe, che ci permettono la predittività e l’utilizzo del mondo.
Questa affermazione del primato dell’umano ci ha illuso di poterci considerare autosufficienti, ci ha indotti a volerci separare da tutte le altre specie,  dalla realtà ambientale, da tutto ciò a cui non è attribuibile l’eccellenza dell’umano, e abbiamo assegnato loro un livello di inferiorità, le abbiamo poste a nostro servizio in modo strumentale, strumenti di uso e di  abuso…
Questo tipo di antropocentrismo si è rivelato nefasto sotto molti aspetti. Ha generato e continua a generare tutta una serie di paure difensive nei riguardi di ciò che attenta ad una presunta purezza di uomo, innesca dinamiche di epurazione, di respingimenti, di xenofobie, di omofobie, di tecnofobie. Esso ha contribuito a  separarci dall’ambiente della terra, verso la quale siamo, invece, debitori, e dalla quale emergiamo, fino a compromettere la stessa organizzazione bioclimatica, provocando una crisi ecologica planetaria. Il dogma di un’espansione illimitata dell’umana potestà impregna le viscere del recente incontro di Copenhagen, che invece di un Hopenhagen si è rivelato un Flopenhagen, senza alcun accordo di solidarietà internazionale nei confronti di una prevedibile ecocatastrofe del pianeta…
Quale arricchimento e novità, invece, il poterci lasciare alle spalle l’idea di conoscenza come dominio e come asservimento! Di lasciarci generare ad una nuova forma di conoscenza come coniugazione al mondo, come dialogo con le alterità umane e non umane! [r. marchesini 2009]
Scoprire che ogni aspetto della realtà, sia esso il cosmo, la vita, le incalcolabili specie, le innumerevoli culture, sono l’esito sempre provvisorio di incessanti trasformazioni, che abitiamo un ordine in continuo e febbrile mutamento, passando attraverso fasi di disordine e destrutturazione, da cui emergono nuove soluzioni, orientamenti, possibilità…
Quale sorpresa scoprire che proveniamo dalle stesse sorgenti biologiche di ogni essere vivente, frutto di un percorso evoluzionistico in cui l’umano è l’esito di una serie sbalorditiva di processi ibridativi con le alterità che sono i nostri partner e co-abitatori: ambiente, animali, strumenti, intelligenze artificiali…
Scoprire che il nostro processo di ominizzazione è stato una costellazione di linee evoluzionistiche, e noi non siamo che una delle prospettive della vita, fra tante altre prospettive che coabitano con noi il pianeta. Scoprire che il farsi umano è un cantiere aperto senza progetto definitivo, apertura verso innumerevoli possibilità, secondo i limiti di accoglienza della nostra casa.
  Possiamo, infatti, immaginare i nostri corpi come una casa, con porte e finestre che favoriscono o ostacolano il commercio con il mondo. Noi siamo divenuti quello che siamo, la nostra identità può avere futuro, grazie agli scambi che lasciamo avvenire in un processo di accoglienza reciproca con le diversità.
Nella concezione antropocentrata di conoscenza come dominio, si immagina l’identità come possesso che si conquista, come assicurazione di sé che poi difende il proprio territorio da tutti gli altri che non siano il duplicato di me stesso: è identità di uguali, mixo-fobica. è un’identità debole, che crede di rafforzarsi separandosi, difendendosi, pretendendo di salvaguardare una chimerica, incontaminata purezza, che è un’illusione.
             Nella concezione della conoscenza come dialogo con le alterità, invece, l’identità non è semplicemente una razionalità possessiva ma è anzitutto un atto di ospitalità, si costruisce assieme agli altri, è bisogno di altri, è desiderio e capacità di venire a contatto, esporsi, dialogare, lasciarsi coinvolgere con-creativamente, nel corpo come nei sentimenti, con le diversità, approntando strumenti che ci rendono capaci di ospitare l’alterità e di farci ospitare dall’alterità… Non diversamente da Gesù, che ha incarnato l’amore di Dio attraverso un’ospitalità delle persone più diverse incontrate nelle sue erranze, per paesi e villaggi. Egli fa precipitare Dio dal cielo regale della trascendenza, della purezza e della separatezza, per farlo accadere in una relazione fra persone differenti, con tutta la contingenza e l’instabilità, ma anche la promessa e la creatività che questo comporta.
La verità umana non è quella dell’assoluto bensì quella della relazione. Ogni identità esiste nella relazione: è solo nel rapporto con l’altro che cresco, cambiando. Ogni storia rinvia ad un’altra, e sfocia in un’altra. Ogni esistenza, ciascuno di noi, è sempre un grembo in formazione, ha un fondo complesso e oscuro, e non deve essere attraversato dai raggi X di una pretesa conoscenza totale. Bisogna vivere con l’altro e amarlo, accettando di non poterlo capire a fondo, e di non poter essere capiti a fondo da lui, di lasciare che soffi il vento dell’inafferrabilità tra di noi. Accettare che a fianco del mio modo di essere e di credere  ci sia un altro modo di essere e di credere, che magari è un’ulteriore rivelazione di uno dei mille volti e dei mille nomi con cui il Dio imprendibile si rivela.
Nella prospettiva della vita come cantiere aperto, in opera, in formazione, la nostra identità non è mai chiusa e fissa nelle determinazioni del passato, in ciò che è già avvenuto e ci ha caratterizzati, ma la riceviamo nell’apertura costante all’altro, è situata nel futuro, in ciò che stiamo diventando insieme. In ambito di fede, la nostra identità è il processo di conversione alla quale Dio continuamente ci chiama, perché non sappiamo propriamente chi siamo noi, non è stato ancora rivelato ciò che saremo, partecipiamo a una gestazione che ci trascende, che la fede  evoca come Regno di Dio, regno di amore che ci precede e ci oltrepassa… Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi…

terzo spunto: la creatività o l’estro divino
Alcune parole del poeta Yves Bonnefoy:
Dio è artista…
Nell’immagine attende la sua liberazione
. . . . . . . .
Ciò che quelli chiamano Dio,
Attende. è ciò che vegeta nell’immagine,
Ancora sepolto. E insomma, e per la prima volta,
Ciò che spera…
                     [Yves Bonnefoy 2007, 197-203]
Dio artista, ciò che attende la sua liberazione, ancora sepolto, ciò che spera…
Dio si sottrae ad ogni nostro piglio, appropriazione, definizione… Egli è evocato come Soffio, Energia, Potenziale, Luce, Immaginazione, Bontà… che di per sé non hanno nessuna forma… tuttavia egli non può darsi, emergere, rivelarsi, eccentrarsi, se non attraverso il travaglio della creazione, il flusso delle parole, l’irruzione dei sogni, l’accadere delle vicende umane, le sapienze dei saggi, le tradizioni religiose, il grido di liberazione dei poveri, l’estasi degli amanti, l’ispirazione dei profeti, le invenzioni tecnologiche, le procreazioni degli artisti…
            Dio può essere immaginato come artista al cuore del mondo, dei mondi, che rende possibile l’apertura di vie non ancora percorse, esplorazioni inedite… In ogni nostro gesto creativo e amante, il Divino fa emergere ciò che ancora non c’è, chiede alle creature di concedersi, di offrirsi, affinché attraverso i nostri corpi l’altro, l’oltre, il differente diventi carne, non diversamente da come Gesù offre la sua carne perché l’amore dell’Abbà venga ad irradiarsi tra di noi…
            Il Divino come creazione sempre in atto, slancio immaginativo, spazio del possibile, delle non ancor deste intenzioni di Dio... Come persone e gruppi, come partiti e chiese, cadiamo spesso nella tentazione di assicurare o di solidificare la vita tramite spiegazioni e abitudini, controlli e ripetizioni, discorsi e definizioni. Tendiamo a determinare la realtà umana e divina in assoluti, fissazioni, ideologie, doveri, in cui imprigioniamo noi stessi e Dio, come evoca il poeta Eugenio Montale:
Per me
l’ago della bilancia
sei sempre tu.
M’hanno chiesto chi sei. Se lo sapessi
lo direi a gran voce. E sarei chiuso
tra quelle sbarre donde non s’esce più.

… Ma la vita, e Dio quale sua perenne scaturigine, si manifestano come demolizioni  del già fatto, pensato, e definito, per lasciare emergere alla superficie dei corpi dell’altro, l’irriducibile, lo sconfinante, l’eccedente, il gratuito...
            Nel corpo di ciascuno può accadere l’Impensato – suggerisce Luisa Muraro - si apre dell’altro, ciò che non conosci e che, presentandosi di colpo, fa cadere i recinti isolanti e i muri separanti che un ordine politico o morale o religioso aveva escluso… e modifica radicalmente la tua esperienza. Altri occhi si aprono in te, come un cuneo che penetra nella roccia del mondo già stabilito, spezzando la continuità del tempo con il suo corteo di occupazioni, organizzazioni, obblighi, imposizioni a cui siamo abituati [l. muraro, 2009, 51-55].
Etty Hillesum parla dell’esperienza di disseppellire Dio, perché non venga spento quel desiderio di bene, che pulsa al cuore dell’umano, sotto il peso del dominio e della violenza… [Diario, 169-170]
Dio come creatore, artista, grembo dell’impensato, forza di risuscitamento nei cuori feriti… Forse, la presente situazione di convergenza del mondo ci invita ad assumere  la creatività come senso di Dio immanente al mondo. Siamo invitati ad accogliere il mondo come il corpo manifesto di Dio, che è la sorgente e la promessa dell’immenso divenire. Invito a condividere una visione creativa del mondo affidata alle nostre mani e alle nostre sapienze, alle nostre culture, con umiltà e tolleranza, con la consapevolezza dell’impensato e dello sconosciuto, non sapendo quale sarà l’esito della storia evolutiva, nel momento in cui i suoi sviluppi dipenderanno dalle nostre scelte.
Possiamo disseppellire e reinventare il sacro non più come separazione ma come partecipazione, condivisione di un’etica globale in uno spazio condiviso, uno spazio spirituale aperto, non minaccioso per la nostra creatività, e possiamo nominarlo Dio [s. kauffman 2008].
Dio come il nostro nome che sta per la creatività incessante e inedita nell’universo, nella biosfera, nelle nostre vite, nell’umanità, come progettualità e come sviluppo, come un’instabile struttura di transizione verso altre misure dell’esistere, che si affida alla nostra contingenza, in una interminabile migrazione attraverso tutte le forme possibili della vita, verso lo svelarsi senza più riserve della pienezza dell’Amore…
Il sacro, come nostra partecipazione con-creativa con Dio, nella trasformazione del mondo…
L’emergenza spirituale, il vino nuovo che siamo chiamati ad accogliere, è il novum che il nostro essere porta al mondo, il dono incarnato nella novità irripetibile di ciascuno, tutto quello che iniziamo e che ci mette in cammino verso qualcosa di sconosciuto, passando per momenti di precarietà e di incertezza, di scelte ambivalenti e limitate, di instabilità, e talvolta di rovesciamento e di distruzione degli otri vecchi, o delle forme ricevute.
Vivere è abitare nella possibilità afferma Emily Dickinson. Per la fede vale la stessa attitudine. è l’abitare nelle possibilità offerte da un Dio che non si lascia rinchiudere nelle nostre codificazioni, il Dio nascente nelle nostre personali accoglienze ed espressività, nell’apertura alle sue ispirazioni, diventando grembi di quel Soffio vivo che non sai di dove viene e dove va.
Il poeta Gerald Hopkins si rivolge a Dio dicendogli: come acqua di fonte / sgorgo dalla tua mano. Io sgorgo da Dio: non sono un prodotto finito, ma sono un flusso continuo e in-formato di creazione. Una persona che vive il mondo come bell’e fatto faticherà a scorgere nel mondo il dito di Dio all’opera, quel Vivente che ci aspetta ad ogni istante nell’opera che stiamo compiendo, sul gesto che stiamo facendo, sulla parola che stiamo pronunciando, sul silenzio in-vocante che lasciamo affiorare, sul de-siderio che siamo...
Il lieto annuncio evangelico inizia con Gesù che rivolgendosi all’altro/a, incontrati per via, non mette in mezzo, come un macigno, il peso di cose già decise o rifiutate, di questioni già formulate, di scelte già giudicate, di regole e principi già stabiliti, ma a tutto guarda per quello che di nuovo, umano, possibilmente felice lì, in quel contesto, può accadere.
Egli sa riconoscere le condizioni pietrificate che ci imprigionano, e ci libera dalla loro tirannia. Egli coglie nel cuore delle persone quell’immagine, quel sogno, quel desiderio di Dio che attende di essere dissepolto, e dona loro l’opportunità di diventare quello che ancora non sono, sovvertendo la macchina della ripetizione e della necessità.
            Gesù è lo sguardo tras-figurante che vede l’invisibile nel visibile: l’emorragia inarrestabile dell’Emorroissa viene arginata dal suo tocco amante e creativo; l’insoddisfazione accumulatrice di Zaccheo si muta in gioia della condivisione; la stessa  morte fallimentare di Gesù, l’attraversamento di una distruzione, è mutata in danza della vita, in effusione del Soffio vivo, che continua a foggiare il mondo, ci introduce nelle insondabili vie del Bene, ci apre al futuro veniente, ai giacimenti di silenzio inesplorato, agli spazi imprevedibili che Dio si apre nel nostro desiderio e passione, attesa e affidamento…

conclusione inconclusa
            Termino queste orbitazioni su Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi ospitando tre parole di altri: Jean-Luc Nancy, filosofo, Michele Luzzatto, scienziato, e Mariangela Gualtieri, poetessa.
            “Il Giusto, l’Amore, il Misericordioso. Ecco, in definitiva, che cos’è il cielo o il celeste nel senso del divino. Questo ci riporta proprio all’immagine del cielo, cioè al fatto che sopra la terra si apre una dimensione che non è nemmeno più una dimensione, ma che è l’apertura, spalancata e senza fondo… La cosa essenziale è l’impossibilità di rinchiudere questa apertura… Che cosa significa essere il più possibile se stessi se non essere fedeli a quest’apertura, a questo oltrepassamento infinito dell’uomo da parte dell’uomo? [j-l. nancy 2006, 39-41]
Dio è qui evocato come l’Aperto, il cielo, lo spazio insopprimibile di possibilità per la giustizia, l’amore e la misericordia, che inducono a ridefinire senza tregua l’orizzonte della terra, aprendola oltre se stessa.
 “Dio potrebbe essere null’altro che la natura, null’altro che tutto ciò che è… Chiunque abbia pensato queste cose, in ogni epoca, non ha avuto vita facile. E forse è stato proprio Dio che lo ha attaccato alle spalle, di notte, e ha fatto a calci e a pugni con lui, e gli ha reciso il nervo sciatico. E tuttavia, lottando, Dio si è compiaciuto, chissà, della tenacia e della combattività della Sua creatura, voluta libera proprio da Lui, libera e quindi capace di lottare anche contro di Lui. Proprio come quando un padre si compiace di vedere il proprio figlio cresciuto più forte e vigoroso, fino a quando arriva il momento in cui non può più imporgli il suo volere, e per la prima volta si rende conto di essere immensamente felice di venire sconfitto dalla propria creatura, perchè in quella sconfitta ha superato se stesso. Amen.” [m. luzzatto 2008,63]
è la preghiera darwiniana che coglie nella lotta incessante dell’interrogazione e della ricerca umana il rapporto di superamento fra una forma o un ordine dato, non considera come eterno nessun assetto biologico o sociale, ma accetta di vederli tutti come figure del mutamento e della transizione, in cui, forse, Dio può essere interpretato
come l’incessante processo di figurazione, disfigurazione e rifigurazione del mondo, in cui possiamo scorgere il divino nell’accrescersi infinito delle facoltà umane, e non nella sacralità della natura come vincolo e come barriera.
Infine la poesia di Mariangela Gualtieri che immagina l’esistenza come attesa e segno di un mistero che deborda le pelli delimitanti dei corpi e dei pensieri, rinvia ad un Atteso che giunge inaspettato
Quel tuo nome che non sappiamo
cantare per intero
tu che spingi le cose fino alla fessura
di questo mondo e le corredi
d’ombra e di mistero.
Niente tu sei. Il più bel
niente in attesa che il respiro
si faccia orma terrestre,
segno, piega, spigolo e lato
e forma. Attesa e segno.
                     mariangela gualtieri





riferimenti bibliografici
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michel de certeau [2007], Mai senza l’altro, Quiqajon, Magnano.
michel foucault [2008], Utopie. Eterotopie, Cronopio, Napoli.
michele luzzatto [2008], Preghiera darwiniana, Raffaello Cortina, Milano.
stuart a. kauffman [2008], Reinventing the Sacred, Perseus Books Group, New York.
luciano manicardi [2009], L’estro dell’agire di Dio nella creazione e nella storia, in La rivista del Clero Italiano, 10, 645-660.
roberto marchesini [2009], Il tramonto dell’uomo. La prospettiva post-umanista, Dedalo, Bari.
luisa muraro [2009], Al mercato della felicità, Mondadori, Milano.
jean-luc nancy [2006], In cielo e in terra. Piccola conferenza su Dio, E. Sossella editore, Roma.
nasa, http://map.gsfc.nasa.gov/m_mm.htlm.
ivan nicoletto [2008], Transumananze. Per una spiritualità del/nel mutamento, Città Aperta, Troina.
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antonio spadaro [2008], Per una spiritualità dell’innovazione, in La Civiltà Cattolica, 564-576. 


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