di Ivan Nicoletto
Camaldoli, Domenica 25 Ottobre 2009
Seduto sul bordo della strada, Bartimeo comincia a gridare insistentemente in direzione di Gesù. Alcune persone intervengono per tacitarlo, ma lui grida ancora più forte, tanta è la sua fiducia che questo Passante possa ridargli la vista, la luce degli occhi…
Credo che anche noi, seppure non fisicamente ciechi, siamo affetti da diverse forme di cecità, personale e sociale, che suscitano le grida allarmate di molte persone. Voci che invocano dei cambiamenti di direzione dall’oscurità alla luce, al risanamento.
Consideriamo, ad esempio, i nostri ritmi attuali di produzione e di consumo dei beni: ci accorgiamo che non sono sostenibili dal pianeta che abitiamo, e che se proseguiamo con le stesse modalità di sfruttamento, giungeremo presto ad un punto cieco di esaurimento delle sorgenti che alimentano noi, e tutte le forme viventi della terra.
Molte voci gridano anche nei confronti dei modi personalistici o egoistici con cui è gestita la cosa pubblica. Ci accorgiamo di diventare sempre più ciechi nei confronti del bene comune, dei beni condivisi, creando disparità sempre più grandi fra chi può e chi non può, fra chi ha e chi non ha.
Osservando, poi, la diffidenza che sta crescendo nei nostri paesi, nei confronti delle diversità umane, siano esse di razza, di sesso, di religione o di cultura… ci accorgiamo di sprofondare nell’oscurità dell’intolleranza e dell’esclusione, proprio nel momento in cui lo sviluppo attuale del mondo ci chiede di avere occhi e cuori aperti e accoglienti gli uni nei confronti degli altri…
Patiamo, dunque, diverse cecità: del nostro modello di sviluppo, di una gestione particolaristica del potere, della relazione con le diversità degli altri…
Alla radice, forse, di queste molteplici cecità, ve n’è una ancor più essenziale, ossia la perdita di contatto con la sorgente della vita, che splende al cuore di ciascuno di noi.
Come benefichiamo tutti della luce del sole che vivifica e illumina la terra, così viviamo tutti grazie a questa presenza luminosa che irraggia in ciascuno di noi, ci rende vivi e palpitanti, aperti a ricevere e dare.
Noi viviamo di questa luce interiore che abbiamo ricevuto dagli sguardi che si sono posati su di noi, dalla nostra nascita fino ad oggi. Abbiamo tutti fatto l’esperienza personale degli sguardi che ci hanno accolto, hanno avuto cura di noi, ci hanno insegnato a vedere, a sentire, a parlare, ad amare; sguardi che hanno saputo ospitare anche le nostre angosce e paure, i nostri smarrimenti e patimenti, i nostri sbagli. Altri occhi, invece, ci hanno congelati o feriti, amareggiati o pietrificati…
Credo che la capacità sanante e accogliente degli occhi del cuore, appartenga in modo straordinario alla persona, allo sguardo di Gesù. Egli suscita la fiducia, l’affidamento delle persone che incontra per la strada, specialmente quelle escluse e ultime, insignificanti. Egli ha occhi attenti e ascoltanti, da rivolgere a chi incontra. Uno sguardo che non è indifferente, ma si prende cura, ascolta l’invocazione, si impietosisce alla voce dei tormentati.
Le persone trovano uno spazio che le accoglie perché Egli stesso vive un rapporto di affidamento all’Abbà che lo illumina, che lo apre ad una visione del cuore delle persone, iniziando dei percorsi di guarigione, di liberazione dai mali che ci accecano: paure e disperazioni, egoismi e sensi di colpa, vergogna e inflessibilità, violenza subita o inferta…
Egli è talmente in connessione con la sorgente della luce, da sentirsi una cosa sola con la luce – luce da luce – e desidera rendere tutti/tutte noi figli e figlie della luce… Non una luce abbagliante, controlllante, omologante, ma una luce come spazio di accoglienza e di condivisione dell’Amore. Gesù è lo sguardo di compassione del Padre, che suscita in noi uno sguardo di compassione.
Lui stesso, nel corso della sua vita, ha attraversato momenti di disperazione, di paura e di abbandono, che lo hanno spinto a invocare il Padre con forti grida e lacrime, specialmente quando la sua fede e il suo amore si scontrano con la violenza e la menzogna dei suoi giudici, che tramano di eliminarlo come sovvertitore dell’ordine. Gesù continua a confidare e ad invocare Amore, fino ad una profondità inaudita, sebbene sprofondato nel gorgo oscuro dell’abbandono e della sofferenza, … Ed è attraversando queste oscurità sconosciute e crudeli del male, caricandosi della tenebra, che fa avvenire una luce inattesa, splendente dal cuore di Dio. Luce che lo strappa dal potere delle forze che provocano male e morte, e lo immettono nella Vita.
La sorgente della luce e della grazia sta aprendoci, gradualmente, sguardi sempre più profondi e inauditi su noi stessi, sull’evoluzione della vita e del cosmo. Ci dona la capacità di intervenire sulla materia, sui processi della vita e della morte. Ci avvicina sempre più gli uni agli altri, grazie ai mezzi della tecnologia…
Invochiamo la Sorgente di luce, perché ci doni di avanzare nell’inesplorato non con una conoscenza arrogante e cieca, ma con lo sguardo amoroso che irraggia da lei.
Oh, fonte cristallina
Se nel tuo argenteo sembiante
Formassi all’improvviso
Quegli occhi desiderati
Che porto disegnati nelle mie viscere
SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico Spirituale, XII
giovedì 29 ottobre 2009
Spunti su Mc 10,46-52
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