martedì 19 agosto 2025

Newsletter di Adele Desideri 19 agosto 2025





Gentili lettori, segnalo quanto segue

*I numeri – letti con imperdonabile ritardo – della prestigiosa rivista Xenia. Trimestrale di Letteratura e Cultura, edita dall’Associazione Culturale Genova Lettere
Anno VIII, n. 3, settembre, 2023
Anno VIII, n. 4, dicembre 2023
Anno IX, n. 4 dicembre 2024

In particolare, gli articoli di Rosa Elisa Giangoia, che – con la sua salda competenza e la sua delicata incisività – tratta il tema della pace nei secoli antichi: scelta non casuale, dati gli attualitempi di guerra:
Istanze di Pace nell’antica Roma, Xenia, Anno VIII, n. 3, settembre, 2023
Il nuovo messaggio di pace del Cristianesimo, Xenia, Anno VIII, n. 4, dicembre 2023
Il pacifismo occulto del Cinquecento, Anno IX, Xenia, n. 4 dicembre 2024

Il saggio di Adele Desideri sul libro di Vincenzo Guarracino, L’Angelo e il Tempo e altri poemetti, Book Editore, 2022, Xenia, Anno VIII, n. 3, settembre 2023.

L’articolo di Davide Puccini, Un’intervista inedita di Giorgio Caproni, Xenia, Anno VIII, n. 4, dicembre 2023
“Si tratta del dattiloscritto che il poeta aveva preparato per rispondere alle domande che Geno Pampaloni gli avrebbe rivolto nel corso di un’intervista televisiva. Della trasmissione, prevista per mercoledì 2 maggio 1962, rimane traccia soltanto in un vecchio numero del «Radiocorriere TV» datato 29 aprile - 5 maggio 1962 (…). Le ricerche condotte dai funzionari di RaiTeche non sono riuscite a trovare la registrazione dell’incontro, ma poiché il frontespizio del dattiloscritto reca «GIORGIO CAPRONI / II trasmissione», le puntate dovevano essere almeno due” (pp. 85-86)
Il dattiloscritto è reperibile in Filomena Giannotti, «Quell’Enea mi colpì». Giorgio Caproni e un’intervista inedita (a 110 anni dalla sua nascita), in Accademia Nazionale Virgiliana di Scienze e Arti. Atti e memorie, LXXXIX, 2021, pp. 373-91.

“È noto che Caproni aveva studiato con passione il violino fino a raggiungere un grado di competenza esecutiva professionale, ma lo aveva poi abbandonato in modo sofferto e addirittura drammatico, arrivando a distruggere il suo strumento, opera di un pregiato liutaio genovese, Cesare Candi. Alla musica era così subentrata la poesia:
«Propriamente, non erano più versi per musica, i miei, ma versi come musica, il che non vuol, dire (…) musicali in senso banale, ma nel senso della costruzione, dell’architettura, cercando, nei canoni classici, strutture nuove, un poco secondo i miei idoli di allora in fatto di musica: lo Stravinsky dell’Orpheus e Béla Bartók, Busoni.»
(…)
«Io non credo affatto che la rima sia obbligatoria in poesia. Credo però che quando la si usa la si debba usare spinti da una profonda necessità. La rima, e qui tornano in ballo i miei studi musicali, è ciò che in musica è la consonanza o dissonanza di due note. In poesia non si possono far consonare o dissonare insieme due idee poetiche, e si ricorre allora alla rima, in modo che le idee che strutturalmente reggono la composizione si richiamino a vicenda.»” (pag. 87).

“La prigione che era a Gaza è adesso/ un ossario./ Nell’ultima// foto online, tre ragazzine,/ sotto i dieci anni, salvate dalle macerie// di un appartamento, una con un brutto livido/ sulla guancia, del sangue sul labbro// superiore, sotto l’occhio destro./ È la faccia più triste, più// smarrita, ma sulla maglietta verdina/ macchiata c’è il contorno buffo// di un coniglietto, con l‘orecchio pendulo/ e sopra quattro lettere maiuscole// leggono H.O.P.E. Seduta/ accanto a lei, faccia e collo// insanguinati, capelli e chignon bianchi/ di polvere dell’esplosione,// testa girata dalla telecamera –/ una bambina con la maglietta nera// e dentro a un cuore rosso/ l’acronimo BFF,// Best Friends Forever./ Questo non può essere ignorato// come danno collaterale,/ l’eufemismo che assolve// da ogni colpa. L’ultima/ di questa trinità di innocenti –// minuta, capelli arruffati, occhi/ selvaggi, bocca aperta, è ignara// del presente. Ricorda/ le scene prima di arrivare// in ospedale, non riesce/ a credere a ciò che ha visto,// per cui nessuna parola,/ o poesia, è sufficiente.//” (Gary Geddes (Canada), Finale di partita con acronimi, traduzione di Massimo Bacigalupo, in Claudio Pozzani, Parole spalancate. Festival Internazionale di Poesia di Genova, XXX Edizione, Xenia, Anno IX, n. 4 dicembre 2024, pag. 5-6).

“Io spiego con calma. Tu/ mi senti urlare. Tu/ provi un’altra strada. Io/ sento vecchie ferite riaprirsi./ Tu vedi entrambi i lati. Io/ vedo i tuoi paraocchi. Io/ sono conciliante. Tu/ sospetti un nuovo egoismo./ Io sono una colomba. Tu/ riconosci il falco. Tu/ offri un ramo di ulivo. Io/ sento le spine./ Tu sanguini. Io/ vedo le lacrime di coccodrillo. Io/ indietreggio. Tu/ barcolli per l’impatto.//” (Roger Mcgough (Regno Unito), Io e te, traduzione di Franco Nasi, in Claudio Pozzani, Parole spalancate. Festival Internazionale di Poesia di Genova, XXX Edizione, Xenia, Anno IX, n. 4 dicembre 2024, pag. 20).

*Il saggio di Rosa Elisa Giangoia, Fiori di parole. I fiori nella letteratura, Sampognaro&Pupi Edizioni, 2023

“Fioriscono nei giardini e sulle tombe dei nostri cari; nei secoli li abbiamo indossati, regalati, personificati nei miti sui misteri della natura: i fiori sono con noi da sempre, così come l’urgenza di raccontarci con le parole. Esiste infatti un nesso inscindibile tra fiori e letteratura, un vincolo antico e cangiante che Rosa Elisa Giangoia ha indagato nelle pagine di questo libro, seguendone le trasformazioni dall’antichità ai giorni nostri.
Qual è il legame tra fiori e divinità? Cosa ha determinato la supremazia delle rose sugli altri fiori? Perché associamo i crisantemi alla morte e i gigli alla purezza? Ma soprattutto: in che modo i fiori sono confluiti nelle opere di Dante, Petrarca, Leopardi, Manzoni e molti altri ancora? Rispondere a tali domande vuol dire ripercorrere la nostra storia, riscoprire come nella bellezza abbiamo cercato un riparo dalla fragilità delle cose e nelle parole il modo giusto per raccontarlo”
(al link sampognaroepupi.com/prodotto/fiori-di-parole/)

*La singolare, notevole antologia – letta anch’essa con imperdonabile ritardo – L’albero, a cura di Alessandro Ramberti, copertina di Giacomo Ramberti, FaraEditore, 2022

“L’albero, nelle sue numerose specie, può essere inteso in infiniti modi: simbolo di vita, forza, gioia, energia, socialità (feste e riti), custode del sottobosco e degli esseri che lo popolano, ospite di nidi e tane, materiale da costruzione, per la produzione di strumenti musicali e attrezzi, albero maestro, ecc. In questo libro (…) trovate molteplici, interessanti e a volte sorprendenti declinazioni del tema che ogni partecipante ha trattato con la massima libertà e grande coinvolgimento personale” (dalla quarta di copertina).
Al link faraeditore.it/nefesh/Albero.html

“Che meraviglia il bosco/ quando risplende lucido/ e le ginestre esultano/ ai bordi delle strade// da cui sorpresi si alzano/ tortore falchi e passeri/ se sopraggiunge rara/ qualche auto in escursione/ in questi giorni gravi/ pulsano ai pellegrini /pietre avvezze da secoli/ al canto in preghiera// al farsi incontro ferme/ a te che ti decentri/ mettendoti in cammino/ osservando le nuvole// vele in trasformazione/ figure immaginarie/ abbracciate dai flussi/ di un cielo incontenibile.// Le rose si deformano/ bruciate dagli scoppi/ i cuori inaridiscono/ nei petti dei violenti.// Il mondo ci rivolge/ domande senza piangere/ la terra sotto i piedi/ sussulta e scuote le anime// le radica e le infervora.//” (Alessandro Ramberti, pag. 7).

*Fluire, rivista di pura poesia, Anno V, Volume 16, estate 2025

“Fluire n.16 è un esperimento estetico, è stato generato con IA in tutte le sue componenti, ogni riferimento a persone o luoghi è del tutto casuale.
Alla chiara fonte è, da sempre, un esperimento di soglia. In questo numero 16 di Fluire, lo sguardo si apre tra umano e macchina, tra significato e statistica, tra presenza e algoritmo. Fluire 16 è una scommessa: che la media statistica possa inciampare in una verità, che la non-vita generi un frammento vivo, che il quasi possa essere, comunque, interessante. Non è un’opera, ma un orizzonte di possibilità. È un gesto che non cerca il compimento, ma piccole intensità, microscopiche ferite, innesti imprevisti.
È il prodotto di chi, stupito dall’esistenza ormai ovvia di un linguaggio alieno, osa chiedergli la compassione della poesia” (Nota degli autori).

Al link poesiaallachiarafonte.ch/Fluire

*Valerio Ivo Montanari, Il Dio dai mille volti. Indagine sull’aspetto maschile e femminile della divinità, Moretti&Vitali 2025
Primo premio nella sezione saggistica – Premio Internazionale Francavilla Urban Festival 2025

*Stefano Cazzato, Il divino Platone. Filosofia e misticismo, Introduzione di Lucio Saviani, Moretti&Vitali 2025
Premio filosofia contemporanea, IX edizione del Premio internazionale di Letteratura L.A. Seneca, Bari).

Credo nel progresso, non credo nello sviluppo
(Pier Paolo Pasolini, in Xenia. Trimestrale di Letteratura e Cultura, edita dall’Associazione Culturale Genova Lettere, Anno VIII, n. 4, dicembre 2023)
Adele Desideri

lunedì 18 agosto 2025

SUL MITO DI ER IN PLATONE

(Racconto fantastorico para-filosofico)


di Vincenzo Capodiferro 




Er era un personaggio straordinario. Da lui deriva la parola “eroe”. Citato da Platone nella Repubblica. Fece un viaggio nell’Ade e tornò tra i vivi, come tanti altri eroi dell’antichità (Ulisse, Enea): «Er, figlio di Armenio, di schiatta panfilia: costui era morto in guerra e quando, dopo dieci giorni si raccolsero i cadaveri già putrefatti, venne raccolto ancora incorrotto. Portato a casa, nel dodicesimo giorno stava per essere sepolto. Già era sepolto nella pira, quando risuscitò e, risuscitato, prese a raccontare quello che aveva veduto nell’aldilà». Dalla descrizione di Platone si può ipotizzare che si trattasse di un caso o di resurrezione vera e propria, tipo Lazzaro, o di morte apparente, essendo il corpo incorrotto, con conseguente esperienza ai confini della morte (NDE). Er descrive un viaggio sciamanico, mistico, riservato a coloro che godono di una superiore sensibilità, che riesce a cogliere le realtà spirituali. 

Er era un grande eroe e tra le tante imprese che ha compiuto, molte delle quali non sono ricordate negli annali, la leggenda narra di quella del suo amore per la regina Semiramide d’Assiria. Semiramide era una regina potentissima che aveva fondato un impero vastissimo che andava dal Catai, l’antica Cina, fino al mar Mediterraneo. Semiramide era una regina ricchissima ed immortale. Aveva infatti fatto un patto con il re dei morti, Nergal. In cambio di sacrifici umani si manteneva sempre giovane. Così, come una mantide religiosa, Semiramide sposava i giovani mariti e poi li sgozzava, beveva il loro sangue e si cibava delle loro carni. Aveva da loro dei figli, ed essendo sempre giovane, poi, amava i figli, commettendo l’orribile peccato d’incesto. Di solito questi re erano scelti forestieri, per distogliere l’attenzione dalle sue malefatte, anche se si era sparsa la voce, e nessun principe voleva più prendere in sposa la mantide Semiramide. Uno dei suoi re era stato Nino, che aveva fondato la città di Ninive, che divenne capitale del suo regno vastissimo. 

Semiramide si innamorò allora di questo valoroso soldato, Er, che eresse a generale delle sue armate. Ma Er non corrispondeva al suo amore, perché sapeva che la mantide religiosa uccide i suoi amanti. Una notte Semiramide fece drogare Er e giacque con lui, senza che se ne accorgesse. Al mattino a Er pareva di sognare:

– Ma dove mi trovo?

Partì in battaglia, ignaro di tutto, mentre Semiramide stava dormendo e non si era accorta che Er fosse andato via. Quel giorno Er morì in una gloriosa battaglia contro i barbari, che minacciavano l’impero da Oriente. Semiramide cercava il suo amore, Er, ma non lo trovava.

– Dov’è Er? Dov’è Er?

Alla fine, intervenne il capo di stato maggiore dell’esercito assiro, tutto inghirlandato e disse:

– Mia Signora! Er è morto valorosamente in battaglia.

– No!

Semiramide ne fece una malattia. Era veramente innamorata di Er e non voleva ucciderlo. Era l’unico uomo che aveva amato veramente in tutta la sua vita e non voleva perderlo, anche a costo di perdere la sua immortalità. Cadde in una profonda depressione. Se la prese con Nergal, ma invano:

– Concedi ad Er di tornare dall’inferno!

– Ma tu sei pazza! Se vuoi vieni tu a stare con lui qua! 

E, infatti, Semiramide tentò più volte il suicidio ed era guardata a vista dai soldati. Il suo regno stava sgretolandosi. Allora i generali cominciarono a preoccuparsi:

– Cosa possiamo fare? Dobbiamo far riprendere Semiramide. Altrimenti siamo fritti!

Fu trovato un sosia di Er e fu portato dalla regina. La regina subito si riprese e stava con lui notte e giorno. Il regno riprese a prosperare. 

Intanto Er era sceso nell’inferno. Si era trovato nella Pianura della Verità (Pεδιαλήθεια) tutta verde, dove c’era una dogana che bisognava passare. Vi era un’immensa fila di morti che stava ad aspettare di passare la dogana. Alle porte della dogana vi erano tante guardie che assistevano le tre regine, le Moire, che erano: Maria Lachesi, la giustizia, Maria Clotilde, la misericordia, Maria Atropina, il sogno, custode del cielo onirico. Coloro che avevano commesso peccati gravi entravano nella porta dell’inferno, da dove andava e veniva una nave, guidata dal capitano Caronte. Questa nave era capace di viaggiare nell’etere, il quinto elemento, il fluido primordiale (l’acqua di Talete). Questa nave conduceva i defunti sul pianeta Venere, un pianeta squallido, pieno di vulcani e di fuoco, con temperature altissime. Venere è associata, fin dall’antichità, a Lucifero, il Diavolo. Coloro che erano giusti entravano in un’altra porta, da dove un’altra nave cosmica conduceva i defunti sul pianeta Urano e di là accedevano al cielo delle stelle fisse, patria dei beati (l’Iperuranio di Platone, corrispondente al Motore Immobile aristotelico e all’Essere perfetto parmenideo). Le tre regine presiedevano ai tre mondi: l’iperuranio, l’etereo, e il mondo sublunare, dominato dai quattro elementi: liquido, solido, gassoso e caloroso. 

Altri defunti che commettevano peccati veniali erano costretti a purificarsi e tornavano sulla terra, dopo aver scelto, in ordine di arrivo, i paradigmi di vita che offriva loro Maria Lachesi. Molti scappavano dalla dogana e si perdevano nella Pianura della Verità, soprattutto coloro che non accettavano la condanna inflessibile, la sentenza delle Moire. Er si salvò perché in effetti non aveva commesso il peccato di lussuria, ma vi era stato costretto da Semiramide. E fu condannato a  un periodo di espiazione ed alla metempsicosi in un paradigma di vita che avesse scelto. Però Er era preoccupato, voleva tornare subito sulla terra. Non poteva aspettare il periodo di espiazione e di prova, poi la reincarnazione in un nuovo essere vivente.

Intanto Semiramide aveva avuto da Er una figlia: l’unica figlia in una serie di figli maschi. Fu un’eccezione sensazionale, un segno del cielo. A lungo andare Semiramide si accorse che il sosia di Er non era il vero Er: era stata ingannata! Allora ricadde di nuovo in depressione e per vendicarsi lo mandò in battaglia, contro gli Ittiti, un popolo mostruoso e selvaggio, sicuro che sarebbe caduto alle prime battute d’armi.

– Combatti per me Er. Portami la vittoria.

– Certo, mia regina, farò qualsiasi cosa per te!

Il sosia di Er scese in battaglia, però con tutte le accortezze dei generali per mantenerlo in vita, preoccupati per il regno, non riuscì a salvarsi: fu colpito, infatti da un dardo pazzo. Nergal aveva cercato di impedire la morte del falso Er, ma non c’era riuscito e lo stesso re dei morti dovette sottomettersi alla Necessità assoluta, al Fato, controllato dalla guardia dei mondi: Aνάγκη. Questa è la Necessità, il Karma degli Indi, il Contrappasso medievale, il Fato ed indica l’invarianza delle leggi fisiche. E fu così che il vero Er riuscì a tornare tra i vivi, perché le guardie delle Moire ripresero il sosia di Er che era scappato, credendo che fosse il vero Er e lo riportarono al cospetto delle tre regine. Per questa sua fuga fu punito e spedito nell’inferno di Lucifero, il pianeta governato da Satana e gli angeli ribelli, laddove c’è il fuoco eterno, pianto e stridore di denti, i vermi non muoiono mai e trionfa l’eterna morte. Il vero Er così riuscì a tornare nel mondo dei vivi.

Er tornò vivo dalla battaglia, anche se l’esercito era stato sconfitto dagli Ittiti, con gran stupore di Semiramide. Semiramide indignata voleva trafiggerlo, ma mentre impugnava il pugnale riconobbe la voce di Er:

– Amore mio!

Semiramide volle sposare Er. La loro figlia fu chiamata Rama e successe come regina al regno degli Assiri. Col vero amore, Semiramide spezzò l’incantesimo di Nergal e perse l’immortalità. Si trovò d’un tratto vecchissima e decadente. Ma Er per amore non l’abbandonò mai. Semiramide morì poco dopo, dopo essersi convertita. E si convertì pure tutta la città di Ninive e Dio si impietosì e non distrusse quella città, come aveva fatto con Sodoma e con Gomorra. 

La discendenza di Er fu popolosa come le stelle del cielo e come i granelli di sabbia nel deserto: diede luogo al popolo eletto degli Armeni e a quello glorioso degli Ariani, che riportano la radice del suo bel nome (“Ar”). Gli eroi erano esseri semidivini, a metà tra angeli e uomini, che sono spariti dalla celeste gerarchia. Perché? Puniti da Dio per la loro tracotanza (ύβρις). Erano equiparati ai Titani, ma non tutti i Titani erano cattivi (i Nephilim biblici). Sicuramente tutti i titani erano eroi, ma non tutti gli eroi erano Titani: ce n’erano di più piccole dimensioni, che erano giganti in senso metaforico, non fisico. Così eroi erano uomini più dotati, o di intelligenza (geni apollinei), o di forti capacità istintive (geni dionisiaci). 

Abbiamo voluto riportare questa leggenda, che nasce dalla ricomposizione di più miti antichi, per valorizzare il significato esoterico del mito di Er. Nella cosmologia antica i luoghi sono metaforici (e metaforico=metafisico). I mondi corrispondono alla stratificazione elementale: terra (inferi); acqua (fluido sublunare, mondo terrestre superficiale); aria (mondo celeste. Primi cieli, o prime sfere); fuoco (mondo solare spirituale); etere (mondo etereo); iperuranio (mondo divino assoluto: l’essere in-Dio). Questi elementi sono misti nell’uomo e corrispondono agli stati primordiali della Natura: solido, liquido, gassoso, calore, etere, punto di immobilità (freddo assoluto, cioè lo 0 assoluto gradi kelvin, - 460 Fahrenheit). Questo mondo la tradizione celtico-germanica lo chiamava lo Hel: il deserto di ghiaccio, corrispondente al mondo dei morti. L’universo quadridimensionale corrisponde a quello quadri-elementale. L’altezza è l’aria, il verticale; la lunghezza è la terra, l’orizzontale; la profondità è l’acqua, l’abisso, il fuoco è il tempo-moto. Oltre a queste ci sono altre dimensioni. Quella eterea è circolare: la curvatura spazio-temporale. Quella iperuranica è l’immobilità dello spazio-tempo assoluto (0 gradi Kelvin). Questo Spazio-Tempo assoluto è euclideo perfetto, mentre quello etereo è non-euclideo. 

Il mito di Er è un mito escatologico che va correlato a quello del carro alato: l’antica topica della personalità pre-freudiana, che Freud riprende insieme al paradigma edipico, nonché elettrico (d’Elettra). Nel mito vengono indicate le metamorfosi dell’anima, che riprende anche in parte Nietzsche, rielaborandole (cammello, leone, bambino): Orfeo-cigno; Tamiri-usignolo (donde tamerice, “myricae”); Aiace-leone; Agamennone-aquila; Atalanta-atleta (atleta, infatti deriva da sincope di Atalanta); Epeo-donna (emblema dell’androginia originaria legata al mito di Eros); Tersite-scimmia; Odisseo-uomo (“Uno-nessuno-centomila”); etc.: «E nello stesso modo passavano dalle altre bestie in uomini e dalle une nelle altre: le ingiuste si trasformavano in quelle selvagge, le giuste in quelle mansuete. Si facevano mescolanze di ogni genere, si presentavano a Lachesi nell’ordine stabilito dalla sorte. A ciascuno ella dava come compagno il demone che quegli si era preso, perché gli fosse guardiano durante la vita e adempisse il destino da lui scelto». Il demone socratico coscienziale è l’angelo custode della tradizione biblico-cristiana, ma rappresenta anche l’uomo etereo, copia dell’Homo iperuranio. L’homunculus platonicus è l’idea. Dio è Figlio dell’Uomo, oltre che di Dio, cioè dell’Uomo originario, l’Adamo pre-cosmico. Il “Terzo Paradiso” è anche il ritorno allo stadio primordiale, iperuranio. In questo cammino del plotiniano “Reditus” ci si può perdere nell’Ombra: il Lete, contrapposto dell’A-Lete: la Verità, cioè la Luce che fende ed esce dal Buio. I paradigmi biotici (da “vita”) non sono solo stati “metempsicotici”, di provenienza orientale, ma rappresentano stadi del cammino dell’anima verso la sua coscientizzazione cosmica (la “Fenomenologia” hegeliana: l’Anima diventa l’Assoluto). Non tutti riescono a compiere tutti gli stadi, ma possono rimanere intrappolati, anche per sempre, nei cicli, o in determinate posizioni, come i cerchi danteschi. Il principio di individuazione presuppone il suo inverso: quello di dis-individuazione. È più facile dominare una massa di individui assoluti divisi (“Divide et impera”: principio analitico del Diavolo: il divisore) che un popolo cosciente, cioè un Io collettivo. 

«Lui, Er, aveva ricevuto il divieto di bere quell’acqua. Per dove e come avesse raggiunto il suo coro non lo sapeva. Sapeva soltanto che d’un tratto aveva aperto gli occhi e s’era veduto all’alba giacere sulla pira. E così, Glaucone, s’è salvato il mito e non è andato perduto. E potrà salvare anche noi, se gli crediamo e noi attraverseremo bene il fiume Lete e non insozzeremo l’anima nostra. Se mi darete ascolto e penserete che l’anima sia immortale, che può soffrire ogni male e godere ogni bene, sempre ci terremo alla vita che porta in alto e coltiveremo in ogni modo la giustizia con l’intelligenza, per essere amici a noi stessi e agi Dei…». Un messaggio di un Platone che assomiglia molto qui a un Padre della Chiesa, un messaggio autentico: fuggire il Lete, l’oblio! Le tenebre giovannee, cioè il Male ed il suo regno!

venerdì 8 agosto 2025

LA SECCHEZZA, OVVERO L’INVOLUZIONE DELLA SPECIE

di Sandro Serreri


La secchezza dell’animo umano è molto pericolosa, nociva per la sua integrità fisica e le sue qualità spirituali. 

La secchezza è data dalla mancanza di quei necessari nutrimenti che si trovano e inter-agiscono in natura, che la tecnologia digitale esclude, elimina. 

L’animo umano si secca quando non è regolarmente innaffiato dall’esercizio quotidiano dei sensi, del corpo; quando tutti i sensi non si aprono alla vista del mondo, all’udito dei suoni, all’olfatto delle realtà presenti, al gusto, al tatto degli oggetti più vari, alla mobilità corporea della corsa, del gioco. Si secca l’animo del bambino seduto, concentrato su un video digitale e, pertanto, isolato da tutto il resto. Il digitale che tiene tra le mani non richiede nient’altro che il movimento dell’indice e dei pollici. Non occorre altro tatto, non serve né l’olfatto né il gusto e la vista è, insieme all’udito, ristretta, confinata.

Il digitale esclude, emargina, un intero universo perché fa a meno dell’intero orizzonte, campo, dei colori, dei suoni, degli odori, dei profumi, dei sapori, dei gusti, delle materie. I sensi accantonati, addormentati, non vivono, non sperimentano, non aderiscono alla realtà tutta; non lavorano e, dunque, non producono sensazioni, emozioni, sentimenti, fantasia, creatività, conoscenza, comprensione, intelligenza. 


Privo di questi umanissimi prodotti l’animo umano si secca, è destinato alla secchezza, a morire nelle sue funzioni fondamentali, quelle proprie che lo caratterizzano e lo elevano, che possono fare di lui un fruitore di bellezza, di senso, di vita piena; un artista che plasma, modella; un nuotatore nel grande mare del creato, del tutto che lo avvolge. 

Che cosa è l’uomo se non cammina, corre, gioca sin da bambino? Che cosa è l’uomo se non guarda e osserva; se non annusa e non mette il suo naso dappertutto; se non assaggia e gusta; se non tocca e ritocca, mille e mille volte; se il tutto non sperimenta e dal tutto si lascia immergere? 

Immaginiamo un bambino in un giardino, dentro un parco giochi: ha tutto quel che gli occorre per essere umano, per veramente vivere, per stimolare e attivare i suoi bellissimi sensi, per essere attore e non spettatore del mondo che è lì tutto per lui. 

Se sta seduto, fermo, col suo gioco digitale, non è umano, ma secco.


La secchezza è un impedimento, ostacolo, verso le virtù sociali più alte, quali: l’attenzione verso l’altro, lo sguardo verso il creato, il rispetto per tutte le persone che entrano dentro e fanno parte della nostra vita quotidiana, la cura per l’habitat.

Lo stare immobili, concentrati sulle funzioni di un digitale, distoglie e isola i sensi dalla realtà presente, rende estranei. La secchezza impoverisce e questo povero non inter-agisce, non partecipa, non contribuisce, ma vive svogliatamente, annoiato, apatico, insensibile. 

Il danno per la persona e la società è veramente enorme. Siamo alla presenza di uomini e donne già resi secchi, aridi, non umidi, non assetati. Li vediamo, sono sotto i nostri occhi!


Dunque, già ora siamo di fronte a una vera e propria involuzione della specie umana.

L’evoluzione della specie umana non sta tanto nel progresso della tecnica e delle scienze, quanto e soprattutto nel progresso del pensiero – del mondo delle idee –, dello sguardo e osservazione riflessiva, dell’intelligenza – dell’intelligere –, della spiritualità, della sensibilità, dell’interiorità, di tutte le forme d’arte. 

Il vero progresso è passare dalle pitture rupestri di Altamira in Spagna al ciclo pittorico di Giotto ad Assisi e alla Cappella Sistina di Michelangelo a Roma, dalle tombe dei giganti e pozzi sacri nuragici in Sardegna alle cattedrali gotiche in Europa e alla cupola di Santa Maria del Fiore del Brunelleschi a Firenze. Queste sì che sono state evoluzioni!


L’evidente involuzione della specie umana è il risultato dei sensi assopiti, perché accantonati, non stimolati, non posti a contatto con il creato, non in relazione con altro da se stessi. 

Se si cresce senza sviluppare i sensi, che sono porte e vie, si tende a sentire fastidio per l’altro, per gli aspetti sociali della vita quotidiana; a manifestare intolleranza, mancanza di rispetto; a non considerarsi parte del tutto.

Chi in questi ultimi anni sta vivendo il tempo della infanzia e della adolescenza sta manifestando sintomi di disagio sociale, squilibrio psico-fisico, dissociazione, chiusura mentale, disturbi nella sfera cognitiva, comportamenti a-morali, difficoltà nella gestione della affettività e dei sentimenti.


L’attuale dominio della secchezza è oggettivo. Basta fermarsi e osservare. È chiaro chi siano i secchi, se li si avvicina e si entra in relazione con loro. Non foglie verdi desiderose d’acqua, aria, luce, ma foglie secche, statiche, inespressive, notturne. 

Così l’infinita tavolozza dei colori; l’enorme laboratorio di suoni, odori, profumi, gusti; il grande mondo delle forme solidi, delle materie, restano non sperimentati, non vissuti, sin dai primi anni della infanzia, se il digitale sostituisce il giardino, la mobilità, l’esperienza diretta personale, la relazione. 

L’impero del digitale ottunde la ragione, narcotizza i sensi; impedisce il confronto tra l’Io e il mondo delle realtà e delle verità, dei principi e dei valori, delle diversità, delle alterità. Questo dominio restringe e chiude, confina l’orizzonte e conduce inevitabilmente alla tristezza dell’Io paralizzato.


La secchezza mette sulle nostre strade individui che non stanno bene né con sé stessi né con gli altri della collettività; infelici, tesi, squilibrati, arrabbiati. Da questi individui: violenza (domestica e scolastica), auto-distruzione, esperienze limite, anarchia, uso del proprio Ego senza limiti e misure. 

La mancanza dell’altro vissuto anche attraverso il gioco, il creato, il confronto e la meraviglia, porta in campo individui non maturi umanamente, mancanti di quelle essenze che fanno dell’uomo un fruitore del Tutto. 

Chi non cresce e non passa attraverso le porte della società degli uomini e non percorre i vasti campi della vivente creazione, difficilmente sarò in grado di vivere una vita bella e buona, piuttosto manifesterà e soffrirà di mal-essere. 


Quel che è secco non può essere innaffiato. L’ho impedisce, lo rende inutile la sua secchezza. Questi individui hanno perso la possibilità di attingere dalle relazioni umane e dal quotidiano contatto con il creato, quanto necessario per produrre beni immateriali quali quelli che solo chi si è lasciato stimolare nei sensi naturali può offrire a sé stesso e agli altri: fra tutti, quelli dell’arte. 

Questi beni sono utili e necessari per la sopravvivenza del genere umano. Senza questi, l’umanità si riduce a consumo, tecnologia, scienze disincarnate prive di etica. 

Dunque, è in corso una gravissima sciagura, una catastrofe. Questo solo perché sin da bambini non abbiamo giocato, non ci siamo sporcati; non siamo cresciuti anche dentro i giardini, i parchi, le campagne; non abbiamo tenuto svegli e produttivi tutti i nostri sensi.

Qualcuno ha posto nelle nostre mani strumenti digitali e noi ci siamo seduti.


Questa generazione è ormai quasi in-capace di usare i sensi naturali per vedere, ascoltare, annusare, gustare, toccare la totalità del Tutto, dell’altro, dell’oltre. Resi quasi in-capaci (quasi, perché forse resta ancora un piccolo, tenue spiraglio, possibilità) dall’uso senza misura delle tecnologie digitali ormai alla portata di tutti sin dai primi anni di vita, già ora non possiamo più produrre le opere d’arte racchiuse, custodite, fruibili, ammirabili nei nostri musei. 

Queste opere sono anche il frutto di quel che uomini e donne sono stati capaci di esprimere partendo dall’uso quotidiano di tutti i sensi. 

Avremmo avuto gli Impressionisti, se questi non avessero dipinto all’aperto, immersi nella natura, come Vincent Van Gogh? Avremmo avuto le poesie di Arthur Rimbaud senza le sue instancabili camminate per campagne e boschi? Avremmo avuto le musiche di Wolfgang Amadeus Mozart senza la sua goliardica frequentazione delle feste campestri popolari? Avremmo avuto le sculture di Michelangelo Buonarroti senza il suo febbrile bisogno di toccare e ritoccare le materie, gli oggetti? Tutti costoro lavorarono grazie all’uso dei sensi.


Questa generazione è tristemente malata di secchezza. Si tratta di una malattia molto grave, che conduce a povertà interiore e degrado intellettivo, a insensibilità sentimentale e affettiva, a sicura morte spirituale. 

Quando lo spirituale, che si nutre dell’esercizio dei sensi, si appassisce e si secca, questo è destinato naturalmente a morire. E una volta sepolto lo spirituale, che cosa resta nella mente e nel cuore dell’uomo? 

Ed ecco, nel nostro orizzonte, avanzare la legione dell’intelligenza artificiale. Ma l’intelligenza non era solo, esclusivamente umana? Proviamo a immergere nella natura un robot programmato con l’intelligenza artificiale e vediamo se riesce a dipingere come Claude Monet. 

L’intelligenza artificiale, come il mondo digitale, è anche questa un prodotto della secchezza.


Correre ai ripari? Non si può! Ormai è troppo tardi! 

Allora i pochi sopravvissuti, presto! diventino compagni e amici, stringano una forte alleanza, si accordino e con passione non temano di sudare e di sporcarsi le mani, perché, ecco, i sensi ci sono ancora, tutti. 



Giugno 2025

martedì 22 luglio 2025

Ecco i vincitori e i votati della sezione Narrativa/saggio del Faraexcelsior 2025

Un grande grazie alla giuria – composta da Alberto Fraccacreta, Andrea Raschi, Angela Colapinto, Angelo Leva, Barbara Rosenberg, Claudio Fraticelli, Daniele Gigli e Giorgio Massi – che ha così deliberato e complimenti ai vincitori (per la sezione Poesia v. qui):


Faraexcelsior 2025 Narrativa/saggio

I class.

Le strade sbagliate dei savi 
di Gualtiero Lelli (Roma)


Gualtiero Lelli (Roma, 1971) ha pubblicato: La morte è un tonfo secco dall’altra stanza e il rumore di una teiera che si infrange sul pavimento (Montag 2020; Non ricordo nemmeno più che voce abbia (Fara 2020); Dio è un ragazzino che si diverte a giocare con le bolle di sapone (AbelPaper 2021); Storia di una regressione infinita (Fara 2022); La somiglianza delle parti (Fara 2023); La Città di Dio. Prolegomeni alla nuova dottrina (Montag 2022); Morì ’n ze morgarà, ma le tribbole (Controluna 2023); Viaggio nella città maledetta (Genesi Editrice 2025).

“Ho commesso il maggiore dei peccati che un uomo possa commettere. Non sono stato felice.” Questa citazione iniziale da J.J. Borges accompagna con ignara consapevolezza il lettore dentro le vite di Giordano e Vincenzo, dentro le loro perdite e i loro desideri soffocati da sensi di colpa, dentro le loro ombre che non sono altro che quelle di ognuno di noi, alla ricerca di un dott. Semprini di turno che possa legittimarci a ricominciare, laddove ci sembra sbagliato farlo. Fino all'amara consapevolezza che si incontra nell'ultimo personaggio, in cerca di una fugacità che possa portarlo per un attimo lontano dalla routine, quando afferma che “nessuno è in grado di gettarsi nella mischia, senza prima aver indossato la propria bella armatura di ipocrite stronzate”. Alter ego - forse - dello scrittore stesso, definito come uno dei poveri visionari, che davanti a chi gli presenta il conto scopre che in tasca non ha che pochi spiccioli, “troppo pochi per pagarsi la vita che avremmo desiderato vivere”. L'intreccio narrativo e i dialoghi incalzanti rendono la lettura scorrevole, seppur tutt'altro che leggera. (
Angela Colapinto)

Un ritratto narrativo semplice e scorrevole che, nella sua interezza, produce qualche curiosità o dubbio di sintesi. Lo stile è modulato, così come l'obiettivo dell'autore che si diverte nello spaziare tra cose pregne di ritmo e parentesi del quotidiano. (
Giorgio Massi)

Intensi e surreali, di un’umanità tragicomica, questi racconti ti appassionano come episodi di una serie. Una raccolta, omogenea e ben strutturata che, passando da una storia ad un’altra, ti fa ridere e commuovere, ti fa arrabbiare ed immedesimare, ti provoca e ti confonde. Anche i personaggi, soprattutto quelli secondari, ti restano in mente come in una serie da cui non vuoi staccarti e, come le comparse, sono interpretati dagli attori più bravi: la passante sul tram, la segretaria del dottore, lo psicologo…
Unico filo conduttore, quello dell’illusione o della sua perdita: l’illusione dell’amore, che il protagonista conserva ostinatamente in tutte le situazioni. L’illusione di vivere ancora insieme a una donna che si è amata e perduta, l’illusione di un legame perfetto, intuito al primo incontro con una ragazza e mai più ritrovato, l’illusione di una fusione totale ed erotica con una donna intravista da lontano.
Solo lo scrittore è in grado di conservare quell’illusione e, suo malgrado, di darle un tributo, mettendo a tacere il “monito dei savi” o i consigli dello psicologo. E noi gli siamo grati per questa sua resistenza. (
Barbara Rosenberg)

La potenza dell’eros, la gabbia dell’ordinarietà, la potenza della mente. E noi, chi siamo? Chi o che cosa volevamo essere?
Un lungo racconto di racconti – circolare, a zig-zag – in cui la felicità della scrittura lascia emergere di riga in riga, in una contemporaneità ovattata che ricorda a tratti il realismo magico – il monito perturbante di ogni saggezza: state attenti a ciò che desiderate, perché potreste essere esauditi. (
Daniele Gigli)

Quando nella psiche dell’uomo il femminile torna ad essere mistero. (
Claudio Fraticelli)

Schietto, fresco e sincero. Un flusso di coscienza e di parole, sembra di essere all'interno della storia per la ricchezza di dettagli e la caratterizzazione dei personaggi e degli ambienti, e le situazioni stranianti. (
Andrea Raschi)

Il cambio di stile racconto-dialogo-monologo, le frasi brevi, i cambi di contesto rendono piacevole il proseguire con la lettura.
Le riflessioni lunghe sono funzionali alla costruzione della psicologia dei personaggi e della relazione. (
Angelo Leva)


II class.

Continuità e discontinuità nello spazio poetico 
di Giuseppe Armani (Fiorenzuola d’Arda, PC)


Giuseppe Armani ha 69 anni. Laureato in Scienze della formazione e dell’educazione e in Filosofia, dal 2024 sono stato nominato Cultore della Materia in Pedagogia Generale, in Teoria delle Relazioni di aiuto (Prof.ssa Marisa Musaio) e in Filosofia teoretica (Prof. Marco Dario Sacchi) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Maestro Internazionale Senior di scacchi (ICCF). In pensione dall’aprile 2023, si è occupato professionalmente di pianificazione strategica, formazione e orientamento nell’ambito della Pubblica Amministrazione pubblicando numerosi contributi e studi in riviste di settore. Studioso di filosofia, pedagogia, linguistica e letterature straniere, da oltre quarant’anni ha posto al centro della sua ricerca l’epistemologia dello spazio e la relazione tra spazio e linguaggio. Autore di alcuni romanzi, racconti, saggi e studi tuttora inediti (su Rainer Maria Rilke, Georg Trakl, Ossip Mandel’štam, André Du Bouchet, Pierre Reverdy, Roberto Juarroz, Pierre Albert Jourdan, Tomas Tranströmer), vincitore di numerosi premi letterari, alcune mie poesie e racconti sono stati pubblicati in antologie. Ha pubblicato cinque raccolte di poesie: Thlenai, 2011; Flatus vocis, 2012; Ordine revocato, 2013; Locus, Loqui (2024, Leonida Edizioni); Ἀναγνώρισις Riconoscimento (2024, Kanaga Edizioni) e il saggio Dall’Inter-vallo. Intorni della parola poetica (2011, Leonida Edizioni). Ha in uscita i saggi L’Albero nella poesia dal XIX al XXI secolo (Kanaga Edizioni, Milano) e La distanza nella relazione umana. Prospettive filosofiche e pedagogiche (CSA Edizioni, Bari)

Testo impegnato e impegnativo. Si tratta di un contributo dall'elevato spessore filologico e dall'alta qualità finale (stile/tecnica) che rende merito all'estensione cultuale di un progetto argomentativo straordinario. (
Giorgio Massi)

Che esperienza è l’esperienza di una poesia? Quale il suo rapporto con il segno che le dà forma, con la pagina bianca che la ospita, con il tempo e il suo scorrere? Che cos’è mai – se davvero è questo che facciamo quando ce la troviamo davanti – leggere una poesia?
Un saggio informatissimo, leggero come una piuma e solido come marmo, che in un alternarsi di analisi articolate e definizioni aforistiche attraversa quella singolare esperienza estetica che è la poesia. Con passione e rigore, con una lingua innamorata e precisa che ci mostra come in fondo la poesia sia «dura da toccare», di come non sia «questione di lettura ma piuttosto del “ci ritornerò”». (
Daniele Gigl)

Il parlare di poesia non è così diffuso e cattura l’attenzione di chi ha una sensibilità sia per la poesia che per la parola, il termine, l’assonanza, l’evocazione cioè il rapporto tra la parola e il vissuto individuale. (
Angelo Leva)

Appunti che raggiungono la solidità di studi, stimolanti e acuti per penetrare nell’arcano mondo della poesia chiamato ad attraversare le strettoie della significazione linguistica. (
Claudio Fraticelli)


Opere votate

Effetto-nome, Come il nome ci cambia la vita 
di Paola Urbani (Roma)


Paola Urbani, malgrado l’età (è nata l’11/11/1946) non ha perso la voglia di studiare e sperimentare nuove conoscenze. Nella vita ha fatto la bibliotecaria ma più che catalogare i libri le interessava leggerli! Ne ha scritti anche alcuni sia di grafologia (con Franco Angeli, Newton Compton e Dedalo) che di fantascienza (ha vinto i premi Alien e Rill).

Tema originale, un saggio molto bello su tema inusuale. Chi ama la parola e la Parola, cioè lo psicanalista e l’esegeta biblico, per tacer del poeta, sa bene che tutte queste considerazioni sono vere, profonde e importanti nella relazione e nella costruzione della identità. (Angelo Leva)

In letteratura, il nome ha sempre avuto un’importanza vitale. Chi non ricorda la preghiera accorata di Giulietta che chiede all’amato di cambiare il suo nome, perché portatore di discordia e separazione e chi può dimenticare ne Il nome della rosa i colti riferimenti di Umberto Eco a Bernardo di Cluny sull’essenza del nome rispetto all’oggetto che lo detiene?
Questo saggio, dedicato all’“effetto nome”, è appassionante come un romanzo e riflette sul potere del nome nell’ambito delle scelte umane e dei comportamenti quotidiani. Il testo si sofferma sugli esperimenti del prof Nuttin, uno psicologo belga, che alla fine degli anni ‘70 cercò di dimostrare come l’NLE, ovvero il Name Letter Effect, portasse le persone a preferire e scegliere soggetti o luoghi o addirittura oggetti, in base alle lettere contenute nel loro nome; ipotizzando che ognuno di noi è portato a valorizzare le lettere contenute nel proprio nome, al punto da scegliere altri soggetti o luoghi che condividano le stesse lettere nel proprio, quasi per confermarsi, per stimolare l’autostima. Tuttavia, il saggio va oltre la tesi di Nuttin e indaga sulla potenza del nome anche dal punto di vista sociologico e relazionale: dimenticare i nomi o ricordarli alla perfezione può fare la differenza tra un insegnante amato dagli studenti o mal considerato. Spiega ancora il saggio come il nome abbia una valenza magica e come presso antiche società nomi diversi venissero attribuiti ai componenti del gruppo per indicare ruoli sociali, età e capacità differenti. (Barbara Rosenberg)

Dare un nome per la Bibbia è un atto di conoscenza e di dominio, ma il nostro personale mondo comincia dal nostro nome. Quanto stupore può esserci dietro i nomi Un gustoso ed istruttivo saggio. (Claudio Fraticelli)

Bestie d’ombra
di Sergio GIovannetti (Vinci, FI)


Sergio Giovannetti, toscano, pensionato, poeta, appassionato di cultura popolare e spiritualità religiosa. Ha pubblicato La via santa, un poema in rima sulla via Francigena nel Medioevo; E san Rocco… fece un fiocco, libriccino di rime popolari; L’altra faccia della luna, una raccolta di poesie. Ho pubblicato anche libri e albi illustrati in rima per l’infanzia rivisitando antiche favole. Nel 2025 ho pubblicato un saggio sul Giubileo e i pellegrinaggi dal titolo Ultreya e Suseya! Il Giubileo e i pellegrini, ieri e oggi. Libri, tranne l’ultimo, tutti in selfpublishing.

Scritto denso di riferimenti storico-filosofici spesso immerso in un contesto onirico e fiabesco che porta riflettere, in un'atmosfera talvolta di ironica incredulità, su temi profondi. Difficile, mentre si affronta la lettura, decidere se si stiano attraversando le pagine di un saggio o la spensieratezza riflessiva di racconti in qualche modo legati tra loro e capaci di condurci, attraverso l'uso di figure animali, dentro ai molteplici e terrificanti aspetti che caratterizzano l'essere umano e il suo stare in società. Ogni espressione e termine sono utilizzati con grande proprietà e maestria, nessun tassello risulta infine fuori posto in questo “mondo calcinato da luci abbacinanti da cui non c'è possibilità di riparo” (azzarderei, per nessuno). (Angela Colapinto)

Metaforizzare, simbolizzare, animare personaggi inusitati ma sempre per capire il senso dell’esistenza. Tante occasioni per guardare il mondo in modo diverso e stimolante riprendendo l’antico gusto del narrare. (Claudio Fraticelli)

Geniale nella costruzione ma faticoso da seguire. (Angelo Leva)


La forma è il fine 
di Simone Mazza (Parma)


Simone Mazza vive e lavora a Parma. Insegnante e formatore, coltiva variegate passioni, tra cui scrivere. Ha redatto numerosi articoli per riviste di tecnologia didattica e diversi manuali, fra i quali: The digital storytelling (2018). In ambito narrativo, dopo due raccolte di racconti, ha pubblicato in varie antologie molti testi premiati in concorsi letterari (es. “Il passaggio a livello” in Creare Mondi, Fara 2011) e due romanzi: Memorie di fango (Prospero 2017) e Ci vediamo dopo (Calibano 2021). Con Fara pubblica Storie con un’altra morale (2020) Se in cielo non ci sono stelle (2023). Con il saggio La scuola possibile ha vinto il Narrapoetando 2025.

I racconti di viaggi avventurosi catturano sempre. Il racconto è ricercato e ricco di nomi e di rimandi. Dopo un iniziale affresco parte col diario e riesce ad evocare l'attesa di qualcosa che non si conosce ancora. (Angelo Leva)

La natura inquieta e interroga la vita degli uomini da sempre perché mette in azione le capacità raziocinanti dell’uomo ma apre sempre nuovi scenari di misteri quando assume una forma. La biografia di un botanico del ‘700 da la cifra di questa lotta per la conoscenza. (Claudio Fraticelli)


THE LITTLE FREE LIBRARY. La casetta dei libri liberi
di Sabrina Zanoni (Brescia)


Sono nata nel 1970 in provincia di Mantova ma vivo da sempre a Brescia, terra di insospettate bellezze artistiche e naturali. Sposata, due figli, ho una laurea in lingue e insegno tedesco in una scuola secondaria di primo grado. Leggo appena posso e scrivo quando riesco. Nel 2015 mi sono classificata III ex aequo a un concorso indetto da Fara Editore con il racconto “Una carezza in un pugno” inserito nell’antologia Rapida.mente – racconti e poesie vincenti. Nel 2024 è uscito il mio primo libro, I GiraSoli, opera votata al concorso Faraexcelsior.

Semplice e diretto. Un modo di vedere le cose genuino, come non si usa più fare. Uno spaccato di vite quotidiane senza pretese, dal punto di vista di un osservatore silenzioso che registra e medita spontaneamente. (Andrea Raschi)

Tra tante storie che si intrecciano e si perdono vi sono quelle che solo i libri vedono. Solo una cassetta di libero scambio può narrare le storie dei lettori. (Claudio Fraticelli)