giovedì 28 settembre 2023

Focalizzare la vista e lo sguardo interiore, fino in fondo

Maria Lenti racconta e si racconta Apologhi in fotofinish

lettura di Maurizio Rossi
pubblicata il 26 settembre 2023  in Poeti del Parco

Il significato di apologo non ha bisogno di spiegazione e quello del fotofinish-credo- neanche; tuttavia l’uso che ne fa Maria Lenti per intitolare questa densa raccolta di prosa, e prosa anche poetica, va interpretato come un invito, un garbato inequivocabile suggerimento a percorrere le strade e incontrare persone e ricordi con attenzione, focalizzando la vista e lo sguardo interiore, fino in fondo. C’è sempre il rischio di confondersi, quando – per fretta o per abitudine – i discorsi, gli atteggiamenti e i sensi sono talmente adesi al tempo e allo spazio, da essere quasi indistinguibili. C’è un ordine finale nella corsa che il fotofinish può svelare, c’è una chiarezza nei nostri vissuti e nella conoscenza, nei ricordi e persino nelle speranze: occorre slegare tempo e attenzione, bere fino in fondo anche il bicchiere più amaro.

Il fotofinish è metafora anche del tramonto della vita, o meglio di quell’età in cui il tempo si fa breve e tutto – o quasi – si ricompone “L’inquietudine della vita da vivere, allora. La calma della vita vissuta, ora. Sono adeguata alla vita, cioè la vita è adeguata a me: non la rincorro, non scalo montagne” (Invidia-Felicità).

In questi Apologhi l’Autrice distingue “Racconti”, “Dintorni”, “Scritti diversi”; ma la distinzione sembra più pratica che reale, trattandosi di un continuum, di un flusso di pensieri spontanei e ordinati. Così, lei racconta la sua infanzia: splendida, di profondità psicoanalitica, la narrazione della “gelosia”, di quella biscia nascosta dietro le pietre, ma capace di insinuarsi tra suo padre e sua madre, nella loro intimità; ricorda l’età del collegio delle suore, “l’invidia” per la bellezza, la prestanza e l’agilità delle compagne “Ma l’invidia andava da me a loro e non da loro a me: che se ne facevano delle gare sui pattini a rotelle, delle camminate in montagna, dell’intelligenza?, pensavo. Non mi sbagliavo, intelligenza a parte… La melma è scomparsa, lasciando una rena bianca, su cui scivolare, fare salti e rotolamenti e corse a non finire o lente passeggiate nell’alba o al tramonto. Sola o in compagnia.” Narra di incontri e di rincontri; della collezione di cartoline come souvenir, sebbene riconosca di non perdersi dietro al rimpianto“…Nostalgia o cassetto come per tanti altri oggetti? Non muoio di struggimento su queste cartoline”. Rivela l’amore per il padre, dal quale – confessa – ha ereditato mente e carattere; l’amore per la madre, persa a sei anni e sempre ricercata nel ricordo, o chiedendo alle persone forse meno indicate (Visite).

Nelle pagine – talora appunti di viaggi, di visite con gli studenti, di storia d’arte, di capolavori descritti con attenzione e dovizia di particolari – emergono episodi col sapore di commedia dell’arte (Paracadutismi); si alternano a rivelazioni di sé in analisi (Respiro); si accompagnano ad altri, densi di relazioni umane, rivisitando amiche “estraniate” come nel toccante Milena: “Le accarezzo le dita. Gliele tengo tra le mie. Le prendo il viso tra le mani. Poi le cingo le spalle. La stringo a me con tenerezza, come se fosse una bambina dagli occhi pieni di sogni inespressi.” Altri ancora sono il dono lasciato dalle persone ormai scomparse (Per Paola Nepi) “la scrittrice e poeta restituisce il desiderio di uscire dalle strette e dalle strettoie, dalle imposizioni, dalle catture esteriori per affidarsi alla propria libertà interiore, per nominare senza celarlo il dolore nella sua essenza. Per privilegiare, sempre e in ogni caso, la voce del proprio essere ed esserci. La vita, la mia compresa, ha bisogno di questa voce.”

Ogni scritto pone interrogativi, non risposte, ed è questo il senso di questi “apologhi”: allegorico, perché le domande nascondono altre domande, e insieme etico. E l’arte – figurativa, ma soprattutto la narrativa e la poesia – può racchiuderlo tutto. A condizione che la lettura critica non si adegui al linguaggio corrente, ancorato alla narrazione fine a sé stessa, né si lasci coprire dalla cenere dell’ineluttabile agire economico e sociale; ma sappia scremare, come in passato, ciò che resta e a cui tornare sempre: la fortuna del giorno presente.

Maria Lenti è donna cultrice di questa fortuna, perseverando nello sperimentare “il senso di uno stare, un vedere, un cercare”. Anche quando le sembra che “l’élan vital” sia sparito – o solo nascosto – la rinnovata percezione o consapevolezza di ciò che è, o accade, ogni giorno ricompone in lei l’unità di corpo e anima, e riappare “Il tremolar della marina” (Omaggio a Dante).


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