*La recensione di Adele Desideri alla deliziosa, originale antologia io minuscolo CREDO, a cura di Lucina Margherita Bovio e Rosa Elisa Giangoia, Edizioni Ares, 2022, pubblicata nella rivista La Squilla dei Francescani di Recco (Ge), anno XCIX, n. 1, Gennaio-Febbraio 2023. Qui di seguito:
Quarantadue – in prosa o in poesia – sono i testi contenuti in questa antologia.
Quarantadue personalità, quarantadue microstorie di fede, a volte alluse, a volte raccontate esplicitamente.
Diversi i mestieri degli autori (molti per altro liguri, come le curatrici del volume, Lucina Margherita Bovio e Rosa Elisa Giangoia): “medici, insegnanti, magistrati, ufficiali”, editori…
Tutto, però, hanno in comune la medesima domanda: “io, così «minuscolo» rispetto all’universo, credo? E in cosa, o in chi, credo?”.
E tutti hanno in comune, più che una stessa risposta, uno stesso itinerario spirituale, che li induce ad avvicinarsi, con dubbi o certezze, al Dio cristiano.
Nella preziosa Introduzione, mons. Nicolò Anselmi – già Vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Genova, ora vescovo di Rimini, amico ed estimatore di Bovio e Giangoia – così annota: io minuscolo CREDO è “una raccolta di testi sapienziali dell’uomo di oggi, attraversato da sentimenti del tutto simili a quelli degli autori biblici, degli uomini e delle donne di sempre”.
I libri sapienziali, ne La Bibbia, sono il Libro dei Salmi, il Libro di Giobbe, Il Libro di Qoèlet. E numerosi sono gli echi sapienziali che risuonano nelle pagine di io minuscolo CREDO.
Nell’ultimo capitolo, il Qoèlet, attraverso un canto di sublime intensità, invita il giovane a un percorso di fede, e a meditare sulla dimensione della vecchiaia e della morte. Gustavo Pietropolli Charmet – insigne psicoterapeuta dell’età adolescenziale – in una recente conferenza, ha proprio esortato genitori e insegnanti a parlare ai ragazzi della morte, affinché ne possano elaborare il senso, e la sappiano poi affrontare con le dovute competenze psicologiche.
Forse i giovani dovrebbero leggere quanto scrive – in io minuscolo CREDO – Elio Andriuoli: “Senza fine nei giorni la Voce./ (…)// Così il tempo a me riservato è trascorso,/ è scivolato via senza ritorni./ (…)/ Tra non molto – lo sento –/ m’investirà col suo Fuoco,/ mi rinnoverà col suo immemore Abbaglio.// (…)// Ne avverto i taciti Passi,/ mentre ognora ripete il mio nome.”
Nel primo capitolo, il Qoèlet, invece, si presenta con una voce dura, algida, diffidente: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet,/ vanità delle vanità: tutto è vanità.// Quale guadagno viene all’uomo/ per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?//” (Qo,1, 1.3).
Riprende la domanda Stefano Bigazzi, che in io minuscolo CREDO redige – con un ritmo rap e toni serrati, disincantati, provocatori – una tormentata preghiera dal sapore postmoderno, in antinomica sintonia col Salmo 8 (“che cosa è l’uomo perché te ne ricordi/ e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” Sal 8,5): “Dico. Ma dico,/ io che dico, dio, io/ torno a parlarti/ come dopo un lontano/ addio (…)/ (…) io, anima o demone,/ e poi tutto sommato/ sono un buon diavolo, uno che dice/ bene di te, maledizione!,/ nonostante tutto. E ora?/ (…)/ tu che son io, tu che sei io,/ (…)/ (…) Dico che ora/ benedetto iddio, ora che taccio/ che fai, tu? Tu taci?/ E io che faccio? E con che faccia/ posso dirti, dio, ma tu che sai?/ (…)/ Che fai per te? Chiediti dio se io, io che non ho/ che me – ben poca cosa, ammetto/ e che trascorro il tempo a domandare intorno/ stupito, stupido,/ ingenuo, circospetto, se qualcuno/ ha visto me passare d’intorno, qui,/ se ti ha visto (ma dov’eri, ieri?/ (…) e sai,/ ma tu, tu dio mi hai visto? (…)/ (…)/ (…) Tu dici io, lo dici a me,/ che sono me e te, e sono uno, soltanto uno,/ un’anima soltanto (…)/ (…) povero diavolo, mi dico,/ questo ti dico. Uno. Come te./ Ti dico dio.”
Giobbe è l’uomo dell’Antico Testamento che tutto aveva e tutto ha smarrito: stabilità economica, salute, affetti. L’uomo che chiede a Dio il perché di tanta solitaria sofferenza. L’uomo che resiste alla tentazione di perdere la fede. L’uomo che resta devoto a Dio, anche se non ne comprende – e anzi ne detesta – i disegni. Così Padre Mauro De Gioia – in io minuscolo CREDO – assieme a Giobbe, accorato, intona il suo melodioso gemito: “Questo giorno l’ho perso a lamentarmi/ dell’ingiustizia – Judica me, Deus –/ e dell’empio trionfante e dell’astuzia/ dei figli delle tenebre (…)/ (…)/ Anche io, oggi,/ in razione pediatrica, ho gustato/ il silenzio di Dio./ (… eppure le tue mani m’han plasmato,/ nel grembo di mia madre m’hai intessuto)// E la scena del mondo è divenuta/ teatro dell’assurdo, e l’interiore/ urlo s’è fatto fisico dolore/ e si fa rabbia, mistura di sete/ di Giustizia – quasi pura – e livore/ per la mia sconfitta.”
Padre Mauro De Gioia affonda la lama nelle turbolenze spirituali dell’individuo di ogni epoca – caratterizzata che sia da una precaria pace o dalla guerra: “Tu ignori/ come improvvisa la Presenza appaia,/ e già desiderata si riveli/ eccessiva alla carne, insopportabile,/ (…)/ e quanto chiami/ consolazione e pace/ – e lo sono, ma ignori/ ingenuamente il prezzo – incandescente/ all’anima mediocre si presenta/ e scotta.// (…)/ anche preti deportati – raccontano –/ andavano al bordello/ nei campi dei nazisti…// Terribile è cadere/ in mano al Dio Vivente.”
Ci sono poi – in questa originale antologia – riflessioni ironiche, curiosamente simili a qualche celebre affermazione di Woody Allen. Come a dire che il Dio neotestamentario conosce i patimenti – certo, li conosce – ma sa anche sorridere e apprezzare l’ironia – talora amara. Dal punto di vista psicoanalitico, d’altronde, sapere ironizzare sul proprio dolore, con pacata saggezza, implica l’averlo elaborato, l’averlo sublimato in energia positiva. Insomma, sapere curare le proprie piaghe. Dal punto di vista cristiano, rivolgersi a Gesù con accenti ironici, può indicare il percepirlo – a braccia aperte e pronte per accoglierci – vicino alle nostre debolezze: “Forse, di credere, mi sforzo (…) ambirei a credere ma CREDERE davvero è altra cosa. È un po’ complicato almeno per le mie forze. (…) Ovvio che il giorno in cui ne avrò bisogno per qualsiasi motivo… crederò in Dio a titolo immediato e senza riserve” – sostiene, fulmineo, Carlo Castelli.
Mesto e per nulla ironico, è invece Riccardo Caniato. In io minuscolo CREDO, egli sussurra una “minima”, suggestiva preghiera, alludendo al fumo dell’incenso bruciato nelle chiese, durante le celebrazioni, come simbolo di ascesi e comunione con Dio – e forse pure all’orrido fumo emesso dai forni crematori nei lager nazisti: “Speriamo anche noi/ come il fumo/ di andare in Cielo”.
Vi sono inoltre – in io minuscolo CREDO – le considerazioni di chi ha studiato Feuerbach e Marx – le visioni di Dio come creatura dell’uomo e della religione come oppio dei popoli – e non ne è rimasto convinto. Sovviene alla mente la Teologia della Liberazione, che della difesa degli ultimi di matrice marxista, anche alla luce del pontificato di papa Bergoglio, può recuperare il senso più strettamente evangelico, quello cioè orientato alle Beatitudini (Mt 5,3-10), incentrato sull’ostinata tutela di coloro che sono angustiati dalla malattia, dalla povertà, dai totalitarismi, dalla guerra, utilizzando gli strumenti del dialogo o della civile protesta, ed esecrando ogni forma di violenza.
Don Francesco Doragrossa (Fully) così si esprime in proposito: “Il marxismo era assetato di giustizia e questo mi pareva fantastico ma lo leggevo forte e chiaro nei passi del Vangelo (…) Non cambierei la mia fede con nulla, perché è proprio lei che mi consente di essere libero persino dall’immagine di Dio, perché non può esserci immagine se non il vero, concreto, quotidiano volto dell’uomo”.
È presente, in io minuscolo CREDO, l’inquietudine agostiniana: “inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te” (Agostino, Le Confessioni, 1,1). È presente dunque una fede in perenne ricerca. Una fede che “sente” il divino, eppure non riesce del tutto a farsi cingere da Lui, se non negli intermittenti attimi di non ordinaria serenità. Ne dà testimonianza Chiara Mosci, in una prosa dal carattere scattante e lucido: “La fede non è un dono che cade dall’alto, un bel regalo che mi trovo sulla porta dell’anima. (…) La fede non mi lascia lì tranquilla ad aspettare che avvenga il miracolo, che io creda, che io mi innamori di Dio. No. La fede mi vuole agitata”.
io minuscolo CREDO attesta l’esperienza spirituale cristiana tipica della nostra epoca, abbiamo visto, nelle sue diverse sfaccettature. Non mancano, quindi, note di religiosità ispirata al Magistero Sociale della Chiesa, che dall’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891) si è sviluppata, in specie grazie al Concilio Vaticano II, fino al luminoso pontificato bergogliano. Una religiosità attenta ai problemi socioeconomici e sociosanitari globallizzati e globalizzanti, di cui la recente pandemia è uno dei tanti, tragici aspetti. Monica Speciale così scrive: “Credo (…) che la sofferenza di una donna a Pechino provochi dolore agli abitanti di Genova”, restituendo, con un’immagine breve e incisiva, il senso dell’essere comunità tra gli uomini di ogni paese, lingua, cultura.
Riprende il tema Alessandro Ramberti, che contribuisce all’antologia con alcuni versi, redatti il 20 ottobre 2021: “Ti chiedo una semplice carezza/ in questa solinga confusione/ un gesto uno sguardo che mi salvi/ dal gorgo avvolgente che ci ammalia// se vago nei sogni un po’ ammaccato/ sei voce che calda mi ristora/ la mano che prende su di sé/ il peso dell’ombra in cui ristagno// la gioia è sentire l’attrazione/ di un regno vicino di un abbraccio/ di lacrime ardenti e già il respiro/ scavalca il destino e lo redime”. Questa di Ramberti è sommessa, mirabile, preghiera – anelante consolazione, in un autunno che imponeva alle persone ancora distanziamento, assenza di abbracci anche tra i più cari, mascherine che coprivano i volti e privavano ognuno di gran parte del subliminale contesto della comunicazione non verbale. Ramberti cerca e trova conforto in un pianto reclamante gesti di tenerezza e voce divina che ristora e redime.
Se – come afferma Giangoia – Dio “ci ha insegnato a vivere in modo che la vita abbia un senso, quel senso che corrisponde al nostro desiderio, a quell’infinito che non riusciamo a sopprimere in noi”, la dimensione desiderante – solo percepibile con gli occhi del cuore, e non con i “freddi sguardi della raison cartesiana” – ci può sospingere ad accettare il rispettoso invito di Colui che ama in modo totale, infinito appunto.
Giacché, scrive Davide Puccini, quando ci fermiamo a pensare: “se sono un uomo nuovo, ho il fiato corto/ e il vecchio nel profondo non è morto:/ Ti prego di accettare ancora un poco/ le mie ragioni scarne e di mutare/ il mio cuore di pietra/ in un cuore di carne.”, c’è chi ci ascolta e ci aiuta a trasformare le nostre pochezze in qualcosa di buono e di bello.
“Il futuro, questa parola singolare così gravida di attesa, è in realtà un plurale corale”: non siamo soli. Vi sono sempre i “santi della porta accanto”, che con minime azioni quotidiane, perseveranti, ci consolano nelle asperità, gioiscono insieme a noi se la vita concede momenti di letizia, e ci ricordano, che sì, è proprio vero, ne è certa suor Mariangela De Togni: “Credere, ha la statura del mare”.
La profondità del mare, l’immensità del mare, le increspate screziature del mare.
*La rivista on line SENECIO, aggiornamento del 14 gennaio 2023, con i seguenti contributi:
Antonella Bontae, Testi (L’ogiva della pace)
Adele Desideri, su Giorgio Bertella, Un amore difficile. Il libro di Tamar e di Mattia. “L’esergo dedicato «a Paola» è strutturato in perfetti decasillabi. Il contributo (di Adele Desideri, N.d.A.) presenta con discrezione il romanzo di Bertella su Tamar e Mattia, liberamente ispirato ai Vangeli, scevro peraltro da intenti di edificazione spirituale. Felice la scelta dei brevi passi citati nella seconda parte dell’articolo” (Gabriele Burzacchini, già ordinario di Letteratura Greca presso l’Università di Parma).
Gian Domenico Mazzocato Testi (Il prodigio).
Giuliano Pisani, Orazio: la parmula di Filippi e l’Epicuri de grege porcum.
Marco Righetti, Io sono il balsamo.
Enzo Santese, Dalla classicità l’energia per una ricognizione sull’oggi
Al link www.senecio.it cliccare sulla data dell’ultimo aggiornamento sopra o sotto il ritratto di Paul Klee.
*La prestigiosa rivista Xenia, Trimestrale di letteratura e cultura italiana, Anno VII, n.4, Dicembre 2022, nella quale è stata pubblicata la poesia di Adele Desideri Nunc et usque in aeternum - Milano, 2 maggio 2022: di seguito il testo.
“Signore,/ abbi pietà delle paure,/ dei sogni nefasti,/ dei giorni contromano.// Cospargi, con la tua misericordia,/ la memoria claudicante,/ quel frizzare della mente/ nelle ore stanche,/ e le gambe - alla Nona -/ quando lente, come sulla Luna,/ incedono.// Inonda di azzurrina luce/ la fede dei giorni oscuri/ - l’uno appeso all’altro -/ segnati dai volti dei trapassati:/ il babbo, uomo primo e unico;/ il giovane prete/ - fedele custode d’ogni tremore -/ che la montagna ha rovinato in pezzi;/ la putativa madre, solo femmineo/ dell’infanzia affetto.// Infondi saggezza al doppio sposo,/ ai figli arroccati nel disadorno futuro,/ nel segmentato presente:/ calpestano l’ombra/ - e la scambiano per un’armatura/ non ancora deposta.// Infine, Signore,/ sfiorami,/ accendimi,/ fammi levitare.// Sia cenere il corpo, e l’anima sia/ - nunc et usque in aeternum -/ tra le tue congiunte mani,/ appena in un sorriso - dischiusa.”
*La copiosa e davvero originale, raffinata antologia Breviario del tempo. Le stagioni del cuore, a cura di Vincenzo Guarracino, Di Felice Edizioni, 2023. In copertina l’opera di Alfredo Guarracino, Resilience, 2023.
Come in un film, scorrono esperienze e ricordi, il «calendario» di mesi e stagioni in cantilene spesso dolci-amare, colorandosi di volta in volta dei toni soffusi di una delicatezza e malinconia a tratti struggente, ancorando per ciascuno il cuore, al di là degli anni e della loro polvere, all’ordinata e semplice, a tratti ingenua, pronuncia della poesia contro il rischio del loro naufragio nel gran mare dell’indistinto e dell’oblio: «per non dimenticare», ecco. Perché date e «occasioni» conservino ancora e per sempre nella scrittura la forza dell’essere stati, lo stigma della loro luce e il segno della fedeltà al fuoco dell’anima che li ha vissuti, protesi allo spazio innamorato dell’ascolto” (dalla prefazione di Vincenzo Guarracino).
Le stagioni del cuore
“Come la natura,/ la mia vita/ ha seguito il corso/ di quattro lunghe stagioni:/ la Primavera/ col suo fascio di fiori,/ mi ha fatto innamorare;/ l’Estate/ mi ha sorriso/ mentre ero intenta/ a crescere bambini/ e a lavorare;/ l’Autunno/ mi ha rivelato/ giorni di tempesta/ e caduta di illusioni;/ ora l’Inverno,/ senza calore attorno,/ mi sta gelando l’anima...//” (Margherita Alecci Scarpa).
Io rappresento me stesso…
“Io rappresento me stesso/ più alto di ogni montagna/ profondo da contenere il mare/ in inverno come la brina mi stendo su tutte le cose/ in estate sono il calore che penetra ovunque/ in autunno la pienezza dei colori/ a primavera l'entusiasmo//” (Lorenzo Mullon).
Stagioni
“Estate/ Nel sole un albero/ fiorito di promesse/ non mantenute.// Autunno/ La vita insiste/ nel rosso delle foglie/ pronte alla morte.// Inverno/ La trama nera/ dei rami implora bianca/ pace dal cielo.// Primavera/ Al primo zeffiro/ il variopinto soffio/ d’una farfalla.//” (Davide Puccini).
La mia stagione
“è l’autunno la mia stagione/ il tappeto di foglie gialle/ il sapore di caldarroste// quanti misteri nel bosco/ dove i ciclamini occhieggiano/ versi della madre terra// devo pensare alla semina/ scegliere le parole giuste/ prima che il gelo le inghiotta// è l’autunno la mia stagione/ quella del lungo viaggio/ degli addii e i rimpianti// arriverà l’inverno?/ il grano germoglierà/ e diverrà pane?// vedo la coltre bianca/ i fiocchi lenti/ ricami di mia madre// ripenso alle ragioni/ del riso e del pianto/ stordita ai piedi dell’acero//” (6 gennaio 2022, Anna Santoliquido).
È un mistero fiorito
“È un mistero fiorito/ la primavera che fa rinascere/ rose giganti nei piccoli/ giardini di casa./ Esili e delicati/ come petali di rosa/ i pensieri appena nati/ nel nuovo passeggiare/ lungo l’antico/ sentiero del mattino.” (Angelo Maugeri).
Solstizio
Solstizio d'estate./ Ribocco di sole/ sul greto dell'erba./ Chiarore infiorato/ di maioliche smaltate.//” (Stella Sciacca).
*L’articolo - davvero interessante e quanto mai attuale - di Paolo Lagazzi, L’Europa, il vino e quella sua nobiltà che ci rende fratelli, pubblicato ne l’Avvenire, 25 gennaio 2023.
*L’antologia Il respiro dell’universo, a cura di Lucio Zaniboni, allprint 2022.
Testi di Carmelo Aliberti, CorradoCalabrò, Anna Maria Carpi, Pietro Casella, Katia Catalano, Pietro Civitareale, Lorenzo Colicigno, Leone D’Ambrosio, Domenico Defelice, Maria Giulia dell’Olio, Adele Desideri, Silvia Favaretto, Dina Ferorelli, Melo Freni, Eugenio Maria Gallo, Aldo Gerbino, Rosa Elisa Giangoia, Mario Grasso, Vincenzo Guarracino, Giuliano Ladolfi, Franco Manescalchi, Loris Maria Marchetti, Luigi Martellini, Gianni Palumbo, Marisa Papa Guggiero, Geremia Paraggio, Mimmo Pugliese, Tommaso Romano, Anna Santoliquido, Antonio Spagnuolo, Giorgia Spurio, Maddalena Sterpetti, Giancarlo Stoccoro, Imperia Tognacci, Giuseppe Vecchi, Giuseppe Vetromile, Lucio Zaniboni.
“Anni con noi. Come li abbiamo amati./ Tutto comincia con un libertino,/ un cane, era Cirino,/ c’era la guerra, i miei erano in campagna,/ lui la sera scappava e ritornava all’alba/ infangato ferito a coda bassa; un tempo eroico e non solo per lui.// (…)/” (Anni con noi, Anna Maria Carpi).
“La donna senza nome – e l’altra/ che bacia e muore – non hanno/ pane: con le lingue, veloci,/ snocciolano storie. A Varese/ i morti sono privi di sepoltura,/ a Roma non si può andare/- tocca il cuore, Roma.// La donna senza nome non vuole/ innamorarsi: sgranocchia noccioline,/ ripensa a un passato triste./ Qui – oltre il campo di peschi,/ fiori, cachi – ha visitato/ i cortili della grande madre,/ che insegna onore e rispetto/ e ai figli indica la strada/ verso il Nord - don Totò/ scavalcava i muri e non aveva/ gambe. La donna senza nome/ vendeva cavalli ai baroni,/ s’inchinava e scappava/ – di poca vita faceva malattia.// Tre sorelle e un fratello disperso/ tra legni omertosi e reticenti ulivi./ Ma lei – la donna senza nome -–/ viveva in un dammuso: né confini,/ né difese. Proteggeva il padre,/ sfidava ignote curie/ - una pistola puntata sul ventre.// ***// Ora è ritornata nella bettola/ dove si beve vino/ e si mangia fave. Non ha canti/ da intonare – i tarocchi,/ venti e sei anni, le unghie/ dipinte di blu – un dolore/ che non si quieta, e ogni giorno/ inventa nuove storie/ – per non scordare.//” (La donna senza nome, Adele Desideri).
“Sotto il pollice si confonde l’aroma/ della solitudine, e nei pochi segni/ chiama a frugare una verità inaspettata./ Il fantasma dei ricordi si propone/ nei segni delle traduzioni colorate:/ immagini che sono ragnatele/ dipinte nel cristallo che batte alle tempie/ come un caleidoscopio aggiogato nel verso./ Sulla tela il confine dalle dita lunghe e sottili/ a riprodurre se stesso in mille pose/ capaci di perforare la mente./ Sospesa trasparenza del tempo!” (Sintesi, Antonio Spagnuolo).
“Ora respiro incagliato alle parole/ che rimbombano a notte nelle ombre/ del ricordo./ Vorrei strappare la pelle alle mie braccia/ nell’onda lieve della tua fiamma/ quale storia smarrita negli incantamenti,/ ma tu sparisci sull’orlo del vuoto./ Ho smesso di contare i giorni/ ormai senza regole incapaci/ di reinventare sogni.//” (Parole, Antonio Spagnuolo).
“Imprigionato nelle anguste spirali del sogno,/ dove crepe del muro sono immobili/ e transitoria tenerezza accresce splendori,/ termina la mia catena di fede./ Fu soltanto un carico di pelle damasco/ l’eternità che ha forma corporea/ in chiave di segreti/ e noi futile provocazione di malizie/ finiti sotto trave nel gorgo di memorie./ Ascolto quel che duplica il rovescio/ sulla rete che intreccia pensieri/ e perde premi e castighi.//” (Rete, Antonio Spagnuolo).
“Venuto il tempo delle rughe/ rimango inchiodato alle pagliuzze/ che diventano garza per le piaghe./ A disporre il carteggio della vita/ sono confini del corpo incandescente/ calcoli per tutti i fili di piombo/ a parare i colpi invetrati dal buio./ Il dubbio è ancora la promessa,/ fugace, nuda intimità,/ insano macerarsi del cervello./ Dentro il segreto con chiave/ qual punto di sorpresa/ ferrugine crudele!//” (Ferrugine, Antonio Spagnuolo).
*Luciano Curreri, Considerazioni (relativamente) sparse e disseminate a partire da Simona Micali, Creature. La costruzione dell’immaginario postumano tra mutanti, alieni, esseri artificiali, Milano, Shake («cyberpunkline»), 2022, in Retroguardia 3.0 – Miscellanea, quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Pannella (2008-2019).
Al link retroguardia.net
*Luciani Curreri, recensioni
1)Ernst Bloch, Speranza e utopia. Conversazioni 1964-1975, a cura di Rainer Traub et Harald Wieser, trad. it. di Eliano Zigiotto rivista da Laura Boella, Milano-Udine, Mimesis («Gli imperdonabili», 12), 2022 (novembre), 140 pp., 16 euro.
2)Gianfranco Contini, Una corsa all’avventura. Saggi scelti (1932-1989), a cura di Uberto Motta, Roma, Carocci («Saggi», 90), 2023 (gennaio), 588 pp., 54 euro.
3)Silvio Guarnieri, Cronache di guerra e di pace. Racconti, a cura di Adriana Guarnieri Corazzol, con la collaborazione di Giacomo Corazzol, introduzione di Pietro De Marchi, con uno scritto di Andrea Zanzotto, San Cesario di Lecce, Manni («Pretesti»), 2022 (ottobre), 352 pp., 21 euro.
Pubblicate in Retroguardia 3.0 – Miscellanea, quaderno elettronico di critica letteraria a cura di Francesco Sasso e Giuseppe Pannella (2008-2019)
*Il Convegno Adolescenti: lavori in corso per la vita. Luci ed ombre, criticità e risorse, a cura dell’Associazione Alesia 2007 Onlus, con l’intervento mirabile del professor Gustavo Pietropolli Cahrmet.
Al link mega.nz.
*Il volume del professore Gustavo Piertopolli Charmet, Gioventù rubata. Che cosa la pandemia ha tolto agli adolescenti e come possiamo restituire il futuro ai nostri figli, Prefazione di Lella Costa, Mondadori BUR, 2022.
“Si rimane sbigottiti di fronte al numero commovente di ragazzi che a seguito della pandemia tentano il suicidio e di adolescenti femmine non contagiate dal virus ma dal morbo recente e cattivo che induce a lottare contro il proprio corpo femminile, la sua bellezza e la sua disponibilità potenziale a trasformarsi in corpo materno capace di sdoppiarsi e regalare la vita a un nuovo bambino” (G.P.C., pag. 100).
“Non è il sito che incita a ferirsi, è la pandemia che ha costretto quasi tutti a stare dentro da soli: è così che ci si annoia e ci si sente arrabbiati e c’è solo il proprio corpo con cui interagire, facendolo soffrire un po’, e forse il dolore fisico, piccolo e autoprovocato con mano leggera, aiuta o fa addirittura passare il dolore che c’è nella mente e nel cuore” (G.P.C., pag. 112).
“È necessario (…) che la scuola potenzi, oltre alla relazione didattica e formativa, anche la funzione educativa, dando risalto alla propria disponibilità a interessarsi delle problematiche sociali, relazionali e identitarie dell’adolescente in difficoltà nell’incarnare il ruolo sociale di studente” (G.P.C., pag. 145).
“Nella società del narcisismo si insegnano solo il successo e la bellezza: quando arrivano il male e la morte i ragazzi hanno ragione a dire che nessuno li aveva avvertiti. Deve esserci un modo per avvertirli senza spaventarli troppo. E finalmente coinvolgerli nella costruzione del domani” (G.P.C., pag. 167).
“Le cicatrici sono il segno che è stata dura. Il sorriso è il segno che ce l’hai fatta.” (Madre Teresa di Calcutta)
Con l’augurio che l’ormai prossima Pasqua sia latrice di pace
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