Quella mattina del 16 marzo 1978 avevo 14 anni e mezzo e sedevo tra i banchi di una classe al primo piano del Liceo scientifico olbiese.
Era un giovedì. La campanella, al termine della prima ora, era appena suonata. Avevamo due ore di matematica. La professoressa Sturla stava spiegando. Qualcuno bussò alla porta ed entrò. Ci alzammo tutti in piedi. Era la Preside Sini la quale, dopo averci fatto segno di risederci, si avvicinò alla Sturla, bisbigliò qualcosa, che non riuscimmo a sentire, e uscì dalla classe. Ci eravamo rialzati e riseduti subito dopo. Dietro la porta chiusa, sentimmo confusione. Tutti i nostri giovanissimi occhi erano puntati sulla professoressa. Intuimmo che era successo qualcosa di grave, di molto grave. La Sturla appoggiò il gesso, andò davanti alla cattedra e ci guardò. Poi, ci disse: “Ragazzi, hanno rapito Aldo Moro! Potete andare a casa! Ci vediamo domani!”
Alle 9:02, a Roma, in via Fani, le Brigate Rosse avevano rapito l’onorevole Aldo Moro Presidente della Democrazia Cristiana.
Ci alzammo di scatto, tutti insieme e, presi libri e quaderni, uscimmo dalla classe con in testa la Sturla.
Incontrammo tutti gli altri studenti che, come noi, uscivano dal Liceo. Il mio compagno di banco, Marco, mi chiese: “Ma chi è questo Aldo Moro?”. Gli risposi: “Boh!”. All’uscita altri si facevano la stessa domanda. Io non persi tempo. Presi il motorino e andai a casa. Entrato, mia madre mi domandò: “Che fai a casa? È successo qualcosa?”. “Hanno rapito Aldo Moro – risposi – e la Preside ci ha mandato tutti a casa! Ma, mamma, chi è Aldo Moro?”. Ricordo che mia madre mi rispose subito: “Oh Signore! È un politico. È il capo della Democrazia Cristiana!”. Subito dopo, andò in soggiorno e accese il televisore. Un’edizione straordinaria del TG stava trasmettendo le immagini, in bianco e nero, registrate nel luogo del rapimento, in via Fani. Ricordo ancora la forte impressione che suscitarono in me i teli bianchi stesi sui corpi degli uomini della scorta massacrati dalle BR.Erano, quelli, gli anni di piombo. Studente alle Scuole Medie avevo sentito di altri politici, magistrati, professori, giornalisti uccisi o gambizzati per strada, nelle aule, negli autobus, a Roma, a Milano. A casa si vedevano i TG, se ne parlava, ma non capivo, non m’interessavo.
Quella mattina del 16 marzo di quarantacinque anni fa, però, il rapimento di Aldo Moro impressionò non poco la mia mente di adolescente. Quella sera, presente anche il mio papà, rientrato nel tardo pomeriggio da un cantiere della Costa Smeralda, rivedemmo le immagini del massacro e ascoltammo la cronaca, più dettagliata e più drammatica.
Nei 55 giorni che seguirono continuai a interessarmi del rapimento Moro: in classe, con la Carta, professoressa di lettere, a casa, con i miei, in Parrocchia, con i nostri preti e i giovanissimi dell’A.C. Mi documentai sugli “anni di piombo” e sugli “uomini delle Brigate Rosse” (Paolo VI). Scrissi persino un tema, che, ricordo, fu letto in classe dalla Carta.
Martedì 9 maggio 1978, a Roma, in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, venne trovato il corpo di Aldo Moro. Le BR lo avevano ucciso. L’immagine dell’onorevole Moro morto, passata alla storia, è impressa nella mia memoria in modo indelebile.
Forse, devo a questa dolorosa e drammatica vicenda l’inizio del mio interesse e passione per il socio-politico.
Questo il ricordo di quella mattina del 16 marzo 1978. Questo, non vorrei mai più vedere nella mia Italia.
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