Sulla raccolta di racconti Nello splendore pubblicata insieme al romanzo Il sole il suono nel volume Il sole il suono. Nello splendore di Subhaga Gaetano Failla, Eretica Edizioni, 2022
Recensione di Natascia Ancarani
Ci sono pochi ricordi vividi che ho conservato da quella sospensione indeterminata che è stata la pandemia, ricordi di deviazioni timide eppure determinate e piene di felicità, come la prima passeggiata esitante, ancora vietata, sulla spiaggia davanti all’infinità del mare.
Il ricordo più bello è quello di una piccola ribellione: l’incontro clandestino di due ragazzi che si amavano. Io passeggiavo con il cane su un argine del fiume, li ho visti arrivare di corsa, attraversando il ponte in bicicletta da opposte direzioni, per scendere a precipizio in una strada sterrata, più nascosta e interna agli argini. Le biciclette abbandonate in un fosso e i corpi abbracciati gettati sull’erba, in mezzo a fiori di tarassaco, camomilla, campanule e margherite.
Questi miei ricordi, però, appartengono al primo anno quando eravamo tutti egualmente sottoposti alle stesse condizioni, anche se qualcuno, più anziano o malato, moriva più facilmente e aveva bisogno di maggiore protezione. Nel primo anno non era ancora comparsa la scure divisiva del green pass, misura certamente europea, che ha tuttavia generato in Italia reclusioni e separazioni che non hanno avuto l'eguale in altri paesi europei, dove almeno vigeva, per le attività più indispensabili come il lavoro o l’istruzione, l’alternativa del tampone.
I racconti di Failla, nella raccolta dal titolo Nello splendore, costituiscono un diario riflessivo sul periodo della pandemia che va dal dicembre 2021 al marzo del 2022. A rifletterci a distanza di tempo, non sembra il periodo più rischioso per la salute, fra quelli vissuti, con la diffusione generalizzata dei vaccini e la comparsa di una variabile meno aggressiva, ma resta sicuramente, per coloro che non hanno dimenticato e non vogliono farlo, il periodo più inquietante e detestabile.
La narrazione, come è abituale per Failla, non è realistica. Il personaggio principale, Gesualdo, vive in un mondo irreale, simile a quello di alcuni romanzi distopici, vengono citati nel testo Huxley e Zamjatin per esempio. È sottoposto a un potere burocratico che impone decreti distanti e imperscrutabili in nome di un bene collettivo, i cui contorni non risultano del tutto comprensibili. Nonostante il mistero di fondo, cioè non si sa da dove provengano i divieti e per quale ragione, le regole si insinuano in profondità in ogni gesto della vita quotidiana e la segnano. Sembra un mondo irreale, fatto di muri che si moltiplicano, anche se possiamo facilmente riconoscerci ripensando alle esperienze appena vissute: nella distanza incolmabile dalle persone care, nelle voci che si fanno strada sulle onde del telefono, nelle mail che viaggiano per internet sostituendo i corpi, nella moltiplicazione dei muri che si chiudono a ripetizione impedendo viaggi e lavoro.
L’isolamento però nel mondo descritto da Failla (come nel secondo anno della pandemia) non è per tutti, ma solo per alcuni, per gli “eretici”, per quelli che hanno fatto una scelta diversa e per questo sono giudicati e isolati. Mancano nel testo motivi cogenti e necessari per quanto sta accadendo. D’altra parte le scelte che hanno governato le nostre vite, dal dicembre 2021 al marzo 2022, contrariamente a quanto ci hanno assicurato più volte, erano davvero necessarie, quando altri paesi hanno trovato altre soluzioni? C’è mai qualcosa di necessario nella politica, nel modo in cui gli esseri umani si governano?
Comunque sia, i provvedimenti presi dividono le persone, creano minoranze, impongono ad alcuni scelte minime e rapide in tutti gli ambiti della quotidianità: tagliarsi i capelli prima che diventi impossibile o anticipare una partenza in treno per salutare chi non si incontrerà per mesi; mentre altri vivono oltre i muri una vita normale e “burocratica”, cioè ammessa dallo stato; mentre intorno la paura del contagio e della morte si concentra sui pochi che vivono oltre il muro.
Il personaggio principale, Gesualdo, vive momenti di vero sconforto e disorientamento: “Procedeva come un'ombra in un mondo misterioso” un mondo dove le azioni ritenute innocue per una intera vita diventavano all’improvviso proibite: “Provò a comprare un maglione rosso in un negozio d'abbigliamento, e in un altro negozio una grossa padella. Tentò dal barbiere uno shampoo e un taglio di capelli. Cercò di acquistare dal tabaccaio un inutile accendino, in una bottega di giocattoli un regalo per il suo nipotino, in una pasticceria una brioche al cioccolato per consolarsi. Di nuovo tutto invano.”
Nonostante lo sconforto che vive Gesualdo in diversi momenti della giornata, prende però forma anche una vita alternativa, vera prova di resistenza. I contatti sono poveri, un pranzo takeaway in riva al mare con un amico, una seduta di meditazione con un’amica in pineta, la telefonata quotidiana con un amore lontano, eppure questa trama di rapporti è fondamentale, direi che è una struttura essenziale dei racconti che non cede mai. Non c’è giorno che passi senza una telefonata, un incontro fortuito o programmato alla luce del giorno. Sono incontri brevi e sottili, come sarebbero gli intrecci che nascono dai capelli che, in uno dei racconti, crescono di notte, mentre tutti dormono, escono di casa e si intrecciano ad altri capelli, per poi rientrare. La disubbidienza e lo scarto sono visibili proprio nel tessuto della quotidianità che cresce all’ombra dei decreti, nella contemplazione della bellezza che il mondo non può non offrire. È una bellezza senza tempo che nessun divieto e nessuna burocrazia potrebbe mai toccare. La si incontra nel cambiamento imperturbabile della natura, nell’infinità del mare e del cielo, ma anche nei particolari infimi, un pettirosso sul ciglio della strada, un luccichio su un tetto, al cui confronto i muri umani diventano poca cosa, diventano stupidi e ridicoli.
Una parola sembra riassumere in sé l’intensità di quella bellezza: lo Splendore “incontaminato e senza scopo.”
Ci si può chiedere se l’autore con questa parola intenda parlare del sole, della sua luce calda che ci nutre o se sia la forza dei legami e della solidarietà che lega fra di loro le persone. O, ancora, se non intenda piuttosto la bellezza che si manifesta dentro i più piccoli particolari che chiudono molte pagine di questo diario commovente: un profumo che riporta all’infanzia, il sorgere della luna a oriente, la pietra pomice portata dalle onde.
Allora la deviazione e il disordine, rispetto all’ordine dato, stanno proprio nel vivere nella bellezza nonostante tutto, assaggiarne una parte ogni giorno.
“Era stata una bella giornata. E adesso giungeva la sera come un altro regalo, il dono conclusivo. Poter vivere così fino all'ultimo istante. (…) Il freddo secco nei passi tra gli ulivi e sul lungomare, un’arancia gocciolante sulle dita e l’estrema scheggia di sole sull'orizzonte marino.”
Perché il mare, nonostante i muri, resta aperto e infinito, “una immensa porta spalancata, una soglia invitante verso l’avventura.”
Su una sola cosa, nel percorso descritto da Failla, non mi sento in sintonia: alla fine del diario il viaggio finisce con un sogno, una specie di profezia in fondo, che prepara l’abbandono del mondo descritto nelle pagine precedenti: il cambiamento viene inaugurato da un nuovo nome, abbandonando l’antico “Gesualdo”. È un viaggio oltre sé stessi, perché, con le parole di Pessoa: “È ora di partire, è ora di lasciare questo teatro d'immagini che chiamiamo la nostra vita.”
Non sono d’accordo perché in fondo penso che la lotta per il meglio sia terrena, che non possiamo andare oltre noi stessi e che ogni cambiamento, ogni svolta per quanto drastica, possa avvenire solo nel solco di radici che ci danno forza e nutrimento. Oltre noi stessi c’è solo il nulla o la dispersione in un universo infinito, ma per questo c’è ancora tempo. Per ora siamo qui, su questa terra, insieme ad altri.
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