Gentili lettori, segnalo quanto segue:
*I palloncini delle emozioni
Il giorno 31 maggio 2022, a Milano, presso il teatro della Parrocchia San Gregorio Barbarigo, la classe quinta B della Scuola Primaria Domenico Moro di Milano (Istituto Comprensivo Gino Capponi), ha rappresentato l’opera teatrale L’infinito o forse, liberamente tratta da Le Cosmicomiche di Italo Calvino. L’indimenticabile maestra Martina Iorio, grazie alla sua esperienza pregressa in materia teatrale, ha scritto il testo insieme ai suoi alunni, ed è stata ampiamente coadiuvata dall’altrettanto memorabile maestra Dalia Mariniello per quanto riguarda la scenografia e il training recitativo.
Sette le scene allestite, intervallate da deliziosi stacchi musicali, nelle quali lo spettatore, stupito, ha riflettuto sui grandi temi esistenziali: l’origine del mondo, studiata scientificamente, eppure ancora così misteriosa; il desiderio dell’infinito, la paura che questo suscita nell’uomo, il senso di benessere, quando a tratti lo si sfiora; l’impeto amoroso e la lontananza dalla persona amata; la leggerezza della libertà, quando si avvicina alla purezza e invita alla gioia.
I piccoli attori hanno saputo toccare le corde della comicità, destreggiandosi nelle maglie del surrealismo. Hanno saputo commuovere, divertire, sognare e far sognare.
“Sono salito sulla luna per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva”.
Questi bimbi, invadendo la platea con una conclusiva festa di palloncini bianchi, hanno indicato agli adulti, appunto, la prospettiva altra - quella dell’impegno, della sensibilità, della collaborazione.
Un raggio di luce - e di speranza - in questi incerti tempi.
Adele Desideri
Gabriele Porta
*Il prezioso articolo di Vincenzo Guarracino, In lotta con la luce e con il buio. A proposito di Curzia Ferrari, pubblicato ne L’osservatore, 25 giugno 2022. V. infra. Curzia Ferrari, prestigiosa giornalista e scrittrice, vive a Milano. Il suo primo amore è la poesia – poi i meccanismi della narrativa e della biografia antropologica, da Majakovskij a Gorkij a Ignazio di Loyola. Ha scritto programmi per la Rai-tv e per la radio svizzera. I suoi libri sono tradotti in tredici paesi. Ha ricevuto importanti riconoscimenti italiani e internazionali.
*La rivista Gradiva. International Journal of Italian Poetry. Rivista Internazionale di poesia Italiana, Number 61, Spring 2022, Leo S. Olschki Editore, 2022. All’interno della rivista, segnalo:
§ L’appassionato Editoriale di Alessandro Carrera: www.facebook.com/Curzia-Ferrari-762801540500273/
“C’era in lui qualcosa del prete, ma non del sacerdote. Credo che nel suo caso la distinzione sia da mantenere. Non avrebbe mai avuto la pretesa di insegnare una verità. La mostrava, ti faceva vedere come la viveva lui, questo era il suo insegnamento, ma era, appunto, tutto quello che ti serviva. Ti spingeva a pensare, guardandolo e sentendolo parlare, che proprio non si può diventare poeti. Bisogna nascerci, e lui ci era nato. Tutto il resto è letteratura.
(…) se il potere pastorale è quello di guidare il ‘gregge’ che si è spontaneamente raccolto intorno a te, di dare l’esempio (in poesia), di mostrare come si procede (in poesia), come si affrontano gli ostacoli (in poesia), come ci si fa coraggio e si tira avanti (sempre in poesia), allora Franco Loi questo potere l’aveva, e la diade ‘essere uomo essere poeta’, secondo quale è vissuto, la gente lo stava ad ascoltare all’Istituto Italiano di New York lo capiva”. (pag. 6).
“Credete a Franco Loi quando dice che ha incontrato gli gnomi, ma non andate a cercarli nei boschi del comasco, non li trovereste. (…) Non c’è garanzia che chi vede gli gnomi invisibili sia un poeta. Ma forse un poeta, anche il più realista e materialista dei poeti, forse una volta nella vita li deve vedere. Oppure gli ha visti e si guarda bene dal dirlo. Non era questo il caso di Loi. Mai paura degli gnomi. Gli gnomi sono amici dei poeti. (pag. 8).
§ La densa intervista di Aimara Garlaschelli: Franco Loi, l’anima che dona
“Una parola d’ordine etica, dunque, quella di Loi - il poeta della sua gente – che ha nell’’ascolto’ una propria alchimia.
(…) ‘ascolto dell’altro’, come fratellanza verso gli esseri umani, per la natura e l’intero mondo (…) ‘ascolto dell’Altro’ (…) per intendere tutti gli altri che vivono all’interno di noi come umanità-in-noi, (…) ‘ascolto’ come attenzione ai significati sonori delle parole e al loro legame con l’esperienza del mondo” (pag. 18).
“La poesia (come esperienza e voce, come intuizione e visione, come ritmo e parola) è, in Loi, una delle condizioni costitutive per incontrare il mistero della creazione: è vicina non alla conoscenza, o al pensiero, ma al sapere, poiché comporta un modo di stare nella vita” (pag. 21).
§ La poderosa intervista di Victoria Surliuga: Intervista con Franco Loi, 7 settembre 2001
“In poesia non è l’intenzione che conta, ma la naturale propensione allo scrivere, la dedizione dell’individuo alla ricerca della verità, la sua preparazione all’arte che esercita, la sua capacità di amare, la sua docilità al lasciarsi dire. E qui debbo chiarire che riferendomi alla religione non mi riferisco a una confessione piuttosto che a un’altra o a una chiesa, ma al senso religioso insito nell’uomo, alla sua ricerca della verità (...) Quando tu senti che non puoi fare a meno della poesia, sei finalmente un poeta. Essa diviene un tramite importante alla tua ricerca della verità” (pag. 33).
“Come faccio a parlarti del mio Dio? (…) Spesso io sento sorgere in me la parola Dio, e spesso sento il senso profondo di una presenza e di un ascolto. Parliamo al vuoto, noi uomini, quando parliamo a noi stessi o al Nulla che filosofia e psicologia assicurano in noi? (…) Penso che nessuna religione abbia raggiunto un livello più alto di consapevolezza attorno a quel Nulla della religione ebraico cristiana, ma la Bibbia, i grandi pensatori cristiani, da Tertulliano a Tommaso d’Aquino a Scoto Eriugena, e l’esperienza dei santi stanno a testimoniare un’esigenza dell’umanità. Dobbiamo dimenticare Agostino? Pascal? Santa Teresa? San Francesco? Stiamo cancellando tutta la nostra cultura, il nostro passato, la nostra storia” (pag. 36).
§ All’interno della sezione Italian Poetry sono state pubblicate le mie poesie Distonie, Il rito (Salotto Bianchi, Milano), Solo per un giorno, Buio, La misura, senza qualità, Favole di sale (tratte dalla raccolta inedita L’eremo dei pensieri sospesi).
Solo per un giorno
“Scivolo nel lago di ghiaccio,/ un cane tenta l’insperato salvataggio… // La curva è stretta, inaspettata./ Freno - mi fermo sull’abisso./ Poi, riprendo la marcia rettilinea.// Ma il pericolo è là,/ un avviso imprevisto di chiamata:/ il padre è morto,/ la madre in quarantena,/ i figli famelici, incupiti.// Questo borgo è un paradiso di costi/ e fatica. Tra i boschi del Gottero,/ il cinghiale ha smarrito la via maestra.// Stasera mangeremo carne.// Alla stazione - un caffè zuccherato,/ nella bisaccia matite e temperini,/ il righello per la speranza,/ uno scrigno ricolmo di pazienza.// Sul fondo della tazzina disegno la sagoma/ di uno spillo, l’alba frantumata, il fiore/ di zucchina vivo solo per un giorno.//”.
§ Interessante il saggio di Plinio Perilli, Costellazione delle poetesse. Sette autrici in cerca di se stesse e cieli e rotte o strenui abissi di identità, nel quale l’autore tratta della poetica di Victoria Surluga, Anna Maria Curci, Zingonia Zingone, Annamaria Ferramosca, Lucianna Argentino, Stefania Di Lino, Raffaela Fazio.
Da leggere.
Avanguardia poetica
“Alcuni giorni or sono/ ho aderito al realismo terminale;/ mi sembrava una bella idea/ nata da esperti poeti italiani.// Connesso ad un sito ufficiale/ ho fatto clic/ col cursore su una casella./ E mi sono sentito/ un po’ poeta anch’io.// Mi è arrivato un messaggio/ elettronico che diceva/ grazie, ti abbiamo registrato./ Poi nulla più.// Ma in fondo per me è stato facile:/ nel mio caso, realismo è nelle cose,/ terminale sono io.//” (pag. 134).
*La raccolta di poesie di Alessandro Ramberti, Medèla. Abbecedari in quarta tonica, FaraEditore, 2021.
Un testo ‘colto’ e umile al tempo stesso, un testo che invita a meditare, rasserena il cuore e quieta la mente (Adele Desideri).
“Medèla è colei che si prende cura di qualcuno, la dose di medicina per guarire. Etimologicamente è connessa alla radice latina med- (sistemare, curare). È un attributo di Maria in alcuni inni medievali. Anche la poesia, e in genere la letteratura, può essere “medicamentosa” quando vi troviamo parole che scavano e al contempo riparano le grotte del cuore. Queste pagine contengono un abbecedario di 26 lettere a tema libero e con una forma chiusa, e uno di 21 lettere dedicato a nomi presenti nella Bibbia, con una struttura più sciolta. I versi di entrambi i sillabari hanno un accento importante sulla quarta sillaba che funge da cardine di ritmo e di senso” (dalla premessa dell’autore).
Z
“Zaino non privo di errori/ ti ha accompagnato creando/ il tuo percorso pietroso// in qualche modo salvato/ quando lo hai reso leggero/ mentre incubato in un pozzo// guardavi l’occhio sincero.//” (pag. 36).
Cesare
“La sua moneta è simbolo d’imperio/ l’effige il nome l’argento/ mettono in circolo il potere// quello di Dio non ne ha bisogno/ lui che si annulla nell’Emmanuele/ ci valorizza senza interessi// discretamente bussa e attende.//” (pag. 42).
Osea
“(…)// ma Dio è paziente è ombra accogliente.//” (pag. 52).
*Marco Onofrio, L’officina del mondo. La scrittura poetica di Dante Maffia, Città del sole Edizioni, 2021.
Un saggio, questo di Onofrio, che rappresenta una dichiarazione di profonda stima per il poeta Maffia, da anni in attesa di essere candidato al Premio Nobel.
Un saggio davvero completo sul carattere, la vita, gli amori, le singole opere, le diverse sfaccettature della poetica di Maffia.
Un saggio da leggere lentamente, gustandone ogni singola pagina, per entrare nel mondo contradditorio, surreale, a tratti ipercritico di Maffia, uomo sempre teso a decifrare con onestà la realtà, sempre attento a prendere le distanze da furbastre reticenze e utilitaristici sotterfugi (Adele Desideri).
“Tutto il canzoniere maffiano è un enorme, sfaccettato, multicentrico, plurisonante, inesauribile inno alla vita, ovvero alla natura originaria delle cose, al prodigioso essere di ciò che esiste” (Marco Onofrio, op. cit., pag. 39).
“Questo è l’oceano impetuoso della sua poesia: e l’unico modo è abbandonarsi totalmente al sacro delirio dei suoi turbini, attingendone bellezza e rivelazione. Chi saprà viverla così non avrà poi difficoltà alcuna ad ammettere che Maffia è, obiettivamente, il maggior poeta vivente. Almeno in Italia. E lo è non solo per l’inarrivabile perizia tecnica e la sterminata cultura, ma anche per gli universi che racchiude nel cuore e che fioriscono miracoli allo sguardo” (Marco Onofrio, op. cit., pag. 52).
“Mi domando che cosa sarà la vita/ quando tutti saremo tali e quali/ e tutti indosseremo la stessa divisa/ e tutti mangeremo lo steso cibo/ e tuti ameremo lo stesso Dio./ I poeti saranno smarriti/ i traduttori/ estinti, e le moschee uguali/ alle chiese cattoliche,/ alle sinagoghe./ Tutto uniforme e perfetto” (Dante Maffia, Sbarco clandestino, in Marco Onofrio, op.cit., pag. 134).
“Torna a lei, parola./ E tu, cuore mio, continua a battere/ come sempre./ Senza ansie o paure./ Lei non è di quelle farfalle/ che si sfarinano/ sul primo spino di ginestra;/ lei è tempesta e fuoco di vulcano,/ vino in botte di rovere,/ tentazione perenne//” (Dante Maffia, Il poeta e la farfalla, in Marco Onofrio, op.cit., pag. 147-148).
“Il bambino che nasce col mieloma./ Ha scelto lui?/ La donna violentata e poi venduta./ Ha scelto lei?/ L’albero caduto sulla moto in corsa./ Ha scelto chi guidava di morire?/ Il fulmine caduto sulla contadina/ dopo sedici ore di lavoro./ Ha scelto lei?/ Le epidemie, il cancro,/ le guerre … Dio, Ti rendi conto/ dove mi hai messo?//” (Dante Maffia, Il suicidio, lo stupro e altre notizie, in Marco Onofrio op. cit., pag. 181).
“(…)/ (…) Solo, ormai,/ non saprei cogliere l’offerta/ dell’inflorescenza, della divinità/ che mi corteggia e s’adira/ alla mia assenza, al mio silenzio.//” (Dante Maffia, Caro Baudelaire, in Marco Onofrio, op. cit., pag. 200).
“Aveva una botteguccia/ buia striminzita./ Ci ha passato l’intera vita/ come un abito sulla gruccia.//” (Dante Maffia, Ultimi versi d’amore, in Marco Onofrio, op. cit, pag. 217. La poesia è intitolata La botteguccia, Ritratto del padre).
*Il volume, davvero intenso, di poesia di Beppe Mariano, La guerra di Annina e i camminanti, prefazione di Stefano Verdino, Di Felice Edizioni, 2021.
Il Monviso - sempre presente nelle opere di Mariano, il tema ecologico, alcuni tratti autobiografici - riferiti agli anni Sessanta del secolo scorso, le masche - streghe di montagna, la Prima Guerra Mondiale, l’accenno a una davvero incisiva presenza della donna nella Chiesa Cattolica: questi e tanti altri i temi trattati da Mariano, in un fluttuare di versi surreali, sgomenti, rovisosi, eppure ricchi di vita e di sentimento.
Adele Desideri
“La guerra di Annina e i camminanti è un libro sorprendente, che ci trasporta in una pluralità di immagini, suggestioni e riflessioni, con una andamento a soprassalti tra realtà e finzione, tra indignazione e pietà, il tutto condotto con una scrittura non da meno composita dove sul basso continuo del racconto lampeggiano le lasse ritmiche e i vari ritornelli, dove sul registro grave è pur possibile un tocco di levità” (dalla Prefazione di Stefano Verdino).
“Oltremonte vi è un monte ancora/ e ancora un monte./ Oltrecielo vi è ancora cielo.// Oltre l’Oltre vi è ancora Dio?//” (pag. 38).
“Ho continuato anche durante/ le scuole superiori a lanciare pietre,/ senza più curarmi che fossero lisce./ Ero tra i più bravi per la precisione/ e la forza di lancio: e dunque/ tra i più richiesti ai cortei.//” (pag. 72).
“Il prossimo Odisseo non avrà ritorno/ né tumulo: nel cosmo diventerà un fotone./ Una vibrazione quantica della memoria umana.// (…)// Di plastica si sta ricostruendo più leggero il mondo,/ sovvertendo la proporzione tra volume e peso./ La leggerezza rima con la bellezza,/ ma talvolta con l’anoressia della mente si combina.// Cammino. Scorgo e considero/ un camino fumante: la sua visione ha sempre alluso/ alla bontà della vita sottostante,/ dove una famiglia era immaginata.// Ma ora non più.// Dopo l’atroce inganno delle docce/ e i tanti passati per un camino,/ il fumo affettuoso di prima/ è ormai segnale incuboso,/ soltanto più tossicità.// (…)// Un corvo scende sulla mia spalla/ e parlotta nella lingua pasoliniana./ La velocità di esecuzione - mi dice -/ è stata nei campi di sterminio/ applicata per la prima volta in Europa.// Si erano accorti che sterminare/ non bastava, che bisognava/ accelerare la sparizione dei corpi./ L’auspicata futuristica velocitààà/ si era così realizzata.//” (pag. 78-79).
“Non sa dei proci che gli hanno invaso la casa,/ imponendo l’abuso come fosse un diritto./ Né sa se tornerà sulla Terra/ dove gli androidi hanno ormai il sopravvento.// (…)// Guarda il cielo attorno e meravigliato si chiede,/ quasi fosse tornato ragazzo,// se il cosmo possa essere pensato ancora / come un infinito circoscritto/ da un poeta.//” (pag. 86).
*Il copioso e davvero interessante numero 4 di giugno 2022 della rivista AT Arti e Teologie.
Editoriale di Giorgio Agnisola, Alfredo La Malfa, Natalino Valentini.
Articoli di Andrea Bigalli, Giuseppe Florio, Carlo Folrivesi, Mario Dal Bello, Raul Gabriel, Vincenzo Lieto, Lucio Sembrano. Al link artiteologie.it
“La musica, l’ironia e l’arte abbracciano pietre miliari del mondo psicoanalitico e ne fanno danza: la creatività si pone al servizio della Psicoanalisi con temuto ardire ma rigoroso rispetto.
(...) Otto le posizioni mertiche scelte, ottonari. I versi di otto sillabe, con gli accenti principali sulla terza e settima sillaba. Ritmo che avvolge e cattura. (...) Rendere filastrocca concetti chiave della Psicoanalisi sollecita nel lettore insight inattesi. Desiderati e imprevisti, attivano associazioni, libere di attraversare link e condensare significati. (...) L’umorismo permette di accedere alla piacevolezza e il piacere conduce alla comprensione” (dalla prefazione di Ivana Simonelli).
Il sintomo
“(…)/ Se l’insonnia tiene arzillo/ chi vorrebbe riposare,/ c’è un problema col controllo:/ non si può lasciare andare!// Spesso il sintomo è aiutante:/ quando abbiamo da curarci/ ma facciam finta di niente,/ lui qui giunge come a dirci:// ‘Ehi, di casa, non mi senti?/ Non pensare di scappare,/ di te stesso hai da occuparti:/ te lo voglio ricordare!’// (…)// Per me il sintomo è un’artista:/ con dei simboli lui parla/ a noi stessi a all’analista/ di chi siamo, ce lo urla!// Caro sintomo, sei grande,/ ti sto dietro e non ti mollo,/ dai notizie assai feconde,/ dell’inconscio sei il Dio Apollo!//” (pag. 40-41).
Il delirio
“Oggi parlo del delirio/ che è di certo un po’ bizzarro,/ spesso strano e molto vario:/ un pochetto ve lo narro.// È un disturbo del pensiero/ singolare e assai complesso,/ che nasconde un gran mistero/ e spaventa tutti e spesso.// (…)// Quando stiamo delirando,/ in qualcosa noi crediamo/ che non sta inver succedendo,/ ma noi non ne dubitiamo.// (…)// Serve un bel po’ di coraggio/ oper far visita al delirio;/ se lo fai sarà un gran viaggio,/ tanto ricco quanto vario.// (…)// Senti e ascolta curiosando/ quella storia interessante,/ pur te stesso rimanendo,/ senza essere arrogante.// Solamente in questo modo/ troverai quelle emozioni/ del delirio fulcro e nodo./ mica con le correzioni!// (…)/ Il delirio è un po’ magia:/ se ti lasci trasportare/ nello show della follia,/ lo potrai sperimentare.// È complesso e misterioso,/ val al di là della realtà,/ è un’artista assai ingegnoso,/ pieno di creatività!//” (pag. 52-54).
*La raccolta di poesie di Giuglielmo Aprile, Thanatofobia, Edizioni Progetto Cultura, 2022.
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona, dove insegna. È stato autore di diverse raccolte di poesia; ha inoltre collaborato con alcune riviste accademiche con studi critici su autori e testi della tradizione letteraria italiana.
Di qui a poco
“A breve cambieremo domicilio,/ ma la sede assegnata è, a quanto pare,/ angusta e buia, e scarsamente aerata;/ il quartiere in cui ci trasferiranno// è ben poco ospitale, anzi ha una fama pessima,/ al punto che molti, alla sola idea/ di andarci ad abitare, sono presi/ da panico, isteria, crolli nervosi.// Non è così lontana la corriera:/ già si distingue l’atroce bagliore/ dei suoi fari, attraverso la foschia,/ che fende il verde e scavalla i tornanti;// uno per volta saliremo a bordo,/ tanto dentro il posto non manca mai;/ massimo un’ora e saremo arrivati/ senza nemmeno rendercene conto.//” (pag. 49).
*Ancora il volume di poesie - lucide, disincantate, in certo qual senso “estreme” - di Guglielmo Aprile, Il talento dell’equilibrista, Giuliano Ladolfi Editore, 2018.
“Si tratta di un testo che si fa carico di una situazione odierna, più di diffusa di quanto si creda. La distruzione del ‘sacro’, causata dall’avvento della modernità, comporta la perdita di ogni valore e l’incapacità di trovare risposte ai quesiti esistenziali e di giustificare la realtà e l’esistenza umana, provocando il conseguente trionfo dell’insignificante e del nulla. (…) L’ansia metafisica, di cui Aprile è lucido testimone, non ha esaurito il suo anelito, anzi negli ultimi decenni si è rafforzata più che mai” (dalla prefazione di giuliano Ladolfi).
Congedo tardivo
“(…)/ Questo regno dei cieli quando arriva,/ in ogni fine c’è una liberazione,/ sono impaziente di restituire/ gli oggetti ricevuti in prestito,/ spero di lasciare questo albergo sgraziato/ al più presto.//” (pag. 16).
Saluti finali
“Nessuno ci riconoscerà nelle foto,/ nessuno interromperà il brindisi/ per aver notato un posto all’improvviso vuoto;// i rematori non smettono di vogare/ nemmeno se il mattino dopo un altro manca all’appello;/ la comitiva, al rientro,/ conta sempre qualcuno di meno/ rispetto al numero dei presenti alla partenza:/ ma fatica a ricordare/ nome e connotati di chi risulta disperso/ o è caduto in un dirupo.// La prostituta si scorda subito dopo/ della faccia del cliente:/ così anche il mondo/ di noi, appena ci chiudiamo dietro la porta.//” (pag. 24).
“(…)/ la verità e la vita, o l’una o l’altra// non c’è spazio abbastanza per entrambe/ sul palco della stessa pantomima,/ o la maschera dell’attore o quella// annoiata, un po’ snob, da spettatore.//” (pag. 87).
*L’originale, composta eppure talora commovente, raccolta in prosa poetica di Anna Ruotolo, Le stelle dormono a nord, prefazione di Alessandro Ramberti, FaraEditore, 2021.
“Accade, un giorno, che non sappiamo più parlare a chi ci siede accanto, su un divano o il sedile di un'auto. Per essere precisi, non ci è più possibile raccontare chi siamo, da dove veniamo e di cosa siamo fatti. In definitiva, non riusciamo più a tramandare le storie che si compiono nello spazio di una fotografia, un numero di telefono, un video o un tragitto in scooter. Ne Le stelle dormono a nord, di pellicola in pellicola, di avventura in avventura, di ricordo in ricordo, avviene la scoperta che le storie si somigliano tutte, anche se portano nomi diversi e si innestano in luoghi segnati su carte stellari ma ancora sconosciuti. O, almeno, così pare. Per Anna si sciolgono ad una ad una le immagini di una vita vissuta e desiderata, abbandonata e ritrovata, animata con le frasi semplici e le risposte di chi, leggendola, almeno per una volta, ha potuto confessare: ‘È successo anche a me!’” (al link https://www.faraeditore.it/html/narrabilando/Stellenord.html).
Sirio
“Quando è morta mia nonna, la sua parte viva per emanazione e per eredità di nome, che ero io, è andata con mio padre a scegliere la bara che l’avrebbe contenuta per sempre. Avevo ventisei anni, quindi tutta la maturità per espletare una pratica del genere (...) La rivedo in passaggi di stagione, nei messaggi inviati dal cielo e dalla verdura del suo giardino, nelle coperte di lana che pungono e nei caffè della mia solitudine. E nelle cose che non smettono di accadere, e non scompaiono, nella cavità oscure del nostro cuore”. (pag. 23-25).
*L’intensa raccolta poetica di Alfredo Alessio Conti, La verità nascosta, prefazione di Nazario Pardini, Guido Milano Editore, 2020.
“l’Autore alterna versi di effetto contrattivo a versi di effetto estensivo, tenendo dietro a un sentire che detta e chiede; che abbonda o ripiega a seconda dell’intensità del messaggio. I versi da andatura di più ampio respiro (quinari, settenari, o masismo ottonari) si concedono ad apodittiche riflesisoni, dove è d’uso incidere su una sola parola uno splendido abbrivio.
(…) Una silloge corposa plurale, proteiforme, che tocca ogni ambito dell’umano vivere: da poesie sulla vita a quelle dedicate ai familiari, alla fede, al pensiero, alla morte, all’amore. Un’opera che sembra nascondere al di dentro una certa inquietudine, una certa visione melanconica sui risvolti dell’esistere, anche se la fede nell’Aldilà tende a sfumare la coscienza di precarietà che il poeta nutre sulla vita” (dalla prefazione di Nazario Pardini).
Saluto ultimo
“Suonano le campane ma non a festa/ il sorriso si rattrista, la mente/ va col pensiero a chi sarà mai andato/ a prendere un altro posto là/ tra le tombe amiche./ Poi ci si ritrova a camminar vivini/ per un saluto/ ultimo.//” (pag. 25).
Nel…
“Nel dì dei morti e dei santi/ tra le tombe/ passeggiando o pregando/ il silenzio/ mi avvolse.// Al rintocco delle campane,/ all’ora terza/ mi inginocchio/ al giorno della resurerezione.// Non c’è morte/ che non ricolrdi la vita//” (pag. 37).
Letargo
“Arido/ è il mio cuore./ Vorrei/ che come fango/ lo plasmassi,/ gli dessi vita/ col tuo soffio vitale./ Mi rinchiudo/ nella fredda terra/ sperando/ in un letargo/ senza fine.//” (pag. 49).
“Mi ha insegnato che capirsi con gli occhi è il più grande gesto di amore” (V.D.)
IN LOTTA CON LA LUCE E CON IL BUIO. A PROPOSITO DI CURZIA FERRARI NELLA CIRCOSTANZA DELL’USCITA, PRESSO NINO ARAGNO EDITORE, DELL’ANTOLOGIA LE STAGIONI DELLA LUCERTOLA
Appartata, difficile alle amicizie, una stakanovista nel lavoro, Curzia Ferrari, una protagonista della vita culturale italiana, almeno fin dagli inizi degli Anni ’60 (da quando nel ’63 la sua prima raccolta poetica, La giornata provvisoria, era stata notata e premiata al Premio Cervia nientemeno che da Salvatore Quasimodo).
“Milanese doc, nata a Porta Magenta”, ha puntualizzato con orgoglio in molte interviste, e orgogliosa di essere stata cresimata in una parrocchia del suo rione dal beato Ildefonso Schuster, il cardinale che tentò di mediare la resa di Mussolini agli alleati. Porta Magenta è presente in almeno cinque poesie, nella Corrispondenza con me stessa, e nel romanzo A fuochi spenti nel buio, insieme alla madre e a note figure della Resistenza.
Incontentabile della parola scritta, pronunciata, usata, come si definisce in una confidenza epistolare, rivendica senza imbarazzo, anzi con una punta di fierezza, la qualità della sua fede, “religiosa senza accademismo”, il suo modo peculiare di essere credente che è quello di voler trovare giustificazione nel paradosso di un’accettazione solo apparentemente incondizionata, alla maniera per intenderci del credo quia absurdum di Tertulliano, l’apologeta e scrittore cristiano del II-III secolo, padre di una fede tutta interiore, carica anche di contraddizioni.
“La mia fede è la sfida di Dostoevskij che vuole credere a tutti i costi, vuole vedere Dio in tutte le cose, lo vuole cercare nella giustizia che persegue continuamente nel groviglio di drammi dei suoi personaggi”, dice infatti e aggiunge che nonostante questo, pur con tutte le sue contraddizioni, rimane ancorata a una concezione cristiana della vita (“sono anche praticante”), a un modo di sentire il divino presente nella sua inquieta quotidianità, conquistato faticosamente negli anni.
Non lo chiama nella sua poesia, se non raramente, Signore, Dio, Cristo. Piuttosto, a seconda di specifici stati d’animo, Lui, l’Innominabile, il Beniamino, il Creditore, il Perfetto, o con forti, suggestive perifrasi “Medicina segreta, mio Uomo / Castagno fiorente” e Divina Altezza, ma anche il Nullificante.
Altre volte, la sua presenza è allusa soltanto da pronomi o aggettivi personali e possessivi (un Tu, un Tuo).
Sempre, comunque, tra poesie e racconti, filtra la qualità e intensità del suo credo, la maniera in cui vi si investe tra emozione e ragione, fissando il centro dei suoi interessi di credente e di scrittrice tra il “Signore della Metratura” e l’”Uomo del Sacrificio”.
Due minimi prelievi, a mo’ di esempio, per quest’ultimo, l’Uomo del Sacrificio. Leggiamo in un testo della raccolta Pietra, dal titolo molto esplicito Venerdì Santo, che “tutto si spacca / nel disagio – senza Lui – di essere nessuno”, e poco appresso in Ancora Pasqua si attende e saluta l’arrivo del Signore:
“E Ti apro la porta.
Tu da me?! Divina altezza!
Benvenuto, Signore –
mortale potenza della mia vita deformata”.
Significativo, il modo in cui si rivolge a quest’Uomo del Sacrificio, all’Uomo della Croce, chiamandolo “Signore di legno nero”, a testimonianza di un’adesione profonda e vera, emozionale e razionale al tempo stesso, al di là del modo in cui è percepito dalla folkloristica devozionalità popolare dei più (“i piedi / sfiorati da centinaia di mani devote”), e che altrove nella “Lettera al suo parroco” già prima citata ha definito il suo essere “religiosa senza accademismo”, insomma. Una “religiosità” sempre conclamata che passa anche attraverso i simboli, attraverso il ripristino del Crocifisso da non togliere dalle scuole, ma non si ferma ad essi, anzi li supera e perfino li contesta, come si legge in una intensa “Lettera al suo parroco”.
L’Uomo della Croce campeggia anche nel testo conclusivo della raccolta di racconti Incidente di nudità:
“Il meglio era la Croce, e a quella figura d’Uomo sporca di sangue e inchiodata a un rozzo legno si sentiva legata da un sentimento molto forte. Gli cicalava implorazioni, ma talora faceva uso di un ferreo linguaggio che ricordava gli implacabili ‘io voglio’ di Caterina da Siena”.
Per quanto riguarda l’altro, il “Signore della Metratura”, poi, conviene leggere un testo giustappunto intitolato Metratura, in conclusione di Pietra, una delle sue raccolte più recenti, prima del conclusivo, teso e drammatico, Semaforo rosso (2016), e per questo paradigmaticamente ancor più significativo:
“Una luce di ferro ti avvolge e l’aria è piena
di spine. Col dizionario sei sempre in conclave.
Soppesi il rigo, la sillaba, la punteggiatura.
Squadrare e riquadrare il lineare, la calibratura
le mistioni dei verbi, il difettare delle desinenze…
…
Alle spalle un angelo divino torce la bocca,
e per l’Eccelso Signore / della Metratura
spezza con un ghigno la tua biro di plastica”.
Significativo, perché sembra mettere in scena un’insofferenza e quasi un rifiuto nei confronti della poesia intesa come arte di una dolorosa, strenua misura, quasi una greca Metriotes, che deve comunque trovare una sua risoluzione e conciliazione, elaborando le ustioni e le braci dell’esistenza “scrivendosi”, traducendosi, l’autrice non meno della vita, “nelle pagine di un libro” – un libro che “chiunque la può sfogliare” - come esplicitamente si dice in conclusione di A fuochi spenti nel buio.
Come dire che dall’esigenza di commisurare il proprio con “l’infinito dolore che Cristo non smette di patire” nasce il bisogno di “pacificarsi in Dio”, nella sua essenza di Ordine e Rigore, di Misura, anche attraverso la scrittura, poetica o narrativa che sia, confidando che possa essere utile a qualcuno la sua esperienza.
L’evocazione della forza di Caterina da Siena, citata nel racconto di Incidente di nudità, ci induce ad aprire qui una parentesi, chiamando in causa le tante altre presenze femminili, disseminate nella ricerca intellettuale e spirituale di Curzia.
Nella sua parabola intellettuale e spirituale si affacciano sia pure di straforo le “contemplative” Angela da Foligno e Giuliana di Norwich (perché “il contemplativo non ha bisogno di nulla”), ma anche la filosofa ebrea Edith Stein, “che ha cercato riparazione / nel silenzio di un Carmelo”, e la mistica-laica-sindacalista Madeleine Delbrel.
E tra le figure di fattiva e problematica spiritualità, emblemi di un universo necessario di intelligenza e forza, cui la scrittura conferisce un volto autenticamente umano e vero, al di là del falso dovuto alle manipolazioni e a certa devozionalità popolare, troviamo su tutte Angela Merici, la prima femminista nell’epoca delle Compagnie, una donna nel mondo strumentalizzata dalle gerarchie ecclesiali, che l’hanno impropriamente stravolta, da laica quale era, a fondatrice delle Orsoline con cuffia e velo.
VINCENZO GUARRACINO
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