martedì 11 gennaio 2022

Un libro che ci scuote e ci abbraccia

Adrien Candiard, La speranza non è ottimismo, prefazione di Erio Castellucci, traduzione di Pier Maria Mazzola, EMI 2021

recensione di AR


Recensito su La Stampa del 20 settembre 2021 da Enzo Bianchi, questo libro di poco più di 100 pagine è un tesoro, specialmente in questi tempi abbastanza affaticati, luttuosi, generalmente non entusiasmanti (benché in fondo sfidanti e non privi di opportunità,  se sappiamo coglierle, v. p. 67). Padre Candiard riscopre la virtù della speranza e la fa assaporare non solo ai “cristiani disorientati” (come recita il sottotitolo) ma a ogni persona che desidera vivere la realtà sapendo che questa occasione di essere ed esistere ci è data qui ed ora ed ha quantomeno la preziosità delle cose più uniche che rare. La scrittura è tersa ed efficace, una spada paolina che sa dove tagliare, dove affondare. È un taglio fatto con amore, seguendo le fibre dei muscoli, il profilo delle giunture, le ramificazioni dei vasi sanguigni, le masse degli organi, sollevando con delicatezza il velo dei tessuti… È un testo bellissimo che pur scuotendoci esprime un atteggiamento di fiducia, così in frate Adrien sentiamo un’anima sorella, una mente che non si fa illusioni e va al sodo, ma con misericordia. 

Alcune citazioni cursorie partendo dalla fine: “il mondo si aspetta da noi che viviamo nella speranza, cioè che viviamo per l’eternità” (p. 101); “se noi prima non riceviamo con sovrabbondanza, saremo troppo timidi a dare” (p. 97); “conversione altro non vuol dire se non capovolgimento” (p. 93); “Trasformare gli avvenimenti in opportunità di amore vuol dire (…) Cambiare l’acqua della vita ordinaria in vino di vita eterna.” (p. 87); “La vita eterna comincia adesso e prosegue eternamente.” (p. 81); “La fede possiede Dio come Verità, la carità lo possiede come Bene. La vita aperta alla speranza è il possesso di Dio come Salvezza” (pp. 78-9); “L’unica promessa che Dio fa a Geremia non è il trionfo o la riuscita. È la promessa della sua presenza.” (p. 61); “trovo proprio noi cristiani piuttosto poveri di speranza” (p. 34); “Avere la fede, dice Geremia, (…) è, prima di tutto, guardare il mondo in faccia, il male in faccia. La fede non spinge Geremia all’ottimismo, bensì al realismo più freddo.” (p. 27).

Ecco, questo rapido e saltellante cammino a ritroso ci ricorda che siamo in un mondo in cui tutto si tiene, a livello personale, sociale, economico, ambientale… e c’è in ciascuno essere una dignità indefettibile, un sottile, magari sottilissimo e conculcato, filo di speranza che è generato da sempre e per sempre da una Fonte luminosa, amorevole e traboccante. È responsabilità di chi ne ha ricevuto in abbondanza, diffondere con gioia un po’ di quella luce a chi è stato meno fortunato, spesso a causa del cattivo e distruttivo comportamento di  altri esseri umani; egli a sua volta sarà intimamente spinto a fare altrettanto. Anche la speranza è contagiosa.

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