mercoledì 24 ottobre 2018

Wilde e Douglas




Pare che si finisca sempre con l’odiare quel che si è amato, intensamente, persino follemente. E come si è amato senza misure così, altrettanto, si odia senza misure. Si dimostra, in tal modo, che gli estremi si equivalgono, stanno alla pari, sono entrambi molto forti. Hanno, poi, la stessa potenza distruttiva. Sì, perché, non solo l’odio ha il potere di distruggere, ma anche l’amore. Parliamo, evidentemente, dell’amore vero e non di quello romantico, naturalmente sdolcinato. Parliamo dell’amore che non può essere semplicemente intrappolato in una poesia o in una canzone. L’amore vero è di una violenza inaudita, spaventosa. L’amore vero è il frutto più sublime della follia. L’amore deve essere a-razionale. Questo, s’intende, vale anche per l’odio. Tale amore distrugge, annienta, steccati, fossati, mura, pareti. Siffatto amore abbatte regole, norme, leggi. All’attacco, dunque, del fine, della meta, del desiderio, dell’oggetto, con tutti i mezzi, buoni e cattivi, morali e a-morali, giusti e ingiusti. Altrettanto si comporta l’odio con pari intensità, audacia, senza remore, freni inibitori. Tutto è travolto, gettato a terra, frantumato, fatto a pezzi. Sfamato, poi, lo scopo in molti casi si odono singhiozzi, pianti, lamenti, pur soffocati. Ma l’amore e l’odio son cessati. Come in un campo di battaglia restano solo disseminati cadaveri, sangue e morte. Nessuno dei due ha vinto. Entrambi si sono autodistrutti.

Un esempio, per tutti: Oscar Wilde e Alfred Douglas. Emblematico. Si resta storditi, tramortiti, disorientati. La storia è di quelle che entrano dentro come un pugno ben assestato in pieno stomaco, un mal di testa notturno, una ostrica avariata. Un senso di tragedia opprimente, angosciante. Se vi si entra dentro, si viene subito rapiti, travolti, sedotti, imprigionati. Senza che vi sia tempo per pensarci, almeno un pochino, si tifa per l’uno o per l’altro, un po’ per l’uno e un po’ per l’altro, in difesa dell’uno o dell’altro. Restare neutrali, impossibile! E poi, perché mai? Come in tutte le travolgenti storie di amore-odio restarne fuori non è dato, non si può. E quella di Oscar e Alfred è una di quelle storie che ti afferra per la gola e ti guarda e fissa dritta negli occhi. Impossibile distogliere lo sguardo, battere la polvere, lavare il fango, otturarsi il naso, resistere al fascino. Impossibile, poi, non darsi un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Entrambi lo meritano, ne hanno bisogno. Sarà, forse, perché entrambi sono cattivi e angeli insieme. E l’uomo, si sa, quando trova un demone insieme ad un angelo impazzisce. L’uomo sa di essere entrambi, uniti, legati, inseparabili. Ecco l’origine di una attrazione divina e mortale. Quando, alla fine, non si scegli né l’uno né l’altro il cordoglio è tale che guardarsi e osservarsi allo specchio diventa una condanna e una dannazione.
Se l’amore dovesse seguire, incanalarsi per sentieri determinati, scontati, scorrerebbe sì, ma intrappolato, non libero, non alato, ansioso. Sarebbe, allora, amore vero? È questo l’amore? Questo, piuttosto, non sarebbe una parodia, una gabbia, l’esatto contrario di quel che si chiede ad un sentimento forte come la morte? Se l’amore dovesse prestare attenzione e rispetto a tutto ciò che nella vita sociale e morale degli uomini è sotto il gioco del dovere, della tradizione, della legge, che amore sarebbe? L’amore, quello vero, ha a che fare con la passione, col tutto è possibile per l’amata e per l’amato, con il delirio che afferra e tira tutto, con cecità e sordità che impediscono di discernere il presente e il futuro. Quando nulla è evidente, chiaro, tutti i passi son fatti nel buio, nel vuoto. L’amore passionale, carnale, spinge e fa cadere nelle braccia del desiderio che è più forte di qualsiasi regola, etichetta, perbenismo. Contro questo nessuna buona educazione e codice religioso possono opporsi.
Ora, sembra  di poter leggere tutto ciò nella distruttiva storia d’amore tra Wilde e Douglas, di riconoscere nella reciproca, travolgente passione i tratti di una follia umana in grado di giustificare tutto, ma proprio tutto: eccentricità, immoralità, capricci, sregolatezza, eccessi, vizi, mollezza, dissolutezza, sprechi, depravazione, scandalo. Perciò, è più che sicuro, i due si sono veramente amati. Il loro, ovviamente, è stato un amore che non appaga, non sazia, non colma. Ma, quale amore appaga, sazia, colma? I due non si bastavano, mai. Avevano continuamente bisogno di altro, di oltre. Insaziabili (non è questa, forse, la vera natura umana?), consumavano, bruciavano, in continuazione, perennemente insoddisfatti. Possedevano la rara arte di sapersi distruggere come solo i geni e gli aristocratici sanno fare molto bene. Incredibilmente ed enormemente ricchi di sensibilità, di estetismo, di creatività, di bellezza, erano attratti dal fango, dai bassi fondi, dalle miserie, dalla volgarità, dalla plebe. Potevano non esserlo? Finirono con lo sporcarsi per poi, disperatamente, piangere e piangere lasciandosi tormentare dal senso di colpa, dal rimorso, dal peccato, dall’innocenza perduta (loro sapevano, per sempre!).
Chi si addentra, non per caso ma volutamente, nelle stanze delle loro vite scoprirà con vero stupore quanta inimmaginabile capacità di ferirsi e di farsi del male reciprocamente hanno avuto nonostante le loro indiscutibili doti artistiche e morali. Possiamo, dunque, dire che i frutti hanno deluso, tradito le radici? Lo possiamo! Imparando a conoscerli, appaiono sempre più non scusabili, indifendibili. Osservandoli, poi, ancor meglio si finisce col non poter stare ne con l’uno ne con l’altro. È impossibile schierarsi con l’uno o con l’altro. Commettono una tale successione di crimini contro sé stessi e altri che restare fermi nel santo proposito di cercare e trovare anche solo uno spiraglio di luce diventa non una impresa, ma una avventura degli esiti tragici. I due uomini erano dotati di virtù, ma corruzione e vizio li hanno resi quel che poi hanno scelto di essere sino a quelle estreme conseguenze per le quali sono noti, celebri.
Nelle loro rispettive premesse c’era molto ben altro, ma, insieme, anche il germe della disfatta, della decadenza, della condanna ad una vita triste e buia. Ricchi, avevano la povertà già nella testa e nel sangue, quella povertà che raggiunge sempre chiunque getta monete d’oro e diamanti al suo passaggio pensando di poter fare a meno della vita umana e quotidiana. Leggendo le premesse, forse, tutto poteva andare per un verso diverso, compiersi in un modo totalmente altro da come invece, sappiamo, si è chiusa la vita terrena di entrambi. Ma, poi, hanno incontrato il vero amore e il virus è esploso devastando bellezza, passione, poesia, arte. Quel che più sconvolge è vedere chiaramente che i due vanno incontro al loro orribile destino senza opporre resistenza, senza neppure tentare di intraprendere un’altra rotta. Ci vanno consci, liberi, almeno apparentemente, responsabili. Sconvolgono tutt’e due, ma Oscar Wilde di più. Neppure il carcere gli impedì di mettere, poi, un fiore nell’occhiello della giacca.
Ma l’amore è così, deve essere così. Quell’amore che non è solo attrazione fisica, sensuale, erotica, ma, soprattutto, incontro e comunione di anime smarrite in un mondo sentito come altro, fuori, ostile, per un’interiorità che si affanna, tribola, nel cercare appigli dove poter appendere la propria pelle. Ovviamente, i due si stancano dell’uno e dell’altro, si annoiano, in un gioco che li vede protagonisti di diverbi, aggressioni, ferite inferte all’indirizzo del proprio smisurato Ego. Per questo, bisogna essere matti e da matti servitori di un amore altrettanto matto. Infatti, quando sembra che sia l’uno sia l’altro abbiano trovato altre vie, soluzioni, percorsi che allontanano, distaccano, possono rendere indipendenti, ecco che le logiche conseguenze, quelle però dei comuni mortali, vanno a farsi benedire, alla malora e il connubio si ricostituisce persino ancor più deleterio. Si resta intontiti, e non potrebbe essere diversamente, intuendo che i due devono, devono essere proprio del tutto matti.
Ma questo giudizio non toglie la coerenza stringente contenuta nel sodalizio tra Oscar e Alfred. Solo chi osserva e ragiona con parametri etici e morali è convinto di vedere null’altro che incoerenza, instabilità, sbandamento. Ed invece i due sono stati coerenti. Coerenti, innanzitutto, a sé stessi, alle loro scelte fatte sulla base del carattere, della personalità; poi, alla vita, a quella vita che si sono trovati a respirare, ad accogliere, accettare sino alla fine. Pertanto, ad un attento esame biografico si vedrà chiaramente che la coerenza, la fedeltà alle proprie idee, ha costantemente percorso tutto il loro tempo, la loro storia, la loro opera. Per restare coerenti sono andati incontro a disprezzo, condanna, emarginazione, isolamento, umiliazione, indigenza. Come dei veri eroi non hanno retrocesso, non hanno fatto buon viso a cattiva sorte, non hanno abiurato. Anzi, hanno lottato contro l’ipocrisia regnante, mostrando sempre il loro volto e mai semplicemente una maschera. Sarebbe stato troppo facile. Altri si sono arresi, loro no. Sicuri che l’unico modo per non tradire il loro demone fosse quello di lasciarlo agire e dominare, hanno saputo camminare nonostante tutto a testa alta senza mai rinunciare al loro personalissimo ritratto.
Quel che viene erroneamente interpretato in maniera molto, troppo, sbrigativa come mera depravazione in verità non è altro che una manifestazione, tra l’altro non del tutto esaustiva, di anime molto complesse, non facilmente psicoanalizzabili, che sfuggono alle catalogazioni anche più impegnative. Wilde e Douglas, insieme, non possono essere liquidati con l’etichetta di depravati omosessuali. L’epoca, lo sappiamo, fu quella dei tabù esasperati, dei complessi, del carcere duro e forzato. Verrà Sigmund Freud e più nulla sarà come prima! Ma i due, non presi singolarmente, hanno mostrato alla società del tempo non tanto atti quanto, piuttosto, come sia possibile affrontare e superare le convenzioni, i pregiudizi, costruire e tenere in vita un abito con il quale poter agire alla luce del sole in ogni luogo e con chiunque.
Ed ecco: “Io sono l’Amore / che il suo nome non osa pronunciare”. Ed ecco l’amore dal quale siamo partiti. Volevamo dirlo come poi lo abbiamo detto e volevamo dirlo con la voce di Oscar Wilde e Alfred Douglas, una voce che pur nel tormento è rimasta, si è conservata dolce, sognante, evocativa. L’amore, sciolto dalle catene etero-omo, pulserà di follia e i colori della follia sono tutto tranne che logici, lineari, pacifici.
Solo così è possibile comprendere e spiegare l’amore adolescenziale, quello pronto a tutto, a patire le pene dell’Inferno, a soffrire, ad andare contro tutto e tutti, ad annullare divieti, a mettere da parte egoismo e spirito di conservazione. Si tratta di quella adolescenza che può continuare nel caso di amanti maturi nell’età e nell’esperienza, che però diventano matti e si lasciano dietro buona educazione e buone maniere per dar vita ad una passione che brucia e consuma. Incontrando la storia d’amore tra Oscar e Alfred sarà più facile convincersi della validità della tesi che vede l’amore secondo tradizione confrontarsi e scontrarsi con l’amore che sfugge a regole determinate e rigide, che ha percorsi strani e da mal di testa, che si sente fortemente slegato dalla morale religiosa.
Si torna così al punto di partenza: l’amore è vero quando distrugge, è tragico, conduce alla morte. L’amore che non ha il potere di distruggere l’oggetto del desiderio è destinato a sentirsi presto appagato e in pace con i doveri e le attese di quanti vivono semplicemente per nascere, produrre, consumare, mangiare, morire. È questo un amore atto alla riproduzione, alla conservazione della specie, a servizio della società del mordi e fuggi. Parliamo della società del nostro tempo che non conosce passioni distruttive, ma sola violenza fine a sé stessa, delirio di onnipotenza virtuale e disumana. Per questo, non conosce gli amori decadenti di fine secolo ‘800. Gli adolescenti di oggi non si possono amare perché non sono in grado di guardarsi negli occhi e di toccarsi. Come potrebbero? Restano virtualmente attaccati per un’intera notte (senza sapere che fuori ci sono le stelle e la luna) tramite una chat, connessi sì, ma non in relazione. Allora, sembra che, per via di una nostalgia dolorosa e senza riposo, Wilde e Douglas ci vengano incontro, in soccorso, con i loro versi sinceri e quasi timidi, per raccontarci ancora la favola di un Principe felice, per ostentare a quanti non possono amare il loro amore non virtuale, digitale, ma divino, “perché forte come la morte è l’amore”.

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