Pare che si finisca sempre con l’odiare
quel che si è amato, intensamente, persino follemente. E come si è amato senza
misure così, altrettanto, si odia senza misure. Si dimostra, in tal modo, che
gli estremi si equivalgono, stanno alla pari, sono entrambi molto forti. Hanno,
poi, la stessa potenza distruttiva. Sì, perché, non solo l’odio ha il potere di
distruggere, ma anche l’amore. Parliamo, evidentemente, dell’amore vero e non
di quello romantico, naturalmente sdolcinato. Parliamo dell’amore che non può
essere semplicemente intrappolato in una poesia o in una canzone. L’amore vero
è di una violenza inaudita, spaventosa. L’amore vero è il frutto più sublime
della follia. L’amore deve essere a-razionale. Questo, s’intende, vale anche
per l’odio. Tale amore distrugge, annienta, steccati, fossati, mura, pareti.
Siffatto amore abbatte regole, norme, leggi. All’attacco, dunque, del fine,
della meta, del desiderio, dell’oggetto, con tutti i mezzi, buoni e cattivi,
morali e a-morali, giusti e ingiusti. Altrettanto si comporta l’odio con pari
intensità, audacia, senza remore, freni inibitori. Tutto è travolto, gettato a
terra, frantumato, fatto a pezzi. Sfamato, poi, lo scopo in molti casi si odono
singhiozzi, pianti, lamenti, pur soffocati. Ma l’amore e l’odio son cessati.
Come in un campo di battaglia restano solo disseminati cadaveri, sangue e
morte. Nessuno dei due ha vinto. Entrambi si sono autodistrutti.
Un esempio,
per tutti: Oscar Wilde e Alfred Douglas. Emblematico. Si resta storditi,
tramortiti, disorientati. La storia è di quelle che entrano dentro come un
pugno ben assestato in pieno stomaco, un mal di testa notturno, una ostrica
avariata. Un senso di tragedia opprimente, angosciante. Se vi si entra dentro,
si viene subito rapiti, travolti, sedotti, imprigionati. Senza che vi sia tempo
per pensarci, almeno un pochino, si tifa per l’uno o per l’altro, un po’ per
l’uno e un po’ per l’altro, in difesa dell’uno o dell’altro. Restare neutrali,
impossibile! E poi, perché mai? Come in tutte le travolgenti storie di
amore-odio restarne fuori non è dato, non si può. E quella di Oscar e Alfred è
una di quelle storie che ti afferra per la gola e ti guarda e fissa dritta
negli occhi. Impossibile distogliere lo sguardo, battere la polvere, lavare il
fango, otturarsi il naso, resistere al fascino. Impossibile, poi, non darsi un
po’ da una parte e un po’ dall’altra. Entrambi lo meritano, ne hanno bisogno.
Sarà, forse, perché entrambi sono cattivi e angeli insieme. E l’uomo, si sa,
quando trova un demone insieme ad un angelo impazzisce. L’uomo sa di essere
entrambi, uniti, legati, inseparabili. Ecco l’origine di una attrazione divina
e mortale. Quando, alla fine, non si scegli né l’uno né l’altro il cordoglio è
tale che guardarsi e osservarsi allo specchio diventa una condanna e una
dannazione.
Se l’amore
dovesse seguire, incanalarsi per sentieri determinati, scontati, scorrerebbe
sì, ma intrappolato, non libero, non alato, ansioso. Sarebbe, allora, amore
vero? È questo l’amore? Questo, piuttosto, non sarebbe una parodia, una gabbia,
l’esatto contrario di quel che si chiede ad un sentimento forte come la morte?
Se l’amore dovesse prestare attenzione e rispetto a tutto ciò che nella vita
sociale e morale degli uomini è sotto il gioco del dovere, della tradizione,
della legge, che amore sarebbe? L’amore, quello vero, ha a che fare con la
passione, col tutto è possibile per l’amata e per l’amato, con il delirio che
afferra e tira tutto, con cecità e sordità che impediscono di discernere il
presente e il futuro. Quando nulla è evidente, chiaro, tutti i passi son fatti
nel buio, nel vuoto. L’amore passionale, carnale, spinge e fa cadere nelle
braccia del desiderio che è più forte di qualsiasi regola, etichetta,
perbenismo. Contro questo nessuna buona educazione e codice religioso possono
opporsi.
Ora,
sembra di poter leggere tutto ciò nella
distruttiva storia d’amore tra Wilde e Douglas, di riconoscere nella reciproca,
travolgente passione i tratti di una follia umana in grado di giustificare
tutto, ma proprio tutto: eccentricità, immoralità, capricci, sregolatezza,
eccessi, vizi, mollezza, dissolutezza, sprechi, depravazione, scandalo. Perciò,
è più che sicuro, i due si sono veramente amati. Il loro, ovviamente, è stato
un amore che non appaga, non sazia, non colma. Ma, quale amore appaga, sazia,
colma? I due non si bastavano, mai. Avevano continuamente bisogno di altro, di
oltre. Insaziabili (non è questa, forse, la vera natura umana?), consumavano,
bruciavano, in continuazione, perennemente insoddisfatti. Possedevano la rara
arte di sapersi distruggere come solo i geni e gli aristocratici sanno fare
molto bene. Incredibilmente ed enormemente ricchi di sensibilità, di estetismo,
di creatività, di bellezza, erano attratti dal fango, dai bassi fondi, dalle
miserie, dalla volgarità, dalla plebe. Potevano non esserlo? Finirono con lo
sporcarsi per poi, disperatamente, piangere e piangere lasciandosi tormentare
dal senso di colpa, dal rimorso, dal peccato, dall’innocenza perduta (loro
sapevano, per sempre!).
Chi si
addentra, non per caso ma volutamente, nelle stanze delle loro vite scoprirà
con vero stupore quanta inimmaginabile capacità di ferirsi e di farsi del male
reciprocamente hanno avuto nonostante le loro indiscutibili doti artistiche e
morali. Possiamo, dunque, dire che i frutti hanno deluso, tradito le radici? Lo
possiamo! Imparando a conoscerli, appaiono sempre più non scusabili,
indifendibili. Osservandoli, poi, ancor meglio si finisce col non poter stare
ne con l’uno ne con l’altro. È impossibile schierarsi con l’uno o con l’altro.
Commettono una tale successione di crimini contro sé stessi e altri che restare
fermi nel santo proposito di cercare e trovare anche solo uno spiraglio di luce
diventa non una impresa, ma una avventura degli esiti tragici. I due uomini
erano dotati di virtù, ma corruzione e vizio li hanno resi quel che poi hanno
scelto di essere sino a quelle estreme conseguenze per le quali sono noti,
celebri.
Nelle loro
rispettive premesse c’era molto ben altro, ma, insieme, anche il germe della
disfatta, della decadenza, della condanna ad una vita triste e buia. Ricchi,
avevano la povertà già nella testa e nel sangue, quella povertà che raggiunge
sempre chiunque getta monete d’oro e diamanti al suo passaggio pensando di
poter fare a meno della vita umana e quotidiana. Leggendo le premesse, forse,
tutto poteva andare per un verso diverso, compiersi in un modo totalmente altro
da come invece, sappiamo, si è chiusa la vita terrena di entrambi. Ma, poi,
hanno incontrato il vero amore e il virus è esploso devastando bellezza,
passione, poesia, arte. Quel che più sconvolge è vedere chiaramente che i due
vanno incontro al loro orribile destino senza opporre resistenza, senza neppure
tentare di intraprendere un’altra rotta. Ci vanno consci, liberi, almeno
apparentemente, responsabili. Sconvolgono tutt’e due, ma Oscar Wilde di più. Neppure
il carcere gli impedì di mettere, poi, un fiore nell’occhiello della giacca.
Ma l’amore è
così, deve essere così. Quell’amore che non è solo attrazione fisica, sensuale,
erotica, ma, soprattutto, incontro e comunione di anime smarrite in un mondo
sentito come altro, fuori, ostile, per un’interiorità che si affanna, tribola,
nel cercare appigli dove poter appendere la propria pelle. Ovviamente, i due si
stancano dell’uno e dell’altro, si annoiano, in un gioco che li vede
protagonisti di diverbi, aggressioni, ferite inferte all’indirizzo del proprio
smisurato Ego. Per questo, bisogna essere matti e da matti servitori di un
amore altrettanto matto. Infatti, quando sembra che sia l’uno sia l’altro
abbiano trovato altre vie, soluzioni, percorsi che allontanano, distaccano, possono
rendere indipendenti, ecco che le logiche conseguenze, quelle però dei comuni
mortali, vanno a farsi benedire, alla malora e il connubio si ricostituisce
persino ancor più deleterio. Si resta intontiti, e non potrebbe essere
diversamente, intuendo che i due devono, devono essere proprio del tutto matti.
Ma questo
giudizio non toglie la coerenza stringente contenuta nel sodalizio tra Oscar e
Alfred. Solo chi osserva e ragiona con parametri etici e morali è convinto di
vedere null’altro che incoerenza, instabilità, sbandamento. Ed invece i due
sono stati coerenti. Coerenti, innanzitutto, a sé stessi, alle loro scelte
fatte sulla base del carattere, della personalità; poi, alla vita, a quella
vita che si sono trovati a respirare, ad accogliere, accettare sino alla fine.
Pertanto, ad un attento esame biografico si vedrà chiaramente che la coerenza,
la fedeltà alle proprie idee, ha costantemente percorso tutto il loro tempo, la
loro storia, la loro opera. Per restare coerenti sono andati incontro a disprezzo,
condanna, emarginazione, isolamento, umiliazione, indigenza. Come dei veri eroi
non hanno retrocesso, non hanno fatto buon viso a cattiva sorte, non hanno
abiurato. Anzi, hanno lottato contro l’ipocrisia regnante, mostrando sempre il
loro volto e mai semplicemente una maschera. Sarebbe stato troppo facile. Altri
si sono arresi, loro no. Sicuri che l’unico modo per non tradire il loro demone
fosse quello di lasciarlo agire e dominare, hanno saputo camminare nonostante
tutto a testa alta senza mai rinunciare al loro personalissimo ritratto.
Quel che
viene erroneamente interpretato in maniera molto, troppo, sbrigativa come mera
depravazione in verità non è altro che una manifestazione, tra l’altro non del
tutto esaustiva, di anime molto complesse, non facilmente psicoanalizzabili,
che sfuggono alle catalogazioni anche più impegnative. Wilde e Douglas,
insieme, non possono essere liquidati con l’etichetta di depravati omosessuali.
L’epoca, lo sappiamo, fu quella dei tabù esasperati, dei complessi, del carcere
duro e forzato. Verrà Sigmund Freud e più nulla sarà come prima! Ma i due, non
presi singolarmente, hanno mostrato alla società del tempo non tanto atti
quanto, piuttosto, come sia possibile affrontare e superare le convenzioni, i
pregiudizi, costruire e tenere in vita un abito con il quale poter agire alla
luce del sole in ogni luogo e con chiunque.
Ed ecco: “Io sono l’Amore / che il suo nome non osa
pronunciare”. Ed ecco l’amore dal quale siamo partiti. Volevamo dirlo come
poi lo abbiamo detto e volevamo dirlo con la voce di Oscar Wilde e Alfred
Douglas, una voce che pur nel tormento è rimasta, si è conservata dolce,
sognante, evocativa. L’amore, sciolto dalle catene etero-omo, pulserà di follia
e i colori della follia sono tutto tranne che logici, lineari, pacifici.
Solo così è
possibile comprendere e spiegare l’amore adolescenziale, quello pronto a tutto,
a patire le pene dell’Inferno, a soffrire, ad andare contro tutto e tutti, ad
annullare divieti, a mettere da parte egoismo e spirito di conservazione. Si
tratta di quella adolescenza che può continuare nel caso di amanti maturi
nell’età e nell’esperienza, che però diventano matti e si lasciano dietro buona
educazione e buone maniere per dar vita ad una passione che brucia e consuma.
Incontrando la storia d’amore tra Oscar e Alfred sarà più facile convincersi
della validità della tesi che vede l’amore secondo tradizione confrontarsi e
scontrarsi con l’amore che sfugge a regole determinate e rigide, che ha
percorsi strani e da mal di testa, che si sente fortemente slegato dalla morale
religiosa.
Si
torna così al punto di partenza: l’amore è vero quando distrugge, è tragico,
conduce alla morte. L’amore che non ha il potere di distruggere l’oggetto del
desiderio è destinato a sentirsi presto appagato e in pace con i doveri e le
attese di quanti vivono semplicemente per nascere, produrre, consumare,
mangiare, morire. È questo un amore atto alla riproduzione, alla conservazione
della specie, a servizio della società del mordi e fuggi. Parliamo della
società del nostro tempo che non conosce passioni distruttive, ma sola violenza
fine a sé stessa, delirio di onnipotenza virtuale e disumana. Per questo, non
conosce gli amori decadenti di fine secolo ‘800. Gli adolescenti di oggi non si
possono amare perché non sono in grado di guardarsi negli occhi e di toccarsi.
Come potrebbero? Restano virtualmente attaccati per un’intera notte (senza
sapere che fuori ci sono le stelle e la luna) tramite una chat, connessi sì, ma
non in relazione. Allora, sembra che, per via di una nostalgia dolorosa e senza
riposo, Wilde e Douglas ci vengano incontro, in soccorso, con i loro versi
sinceri e quasi timidi, per raccontarci ancora la favola di un Principe felice,
per ostentare a quanti non possono amare il loro amore non virtuale, digitale,
ma divino, “perché forte come la morte è
l’amore”.
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