Il romanzo La maligredi di Gioacchino Criaco
recensione di Subhaga Gaetano Failla
recensione di Subhaga Gaetano Failla
La maligredi di Gioacchino Criaco (Feltrinelli 2018) è un libro doloroso, profondamente e intimamente doloroso, al contempo sguardo appassionato su una comunità calabrese definibile antropologicamente “sopravvivenza folklorica”, aspro romanzo di formazione ed emblematica storia d’un sogno utopistico e del suo tentativo di realizzazione avvenuto tra anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. L’ispiratore di tale sogno, Papula (Rocco Palamara, al quale è dedicato il libro), afferma: “noi siamo i bambini, e i bambini hanno un dono grande, sognano. Anzi ne hanno due, perché credono anche nelle favole.”
Una speranza rivoluzionaria e anarchica per l’Aspromonte e la Calabria, per “un pezzo di paradiso che gli dèi hanno calato giù dal cielo nel centro di un mondo antico”. La maligredi è una sinfonia solenne che, come nella grandiosità della tragedia greca, ha musiche, voci e immagini intessute di visioni e deità in una trama di terra e sangue, il racconto d’una storia oscura e livida con squarci di luce indimenticabili. Il linguaggio usato è ruvido, maestoso, intriso d’umori e d’acre sensualità, acuminato da sparsi frammenti dialettali e grecanici, ricco di metafore e sinestesie, di evocazioni, mosso da onde voluttuose, come spinto dai venti che attraversano nella narrazione Africo e l’Aspromonte. Come il tuffo a volo d’angelo porta i giovani personaggi dalla scogliera fin dentro il mare, lo slancio creativo di La maligredi conduce quest’opera dalla Calabria all’universalità.
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