Non di rado ci imbattiamo in poeti che fanno dei
luoghi geografici la roccia ideale dove imprimere i graffiti dei propri
pensieri. Saranno le meraviglie in cui sovente si imbattono e che solo loro
riescono a rilevare, fissando lo sguardo in meandri che altri non vedrebbero;
sarà la sensibilità sviluppata all’ennesima potenza che provoca lo sbrilluccichio di anfratti come di
bastioni, di pievi come di cattedrali, di stalle come di castelli; saranno i
profumi e i colori che stimolano versi surreali quanto quotidiani e che spesso
accompagnano il male e il bene di vivere, che trova casa nei più bei testi
d’autore. Saranno tutte queste cose insieme a dar vita a versi, poemi, libri
interi che raccontano paesi come città, luoghi di cui ci s’innamora a prima
vista o che permangono nel ricordo, per la frequentazione o l’immaginazione,
per la voglia di parlarne alla maniera più antica e sacra che l’uomo conosca,
riscoprendo ogni volta - come per fregi preziosi e di raro interesse - la capacità
di trasformarsi in archeologi della parola, in falegnami della metafora, in
architetti della rima, attraverso la poesia.
Così, se Caproni parlò di Genova e Livorno, se Saba
cantò Trieste, se Antonia Pozzi narrò di Venezia (e potremmo continuare a lungo)
ecco che Dante Maffia, dopo aver parlato di Roma, Milano e Torino incanta il
lettore con i versi dedicati a Matera che non è la sua città natale, - Maffia è
calabrese, di Roseto Capo Spulico, in provincia di Cosenza - ma che egli ha
adottato come luogo affettivo per eccellenza, amandola di un amore infinito,
carnale, esemplare tanto da renderlo eterno e immortale, proponendolo in un
libro di circa quattrocento testi a lei dedicati.
E in questa delirante epopea di canti, in questa
vulcanica odissea di esplosioni pirotecniche di parole, in quest’afflato a
tratti erotico quanto drammatico, si snoda il percorso che l’autore ci offre
quasi scavando tra i Sassi, rifugiandosi in essi, perlustrandoli come un’icona
di senso e verità, e rendendoci una città non solo avvolta da petrosità e
cunicoli, da chiaroscuri impenetrabili e momentanee schiarite, ma dove affiora,
inequivocabilmente, la bellezza e la solennità di un luogo che diventa il luogo
stesso della poesia. Convince e intenerisce, emoziona e commuove l’immersione
in queste pagine così ricche di immagini e visioni, di ricordi e previsioni,
d’intenti e sguardi amorosi, gelosi, a tratti possessivi come di un amante ai
primi tempi dell’innamoramento verso la città che diventa donna, o verso la
donna che si fa città, non ha alcuna importanza chi si pensa di preferire, chi
prevale sulle due entità: esse sono un tutt’uno inscindibile, unite in un’unica
sola verità, rimandano a un empatico riflesso dentro cui specchiarsi per
provare a capire quest’amore, e sentirlo pulsare come vorrebbe che lo
sentissimo l’autore.
L’amore per Matera esplode dunque in questo immenso
lavoro di Maffia come una sorta di sentimento originario, fuoriuscito da un
brodo primordiale di irresistibile tensione, debordando in immagini che diventano
istantanei fotogrammi, in suoni che si fanno grida, in colori che si rigenerano
in arcobaleni di luce. Non c’è scampo a tutto questo amore, non c’è via di
fuga, impossibile non sentirselo sulla pelle e resistere, provare a non
condividerlo. Matera è la donna che tutti gli uomini vorrebbero conoscere e
possedere, quella in cui tutte le donne vorrebbero identificarsi.
Così i versi chiari con cui il poeta - alla maniera di Caproni per lei voglio rime chiare – decide di cantare il suo amore per Matera, si fanno a volte dialogo: «Io sono la pioggia che adesso cade solenne e persistente,/sono l’amore che sostiene le fondamenta del tuo cuore, della tua città di sassi, della cancellazione dei gridi./ Io sono Matera che ti ama. O sei tu Matera dalle calde mani? Tu la donna che mi ha partorito,/la bambina che cercavo quando cieco per lo Jonio/mettevo insieme i frammenti della storia d’Ulisse?/Sei Nausicaa o Calipso? Penelope o la tela/che al complice chiaror di mute faci/vegliava il mio ritorno?»; a volte ricerca di identità: «Chi non sente il bisogno,/ogni tanto, di fare ritorno alle radici?»; a volte volto di madre: «Mia madre era una pianta di basilico./ Quando nacqui l’odore invase casa, atterrò nel cortile,/ salì fino al cuore delle stelle.//[…] Anche tu sei una pianta di basilico, sii condimento esclusivo e vino fragrante,/sii la poesia dei Sassi e del rinnovamento,/sii la mia nascita perenne.»; a volte delirio di sensi: «Il tuo passo elegante/anticipa l’orgasmo./Fa delirare/anche le lenzuola.».
Ma, ancora, il poeta mai sazio dell’inebriante vento che avvolge la città e che sente anche da lontano: «Lo so perché il cielo di Roma/è stato invaso dai pappagalli./Hanno saputo che allo specchio/ridico il tuo nome senza sosta.»; furioso contro l’incessante passare del tempo che ruba i migliori attimi; «Vorrei cambiare le regole del mondo/che trovo ingiuste, offensive./Avere ora la bellezza dei vent’anni,/e non le rughe e non l’insulto vivo/dell’invecchiamento che mi deprime,/mi rende amaro, colmo d’ombre.»; incapace di stancarsi di lei e di staccarsene: «Che fai? Dove sei?/Che pensi? Che sogni?/Sono sempre con te?/Sono nelle tue necessità?/Non chiudermi/in umide stanze oscure.//T’amo, sai t’amo come il verde/c’è memoria di attese […] T’amo./ Tu sei la pietra, io il muschio/che nasce sulle tegole dei Sassi. Mi s’è attaccato al cuore.»; riversa il senso di tutto questo amore risolvendolo nella poesia che canta il suo stesso canto, nei suoi stessi luoghi: «Ero un randagio/senza tane in cui dormire,/evitavo gli orti coltivati/e non mi fermavo ai semafori.//Ma/dopo il terremoto /il tuo cuore è la mia tana,/e la tua bocca/il senso della poesia/che mi rincorre/per le valli della Lucania.»
Maffia, infine, consegna questo lavoro nelle mani dei cittadini del mondo, e non solo di quelli di Matera, in quanto sa bene che, nell’imminente 2019, sarà lei la capitale europea della cultura, e lo fa pregustando già il clima festoso che l’universo in toto regalerà alla città e ai suoi abitanti, nella sacralità quasi eucaristica del dono: «Le nuvole si sono riunite/per una festa./Le più piccole battono le mani. […] Di lato gridano le farneticanti/aspettando la regina.//Mi distraggo, non seguo la scia/del movimento./poi la sorpresa:/tu la regina delle nuvole vaganti,/Matera, dove il pane è più dell’ostia.»; lo fa senza dimenticare la necessità di essere riconoscente al destino che ha permesso quest’incontro e quest’amore perché, come dice Borges: «il più grande peccato/che un uomo può commettere/è non essere felice, non accorgersi/di possedere la donna più bella. Il Fato//non perdona chi no ha consapevolezza/d’essere entrato nell’essenza dei profumi,/nella facondia del sogno, nel fiume/della bellezza.».
Un’ultima parola meritano le fotografie di Elio Scarciglia che promuovono gli incantevoli panorami, i significativi particolari scenici e coreografici della città, attraverso scatti di rara intensità e intuizione. Lungi dall’essere un completamento dei testi, queste immagini accompagnano, casomai, il fruitore in un percorso parallelo, fatto di altrettante emozioni e completano il percorso, tanto immaginifico quanto reale dentro Matera che assurge direttamente, grazie ai contributi di questi grandi comunicatori, al nuovo Parnaso quale dea protettrice di una cultura alta e necessaria, priva d’inutili orpelli e fonte di rinnovati valori di bellezza.
Per la biografia dell’autore si rimanda ai siti:
e
e alla pagina facebook:
Bologna, 7 gennaio 2017
Cinzia Demi
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