di Teresa Armenti
C’era una tartarughina che si chiamava Celestina, perché la sua corazza, cioè il carapace, aveva il colore del cielo e le piastre terminali del guscio avevano la forma di tante stelline gialle. Quando camminava si dondolava tutta, perché aveva una zampetta più corta delle altre. Era appena uscita dalla buca dove aveva trascorso il suo periodo di letargo, aveva messo fuori i suoi occhietti neri con il suo musino e si guardava intorno. Le altre tartarughe erano in cerchio, bisbigliavano tra loro e la guardavano di traverso. Piano piano Celestina si avvicinò, ma quelle, appena la videro, si allontanarono, perché era diversa da loro. Celestina si ritirò nella sua casetta e si mise a piangere. Le lacrime scivolavano sul terreno e bagnavano i fiorellini, che si sollevavano al suo passaggio. Un giorno le tartarughe la fecero proprio grossa. Andarono ad una festa e lasciarono Celestina sola in un cantuccio. La tartarughina decise allora di lasciare quell’ambiente e di andare in giro per il mondo. Cacciò fuori la testina e si mise in cammino. La vide un passerottino che se ne stava tutto solo su un albero; scese e le si avvicinò. – Perché te ne vai da questo posto? Lo sai che ci sono tanti pericoli in agguato?
- Nessuno qui mi vuole bene. Io sto andando via.
- Allora, permetti che ti accompagni? Io mi metto sul tuo dorso, così esploro l’ambiente e ti evito i pericoli.
- Va bene – rispose Celestina.
Si misero in viaggio ed attraversarono il bosco. Durante il cammino Celestina si fermava per nutrirsi di germogli e di foglie verdi. Cip e Ciap - così si chiamava il passerottino - era pronto a beccare vermi e semini e andava in esplorazione. Evitarono l’assalto di alcuni topi e le zampate di un cinghiale. Giunti al limitare del bosco, si fermarono, impauriti, sul ciglio della strada. Tante macchine passavano facendo un rumore tremendo. Ad un tratto da una macchina un bambino, che si chiamava Umbertino, vispo e vivace, aveva subito notato una cosa strana e chiese gentilmente al papà e alla mamma di fermarsi. Scese e si diresse, cauto, verso di loro. L’uccellino subito si posò su un ramo. Il bimbo si piegò sulla tartarughina, la prese con delicatezza tra le mani e l’accarezzò con tanta tenerezza. Celestina non aveva mai ricevuto carezze, si emozionò e mise fuori il capo, sollevandolo verso il bimbo. Aveva capito che quel bambino gli voleva bene. A modo loro si capirono. Umbertino salì in macchina con la tartarughina in braccio e pregò i suoi genitori di portarla nella campagna del nonno, per metterla a proprio agio nell’orto. Lì avrebbe potuto mangiare di tutto. L’uccellino non la perse di vista, ma volò sull’auto e, arrivato nell’orto, si posò sul ramo di un albero. Celestina salutò, leccando le sue mani, Umbertino, che le promise di farle visita il giorno dopo. La mattina seguente il piccolo si recò di corsa in campagna, mise Celestina in uno scatolo di cartone preparato apposta per lei e la portò a scuola. Tutti i bambini si fermarono a guardarla e quando la maestra entrò in classe, fu sorpresa da quel silenzio insolito. Si avvicinò e notò la tartarughina che passava da una mano all’altra tutta felice delle carezze. I bambini la diedero con delicatezza alla maestra e la pregarono di fare rimanere in classe il piccolo ospite. La maestra acconsentì a patto che tutti dovevano seguire la lezione che trattava appunto delle tartarughe. Celestina venne messa sulla cattedra ed ascoltò con attenzione la favola della tartaruga che aveva sul carapace una vela gonfiata dal vento, accompagnata dal motto latino “Festina lente”, cioè affrettati lentamente.
La maestra approfittò della presenza di Celestina per tenere una lezione sui comportamenti che dovevano assumere i suoi ragazzi, osservando la tartaruga. La tartaruga, con la sua andatura lenta, li avvertiva di non fare le cose troppo in fretta e che era molto meglio attendere il momento giusto per agire. Bisognava stare, inoltre, sempre con i piedi per terra e che a volte occorreva ritirarsi in se stessi, per riflettere. Raccomandò ad Umbertino, se voleva tenersi in casa Celestina, di procurarsi un documento di accompagnamento chiamato CITES, perché è una specie protetta dalle leggi italiane e dalla Convenzione di Washington per la tutela del commercio internazionale. Umbertino ringraziò la maestra e Cip-Ciap, che era sull’orlo della finestra, fece un gorgheggio festoso.
Castelsaraceno 05/01/2013
C’era una tartarughina che si chiamava Celestina, perché la sua corazza, cioè il carapace, aveva il colore del cielo e le piastre terminali del guscio avevano la forma di tante stelline gialle. Quando camminava si dondolava tutta, perché aveva una zampetta più corta delle altre. Era appena uscita dalla buca dove aveva trascorso il suo periodo di letargo, aveva messo fuori i suoi occhietti neri con il suo musino e si guardava intorno. Le altre tartarughe erano in cerchio, bisbigliavano tra loro e la guardavano di traverso. Piano piano Celestina si avvicinò, ma quelle, appena la videro, si allontanarono, perché era diversa da loro. Celestina si ritirò nella sua casetta e si mise a piangere. Le lacrime scivolavano sul terreno e bagnavano i fiorellini, che si sollevavano al suo passaggio. Un giorno le tartarughe la fecero proprio grossa. Andarono ad una festa e lasciarono Celestina sola in un cantuccio. La tartarughina decise allora di lasciare quell’ambiente e di andare in giro per il mondo. Cacciò fuori la testina e si mise in cammino. La vide un passerottino che se ne stava tutto solo su un albero; scese e le si avvicinò. – Perché te ne vai da questo posto? Lo sai che ci sono tanti pericoli in agguato?
- Nessuno qui mi vuole bene. Io sto andando via.
- Allora, permetti che ti accompagni? Io mi metto sul tuo dorso, così esploro l’ambiente e ti evito i pericoli.
- Va bene – rispose Celestina.
Si misero in viaggio ed attraversarono il bosco. Durante il cammino Celestina si fermava per nutrirsi di germogli e di foglie verdi. Cip e Ciap - così si chiamava il passerottino - era pronto a beccare vermi e semini e andava in esplorazione. Evitarono l’assalto di alcuni topi e le zampate di un cinghiale. Giunti al limitare del bosco, si fermarono, impauriti, sul ciglio della strada. Tante macchine passavano facendo un rumore tremendo. Ad un tratto da una macchina un bambino, che si chiamava Umbertino, vispo e vivace, aveva subito notato una cosa strana e chiese gentilmente al papà e alla mamma di fermarsi. Scese e si diresse, cauto, verso di loro. L’uccellino subito si posò su un ramo. Il bimbo si piegò sulla tartarughina, la prese con delicatezza tra le mani e l’accarezzò con tanta tenerezza. Celestina non aveva mai ricevuto carezze, si emozionò e mise fuori il capo, sollevandolo verso il bimbo. Aveva capito che quel bambino gli voleva bene. A modo loro si capirono. Umbertino salì in macchina con la tartarughina in braccio e pregò i suoi genitori di portarla nella campagna del nonno, per metterla a proprio agio nell’orto. Lì avrebbe potuto mangiare di tutto. L’uccellino non la perse di vista, ma volò sull’auto e, arrivato nell’orto, si posò sul ramo di un albero. Celestina salutò, leccando le sue mani, Umbertino, che le promise di farle visita il giorno dopo. La mattina seguente il piccolo si recò di corsa in campagna, mise Celestina in uno scatolo di cartone preparato apposta per lei e la portò a scuola. Tutti i bambini si fermarono a guardarla e quando la maestra entrò in classe, fu sorpresa da quel silenzio insolito. Si avvicinò e notò la tartarughina che passava da una mano all’altra tutta felice delle carezze. I bambini la diedero con delicatezza alla maestra e la pregarono di fare rimanere in classe il piccolo ospite. La maestra acconsentì a patto che tutti dovevano seguire la lezione che trattava appunto delle tartarughe. Celestina venne messa sulla cattedra ed ascoltò con attenzione la favola della tartaruga che aveva sul carapace una vela gonfiata dal vento, accompagnata dal motto latino “Festina lente”, cioè affrettati lentamente.
La maestra approfittò della presenza di Celestina per tenere una lezione sui comportamenti che dovevano assumere i suoi ragazzi, osservando la tartaruga. La tartaruga, con la sua andatura lenta, li avvertiva di non fare le cose troppo in fretta e che era molto meglio attendere il momento giusto per agire. Bisognava stare, inoltre, sempre con i piedi per terra e che a volte occorreva ritirarsi in se stessi, per riflettere. Raccomandò ad Umbertino, se voleva tenersi in casa Celestina, di procurarsi un documento di accompagnamento chiamato CITES, perché è una specie protetta dalle leggi italiane e dalla Convenzione di Washington per la tutela del commercio internazionale. Umbertino ringraziò la maestra e Cip-Ciap, che era sull’orlo della finestra, fece un gorgheggio festoso.
Castelsaraceno 05/01/2013
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