Il territorio dell’Alta Val Lemme, in provincia di Alessandria, è contraddistinto dalla presenza di numerosi castelli che rappresentano uno dei segni più evidenti del dominio genovese nel basso Piemonte.
Il trascorrere del tempo ha segnato duramente queste strutture cadute sovente in rovina o, nei casi migliori, divenute proprietà private.
Dedicare una giornata alla riscoperta di queste fortificazioni costituisce tuttavia un’occasione unica per ammirare queste grandi opere difensive (realizzate dagli abitanti della valle e successivamente sfruttate dalla Superba) e godere di suggestivi scorci.
Il trascorrere del tempo ha segnato duramente queste strutture cadute sovente in rovina o, nei casi migliori, divenute proprietà private.
Dedicare una giornata alla riscoperta di queste fortificazioni costituisce tuttavia un’occasione unica per ammirare queste grandi opere difensive (realizzate dagli abitanti della valle e successivamente sfruttate dalla Superba) e godere di suggestivi scorci.
La partenza di questo viaggio nei tesori meno noti della Val Lemme è Fraconalto.
Il suo castello occupava infatti un ruolo centrale nel sistema di sorveglianza della via che metteva in comunicazione l’Oltregiogo con la riviera: benché del complesso oggi siano visibili poche tracce, sappiamo che fu potenziato da Genova nel 1161 e che fu costantemente oggetto di particolari attenzioni da parte della Repubblica ligure.
Lasciato Fraconalto, il percorso prosegue verso Voltaggio, centro abitato ancora oggi profondamente legato alla Liguria e in passato avamposto di grande importanza per Genova in territorio piemontese. Situato in una posizione strategica (e raggiungibile oggi mediante un ripido sentiero che parte dalla piazza antistante la chiesa parrocchiale), il suo castello garantiva la possibilità di vigilare sulle vie di comunicazione ed arginare l’avanzata di eserciti nemici.
È probabilmente intono alla seconda metà del XII secolo che sulla rocca a strapiombo sul fiume Lemme i marchesi di Gavi costruirono un castello da dove poter sorvegliare l’avanzata dei soldati genovesi e, contemporaneamente, poter derubare i mercanti liguri.
Nel 1197, in tutta risposta, Genova distrusse il castello che tuttavia ebbe cura di ricostruire nella stessa posizione quando, pochi anni dopo, si impadronì del feudo di Carrosio.
La fine di questa fortificazione risale al termine del XIV secolo quando, in seguito ad una serie di tumulti, la Repubblica genovese decise di intervenire reprimendo con la forza il dissenso popolare e distruggendo la piccola fortezza che in seguito non fu più ricostruita.
Dell’antica struttura sopravvivono una parte delle mura e una torretta di avvistamento, tuttora ben visibili dal fiume, mentre ormai non sono più accessibili i passaggi segreti che mettevano in contatto il palazzo del feudatario con il castello e quest’ultimo con la riva del fiume sottostante.
Lasciamo ora Carrosio e dirigiamoci verso Gavi, noto per la sua imponente fortezza, dove si concluse questo viaggio nel Basso Piemonte.
Lungo la strada occorre segnalare la presenza della tenuta La Centuriona che deve il suo nome al potente banchiere genovese Adamo Centurione.
In realtà, nonostante l’apparenza fortificata e la torre con cammino di ronda, non si tratta di una fortezza militare bensì di una residenza privata che il suo nobile proprietario decise perfino di dotare di una neviera per custodire il ghiaccio.
Pur discostandosi dai complessi citati in precedenza, questo palazzo (di proprietà privata e al centro di una riserva di caccia) merita ugualmente un sosta: chiunque lo abbia visto in estate, incorniciato dai campi dorati di grano maturo, non esiterà infatti ad inserirlo tra i tesori dell’Alta Val Lemme che meritano di essere conosciuti e valorizzati.
La storia del Forte di Gavi è caratterizzata dai numerosi passaggi di proprietà e di utilizzo che hanno mutato in modo significativo l’aspetto e la struttura di questa antica ed imponente fortezza.
Le prime notizie certe, se si esclude la leggendaria fondazione da parte di una principessa, risalgono al XII secolo quando il marchese Alberto Obertenghi cedette una torre del preesistente castello di Gavi a Federico Barbarossa.
Passato in seguito dal marchesato di Gavi alla Repubblica genovese, la roccaforte fu a lungo al centro delle lotte tra Genova, Tortona ed Alessandria divenendo successivamente di proprietà dei Visconti di Milano.
Nel 1359 Gavi e il castello passarono nuovamente sotto il controllo genovese a cui, dopo una seconda fase di dominazione dei Visconti e un periodo di controllo da parte dei Fregoso e dei conti Guasco di Alessandria, ritornarono nuovamente nel 1528.
Dopo un primo intervento di ampliamento (progettato da Giovanni Maria Olgiati nel 1540) la Repubblica di Genova, privata momentaneamente del controllo della struttura in seguito all’assedio dell’esercito franco-piemontese, decise di ampliare il castello e trasformarlo in fortezza affidando il progetto a Padre Vincenzo da Fiorenzuola con la collaborazione di Sebastiano Ponsello e Bartolomeo Bianco.
I lavori iniziarono nel 1625 e terminarono nel 1629: il nuovo forte, costato complessivamente tra le 200 e le 256 mila lire, triplica gli spazi disponibili rispetto al precedente castello e moltiplica il numero di bastioni che, sviluppati a raggiera intorno alla centrale Torre del Maschio, passano da due a sei; le cortine e i bastioni, ad eccezione di quello “della Mezzaluna”, furono inoltre associati ai nomi di alcuni santi, tra i quali spiccano i patroni di Genova San Bernardo, San Giovanni Battista, San Lorenzo e San Giorgio.
Nel 1718 Giovan Pietro Morettini, colonnello e primo ingegnere delle Fortificazioni di Genova, rinforzò ulteriormente il forte intervenendo sulle mura esterne dei baluardi, progettando la nuova polveriera e il corpo di alloggiamento per i soldati e, infine, realizzando l’assetto definitivo della Ridotta di Monte Moro (presidio edificato a difesa della strada di accesso e oggi utilizzato a fini abitativi).
Sotto il controllo austriaco dal 1746 al 1748, il forte passò successivamente in mano francese entrando quindi a far parte dei possedimenti del Regno di Sardegna.
Dal 1848 al 1891 venne adibito a stabilimento penale e dal 1891 al 1907 fu utilizzato come carcere mandamentale.
Dichiarato monumento nazionale nel 1908, vide imprigionati nei suoi ambienti i soldati austriaci e i disertori italiani (nel 1915), gli ufficiali inglesi (dal 1941 al 1943) e, infine, i badogliani imprigionati dai tedeschi (nel 1944).
Dato in consegna, nel 1923, al Consorzio Cooperativo per sperimentare vigneti sugli spalti terrosi, attualmente è gestito dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Novara, Alessandria e Verbano-Cusio-Ossola.
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