Viaggi al fondo della notte
(La migranza, l’erranza, la viandanza) di Mariastella Eisenberg.
Dopo Madri
Vestite di Sole, ecco un altro lavoro di Mariastella Eisenberg: Viaggi
al fondo della notte, recentemente uscito per le Edizioni Oèdipus di
Salerno. Un lavoro quanto mai attuale, con una tematica quanto mai intersecata
nel quotidiano delle nostre vite, se pure non inusuale ma, presente da sempre
nella storia dell’uomo, e certo, proprio per questo, ritengo che affrontarla
con parole nuove, con immagini nuove, cercandone significati e possibili
reinterpretazioni, non possa essere stato un lavoro facile per l’autrice. Non
che questo fosse strettamente necessario: tanta è la vastità della geografia
narrativa e poetica su cui è esteso l’argomento, che risulta impossibile non
trovarne tracce anche nell’opera di Mariastella Eisemberg che, con riflessi
incisivi, a volte immediati, – certo consapevoli più che incondizionati – è
capace di portare il suo contributo che, infine, vedremo approda ad una cifra
peculiare alla sua poetica, riconducendo l’essenza del tema alla sua dimensione
originaria, dando vita ad un resoconto a mezza via fra il canto epico e la
filastrocca bambina che tutto tiene e contiene, che sa parlare al cuore dei
più. Andando con ordine, l’analisi del libro non può non
partire dal confronto con alcuni poeti che hanno dato vita a percorsi analoghi,
vuoi per coinvolgimento personale – essendo essi stessi, in fondo, dei
migranti, dei viandanti, degli erranti – vuoi per desiderio di narrazione, vuoi
– come nel caso di Pasolini – per lungimiranza profetica. Così, pensando a un autore la cui consonanza stilistica
– in specie per la brevità del verso – mi riporta spesso alla poesia di Mariastella Eisenberg, e parlo di Giuseppe Ungaretti, vediamo come questi si è
addentrato nell’argomento, specie con alcuni suoi testi tra i quali, ad
esempio, possiamo citare Girovago, In memoria, I Fiumi con la stesura dei quali – a pieno titolo – anch’egli può
essere fatto rientrare in quella schiera di poeti
della migrazione che hanno, davvero, acquisito la consapevolezza dalla
frattura creatasi per la perdita di identità, dopo l’allontanamento dalla
propria terra natale e lo stanziamento in altre terre, magari completamente
diverse dalle proprie, frattura che può anche essersi conclusa con i toni
drammatici della morte, come avvenne per un suo amico di origine egiziana
Mohammed Sceab a Parigi. Così Ungaretti viaggia nella sua condizione
esistenziale, quella del poeta, che non trova riferimenti, appigli, stabilità,
che è in cerca di un paese innocente,
un paese che possa dargli la felicità che non riesce a trovare; racconta la
vicenda dell’amico del quale spera, attraverso la poesia di poter sublimare in
qualche modo la fine, assurgendola a destino del poeta stesso, in cerca dei
valori di appartenenza, e proponendola con i toni che assumono i versi, quelli
di un lento lamento funebre. Anche ne I
Fiumi, il cui titolo accennavamo sopra, ritorna questo forte pensiero
autobiografico di poeta, dove la migrazione prende le forme dell’esperienza
distaccante, identitaria, di perdita e ossimoricamente di ricerca, realizzabile
anche attraverso le diverse lingue che devono essere frequentate per
comunicare, in cui rientra anche quella della poesia.
Ora, se Ungaretti può essere visto come un autore che
getta ponti linguistici tra le sue identità, in quanto usa la lingua italiana
per scrivere, una lingua originariamente non sua, una lingua che diventa
portatrice di messaggi che oltrepassano le frontiere, è anche vero che,
comunque, altri autori di lingua italiana hanno portato la loro esperienza o il
loro contributo al tema senza esserne direttamente coinvolti, magari solo come
osservatori o come cronisti di avvenimenti che hanno anche solo sfiorato la
loro vita. Penso a Edmondo De Amicis e a Dino Campana che, entrambi in qualità
di partecipanti ad un viaggio reale, diventano testimoni dell’esperienza degli
emigranti italiani. De Amicis parte dal porto di Genova per raccontare l’esodo
dei migranti verso l’America mentre Campana racconta l’arrivo di questi a
Buenos Aires: il primo dipinge, attraverso i dettagli, la crudezza delle
immagini e la disperazione dei passeggeri della nave alla partenza, al momento
del distacco dagli affetti e dalla propria terra; il secondo con un testo dove
vengono annotate le “impressioni d’arte” (come le definirà lo stesso autore)
resoconta con una poesia intensa e visionaria ma, reale, perché descrittiva di
un momento a cui egli stesso ha partecipato, la rabbia e l’asprezza della
reazione di chi arriva in qualità di migrante verso chi accoglie festante –
migrante già inserito nel contesto - i nuovi arrivati nella nuova terra.
Entrambi gli autori, possiamo dire, che riportano analogie fra le situazioni
dell’immigrazione italiana di fine ‘800 e l’odierna immigrazione di altri
popoli, descrivendone la disperazione, il disagio, la povertà e l’abbrutimento
umano, tanto da trasformarne l’aspetto e le reazioni – è il caso dei testi di
Campana – in animaleschi. Ma l’autore che più ci stupisce, per il suo essere
stato profetico sul tema della migrazione, è senz’altro Pier Paolo Pasolini che
negli anni ’60 già immaginava la venuta di migliaia di uomini in Italia e verso
l’Europa, spinti da un desiderio di riscatto per una vita fatta solo di
privazioni e sofferenza. I migranti di Pasolini, secondo l‘utopica previsione
del poeta, avrebbero dovuto portare lo slancio per una nuova rivoluzione che
avrebbe cambiato il mondo, abbattendo le barriere di povertà e sfruttamento
anche nel sottoproletariato italiano del sud, e spingendo per una rigenerazione,
fondata su uno spirito marxista e cristiano al tempo stesso, che sarebbe
sfociata nel mantenimento di una promessa di gioia.
Certo Alì dagli
occhi azzurri di Pasolini forse assomiglia alle migliaia di Alì che
approdano sulle nostre rive e che portano con sé il sogno di un mondo nuovo, ma non sappiamo se questa previsione
sulla migrazione – previsione, come detto, utopica – sarà capace di
trasformarsi in realtà, tanto da concludersi con la positività espressa dal
poeta.
Simile, molto, alle modalità degli autori chiamati in
causa, anche il racconto della migrazione portato dalla Eisemberg, dunque, si
inserisce nella dimensione della narrazione poetica che, come anticipato,
assume i contorni epici di tutte le “erranze” reali o immaginarie che siano,
racchiuse nella storia dell’uomo, riprese nella notte dei tempi dagli Aedi con
l’intenzione di farne conoscere le imprese dei protagonisti. Da Ulisse a Enea,
da Don Chischiotte a Gulliver pensando ai viaggiatori per antonomasia, ma
soprattutto dagli ebrei ai popoli africani, passando dai nostri connazionali, per
sintetizzare, gli uomini sono sempre stati viandanti e le genti hanno sempre
migrato, e mai è stato facile, mai gratuito, mai senza dolore a vario titolo. E,
Mariastella, fa in modo di farcelo sentire tutto questo dolore, dal Prologo
all’Epilogo del suo libro, passando per il Canto delle Speranze e per tutti
quei momenti, dove la lunga/tormentata storia d’amore/fra Africa e Europa
assume le sembianze di un perpetuo luogo di morte, il Mare nostrum dei
clandestini di memoria. Dalla raccolta
dei gigli del mare su una strada fatta solo di mare alle leggende di morte
neniate da una vecchia donna, dai deserti che fioriscono alle collane di gocce
d’acqua, dai cieli che stellano alla nebbia cruda di un mare che schiaffeggia,
la transumanza si consuma nel destino dei suoi attori, sul proscenio dei
barconi, dove. necessario diventa un grido di preghiera che invoca qualcuno,
qualcuno purché sia, purché risponda. Questo lo strazio della visione, il
liminare dal quale è difficile tornare indietro, che è ancora peggio
attraversare. Riuscirà la poesia con la sua forza visionaria, con la sua parola
salvifica – a tratti – a essere lanterna dei Viaggi al fondo della notte? Qual è il tono giusto per diventare
luce rivelatrice e provare a istillare il mutuo soccorso che nasce dalla
com-passione? L’autrice ci prova col linguaggio che potremmo definire
“rodariano” - di Gianni Rodari - con l’azzardo della filastrocca, della nenia,
dalla canzoncina bambina, del verso breve e ritmato che ricorda ancora le gocce
cadenti, il sussulto del mare. L’epilogo è già una favola da suggerire ai bimbi
e agli adulti per chi è uguale e diverso, per chi conosce e chi cerca, per chi
vorrebbe trovare e aiutare e ritornare all’inizio del libro dove la
moltiplicazione delle speranze, uno, due, tre…
che diventano speranze che levano il loro canto alla terra promessa, non
vengano a mancare, ma trovino il loro porto sicuro.
Mariastella Eisenberg è nata a Napoli da padre, medico rumeno
laureato a Montpellier e fuggito in Italia a causa delle leggi razziali, e da
una giovane pianista napoletana; ha studiato al Liceo Genovesi, si è poi
laureata in Lettere moderne e si è specializzata in Storia dell’Arte; dopo aver
insegnato nei Licei Scientifici e Classici Italiano e Latino, è diventata
Preside nelle scuole superiori, impegnandosi con fervore in numerosi Istituti
della provincia di Napoli e di Caserta, nonché a Caserta stessa. Fin da ragazza
ha coltivato la passione per la scrittura, ed è stata premiata in alcuni
concorsi di poesia di livello nazionale; ha poi pubblicato testi
scolastici, ad esempio un’edizione per i licei dei Promessi Sposi, e ha tenuto
numerose lezioni in convegni e in corsi di aggiornamento, in particolare sulla
letteratura italiana e sul tema della disabilità e dell’inserimento dei
diversamente abili nei curricula scolastici. Dal 2004 ha deciso di dedicarsi
completamente alla scrittura e all’impegno sociale e civile per il quale ha
fondato e coordinato un gruppo di lettura presso il carcere di Lauro su
incarico della Fondazione Premio Napoli; ha svolto numerosi incarichi in
associazioni di livello nazionale, quali l’A.N.F., e locale, quali il CLABARC;
ha tenuto una rubrica settimanale sulla diversabilità sulla rivista Il Caffè;
si è impegnata in interventi a favore delle donne violentate e abusate con
l’associazione casertana Spazio Donna. Collabora con diverse riviste, quali
SUD, di cui è anche componente del Comitato di Redazione; nonché con Fresco di
stampa. Ha pubblicato: Perché ancora i Promessi Sposi, Marimar - Napoli, 1989; Sara,
Guida - Napoli, 2005; Andare oltre, Sud n.11 Lavieri - Caserta, 2008; Negozio,
Sud n.13 Lavieri - Caserta, 2008; Carovita, Lettere arti scienze - Caserta,
2009; Nelle città come Napoli, Narrazioni periodico di cultura, 2009; Chiedi
alle mani, Sovera - Roma, 2009; Alfabetando, L’Aperia - Caserta, 2011; Cantico
nella parola svelata, Compagnia dei Trovatori - Napoli, 2013; Madri vestite di
sole, Interlinea Edizioni, - Novara, 2013; Viaggi al fondo della notte, Oèdipus Edizioni, - Salerno, 2015.
Bologna, 7 dicembre 2015
Cinzia Demi
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