I due volti della Medusa,
romanzo di Angela Falcucci.
(edizioni leparole 2014)
“Medusa
è il mito che si nasconde in una donna, che vive la dimensione della rinascita
attraverso la riappropriazione della propria identità. Il percorso accidentato
che passa dalla perdita di certezze, dallo spezzarsi improvviso di una vita
tranquilla, costringe la protagonista a confrontarsi con l’altra parte di se
stessa, che ritrova incredibilmente nell’uomo che incontra. Il riemergere di
desideri e pulsioni di una lontana giovinezza, accantonati per far posto a
comportamenti attesi, da chi fa parte della sua vita, sarà l’origine di nuovi
impeti vitali, infine accettati e vissuti con una piena consapevolezza dalla
protagonista.”
Angela
Falcucci vive a Tortoreto degli Abruzzi, in provincia di Teramo, ed è nata a
Roma dove è vissuta fino a 22 anni. Dopo la laurea in Farmacia ha insegnato
materie scientifiche nella scuola media. Con il Comune di Tortoreto e
l’associazione Insieme è stata ideatrice e promotrice del Premio Tortoreto alla
Cultura, giunto quest’anno alla decima edizione.
Ha
fatto parte, fin dalla sua fondazione, del Laboratorio di Parole del Circolo La
Fattoria di Bologna. Collabora alla rivista bimestrale “Parole”,
(wwwcircolofattoria.it) con rubriche di poesia.
Ha pubblicato “La luna
rubata”( ed. del Giano, 2006).
Alcune
sue poesie sono pubblicate sulle antologie Esperienze
di poesia (ed. Pendragon, 2005), Vent’anni
di poesia a Bologna(ed. Leparole, 2012).
Conosco
Angela Falcucci da tantissimi anni. Ho sempre apprezzato il suo modo di fare
poesia e adesso la scopro anche un’ottima narratrice. Abbiamo vissuto insieme
tanti momenti e partecipato a eventi artistici sia a Bologna che a Tortoreto,
nella sua bellissima casa-castello a due passi dalla passeggiata tra i palmeti
sul Lido del paese. Lei, e gli altri soci della sua associazione “Insieme”,
sono tutte persone molto ospitali e amanti dell’arte e del bello, circostanza
che ha permesso scambi culturali a vario livello. Questa prova in prosa della
Falcucci è perfettamente riuscita e speriamo di poter leggere presto altri
romanzi usciti dalla sua mano.
Non
è facile scrivere narrativa oggi. O meglio sembra facilissimo in quanto, di
brutte pubblicazioni ce ne sono a centinaia e ognuno che scrive un testo, per
il solo fatto di venire pubblicato, spesso si ritiene un “autore”. Dunque ben vengano lavori di scrittori, magari
meno noti o editi da piccole case editrici, che rivelano invece qualcosa di
particolarmente efficace, che nascondono piccole perle da incastonare nelle
proprie librerie.
E’,
questo romanzo di Angela Falcucci, un realistico racconto che, inserito nel
contesto di fine anni ’90 del Novecento, anni dove le metamorfosi spazio-temporali
storiche e culturali si fanno sentire parecchio anche sulla pelle degli stessi
protagonisti della vicenda, induce a riflettere sull’imprevedibilità del
destino di ognuno, sull’incombere degli imprevisti nella quotidianità più
lineare, sulla capacità di trasformazione insita nell’animo umano che, se
rafforzata da un’intelligente intuizione può portare a variare la propria
visione del mondo, e può aiutare a superare anche i momenti più bui donando
nuova linfa vitale al cammino intrapreso. Cambiare il proprio punto di vista,
non lasciarsi sopraffare dagli eventi o dalle delusioni, raccogliere ciò che di
bello e positivo la vita può donare, saper ascoltare qualcuno che arriva
all’improvviso a tenderti la sua mano per salvarti, saper scegliere tra le
tante possibilità che tornano a presentarsi, rinascere a vita nuova: questa la
sintesi del percorso della protagonista, Carla, ironicamente ribattezzata
Medusa, che saprà affrontare - grazie all’aiuto di un uomo con il quale avrà
uno stupendo e particolarissimo rapporto epistolare – ciò che le viene riservato, e che non avrebbe mai immaginato le succedesse, con soluzioni altrettanto
impreviste e imprevedibili rispetto all’andamento della storia.
Sulla
trama non dico altro, per non svelare troppo gli intrecci e lasciare ai lettori
il gusto di immergersi nelle pagine del romanzo, scoprendo da soli i passaggi
dolorosi o ironici della narrazione. Vorrei, però, sottolineare come l’autrice
ci presenta la protagonista della storia ed evidenziare come spesso alcuni
passaggi del libro vengono sottolineati da una poesia, essendo la Falcucci
anche una brava poetessa.
Come
accennato sopra, Carla si trova, a un certo punto della sua esistenza, che è
il momento in cui inizia il libro
stesso, di fronte a un taglio radicale della sua quotidianità, e così l’autrice
ce la propone: «[…] Stanotte ho brindato
da sola. L’uomo che amavo è morto.
Leggo, dipingo, scrivo, alle volte piango. Lo specchio mi rimanda un volto
impassibile, Carla non c’è più, Medusa mi ha trasformato in pietra. Era
proprio lei? Quel viso stanco dal sorriso tirato, e quei capelli serpentelli un
tempo così pericolosi e guizzanti, ridotti a viscide bisce di palude. Neppure
una tempesta magnetica avrebbe potuto rianimare quel mortorio. Medusa si tolse
la parrucca e la ripose dentro un baule in solaio. L’avrebbero trovata un
giorno le sue nipotine e, se per gioco l’avessero indossata, il mito sarebbe
tornato a vivere.». E’ al mito di Medusa, dunque, che la Falcucci si rifà per
descrivere la donna che condurrà la
storia (come si desume anche nel titolo). Medusa, del resto, è uno di quei miti
che ha
determinato la sensibilità moderna. Nel volto di Medusa il romanticismo, ad
esempio, - come dice Mario Praz ne La carne, la morte e il diavolo nella
letteratura romantica (1930) - riconosce quel misto di crudeltà e bellezza,
di sofferenza e fascinazione decadente che segna in parte anche la sensibilità
otto-novecentesca. Da Shelley a Baudelaire Medusa viene eletta a simbolo di un'insana,
e perciò decadente, miscellanea di bellezza e morte, di sessualità e crudeltà. In
fondo che cosa rivela il volto di Medusa a chi la guarda e ne rimane
pietrificato? Se ci pensiamo bene – e questo pare il senso dato anche dalla
nostra autrice – viene in pratica rivelato il proprio io come nel riflesso di uno specchio, ovvero la
verità della propria immagine riflessa. La terribile maschera chiede di essere
guardata, provoca fascinazione, diventa un rimando da cui è impossibile
staccarsi, provoca uno spossessamento della propria personalità per diventar
preda della sua divinità. Il risultato che ne scaturisce è quasi un incontro
con l’Altrove, dove lo specchio riflette colui che guardandosi diviene altro da
sé, qualcosa di misterioso, come l’ombra, il proprio doppio. Ed è sempre attraverso
lo specchio che, al tempo stesso, ci si riconosce, si ci si ritrova, purché ci
si divida, ci si distanzi da sé; si appaia a se stessi come esterni, estranei,
altri. La storia di Carla-Medusa inizia proprio così. Con un disconoscimento
che è anche un riconoscimento di se stessa davanti a uno specchio. Il romanzo
segna il percorso della protagonista verso la ricerca della propria identità
che la porterà a compiere delle scelte, all’inizio minime poi sempre più
incisive e determinanti, per ritrovarsi. In questa dimensione di ricerca/ritrovamento
si può quindi pensare la chiave di lettura che fa assurgere il lavoro a romanzo
corale di tutte quelle donne che hanno avuto il coraggio di affrontare scelte,
seguire cammini che le hanno portate a ritrovarsi. Nulla di scontato però,
nulla di regalato segna le tappe del viaggio interiore. Solo una grande forza
di volontà – che è la forza narrativa del romanzo stesso – arricchita da mille
sfaccettature umane (il rapporto con l’amica morente, con la vecchietta
dell’ospizio, con la madre, e soprattutto con Salva – dai cento eteronimi) che
rendono lo scritto credibile, vero e godibilissimo anche da un punto di vista
stilistico dove l’alternarsi di pensieri, ricordi, presente e previsioni fanno
di questo romanzo di Angela Falcucci un esemplare dipinto di un’epoca vicinissima
e attualissima, da godersi in una lettura che sa trasmettere il senso stesso
dell’esistenza.
A completamento di questa breve recensione
riporto alcune poesie tratte dal libro che, come accennavo sopra, segnano
alcuni passaggi:
Rondò
E’ notte. La laguna
si veste di brumose
nebbia, e vaporose
danzan le idee. Nessuna
nel sonno ne afferrai:
svaniscono. Leggere
non si fermano mai
un attimo. A schiere
infilano la cruna
dei sogni e silenziose
frusciano, qual graziose
ondine a una a una
nella cheta laguna.
*****
5 ottobre 1999
Verso le tre se n’è andata
Giunta è la notte, vieni, attraversiamo…
… proprio quel tuo sospiro mi ha destato
una pallida luce trapelava dai sogni
e l’orma del tuo volto sul cuscino
scomposto
era come una strada di petali
gualciti
dopo la processione dell’Assunta
di
ritorno dal mare
Ad ascoltar meglio sembrava
che quel respiro un po’ roco
si frantumasse
piano
come in un abbandono
di bimbo
o
di anziano colmo d’anni e ricordi
Poi ci fu come un fremito
e la tua mano
fu colma di silenzio.
*****
Lacrime di cera
Nella sera che avanza
Si avvera, così
La
tua speranza
Signora, in Te abbandono
La mia preghiera
Bologna, 4 aprile 2015
Cinzia
Demi
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