martedì 18 novembre 2014

Un elettronico epistolario

Mariacristina Robertini, Un anno di e-mail, De Ferrari Editore, Genova, 2014, pp. 70, euro 12,00

recensione di Marco Furia
 
http://www.editorialetipografica.com/sc.asp?ID=2503
 
Un anno di e-mail, articolato ed elegante libretto dell’esordiente Mariacristina Robertini, è una raccolta di lettere elettroniche scritte e ricevute da un personaggio immaginario che con l’autrice sembra avere molto in comune.
Timore di esporsi in prima persona?
Desiderio di ampia libertà compositiva?
Volontà di mischiare realtà e fantasia?
Difficile rispondere ai suddetti quesiti (e ad altri che si potrebbero formulare).
Quel che si nota è una sorta di commistione di personalità che si richiamano non come immagini riflesse l’una nell’altra in maniera fredda e ripetitiva, bensì come vivide valenze affettive che nel distacco della finzione letteraria trovano alimento per parole ulteriori.
Il volumetto conta settanta pagine ma molte altre e-mail potrebbero essere aggiunte.
Il tono è piano, le pronunce sono immediatamente comprensibili: nondimeno, in questa chiara spontaneità è annidato un enigmatico quid che rimanda alla vita nella sua essenza.
La quotidianità non è ritenuta banale: al contrario, il suo ripetersi illumina uno stare al mondo che si svolge secondo cadenze giornaliere ricche di significato e di affetto.
Questa lettere non sono (o non sono soltanto) confessioni, bensì prese d’atto in cui il dato concreto dice tutto o, comunque, molto.
Le persone, gli oggetti, gli avvenimenti e i luoghi non abbisognano di troppe spiegazioni: il loro mostrarsi è sufficiente.
Un mostrarsi che ricorda il disporre note su un pentagramma allo scopo di comporre ben individuati contrappunti: il mondo di Mriacristina non può essere sostituito da un altro, perché l’io scrivente traccia lo spartito del suo stesso esistere in maniera assidua e precisa.
Il linguaggio della nostra autrice presenta, per via di partecipi successioni di personaggi, oggetti ed episodi, tratti narrativi intensi e calibrati.
Si legge, ad esempio, a pagina 23:

“È quasi sera, il cielo è striato di rosso, questa luce, quest’ora mi fanno venire nostalgia, mi succede sempre, mi viene nostalgia di chi non c’è, del passato. Ma stasera ho un motivo ben più valido per la mia nostalgia: mi manchi!”

E a pagina 67:

“Finché sull’ampio lungomare il vento la fa da padrone si vede una sagoma che, a passo svelto, percorre la lunga striscia di asfalto che separa gli attracchi delle navi dalle basse costruzioni in stile nordico dove trovano posto i ristoranti.”

Siamo al cospetto di descrizioni in cui il dato oggettivo (“il cielo striato di rosso”, “la lunga striscia di asfalto”) entra, per così dire, nella sensibilità di chi scrive (e di chi legge) ponendo in essere immagini nello stesso tempo intime ed esteriori.
Gli aspetti dell’umano esistere sono innumerevoli eppure fanno parte di una fisionomia più ampia nel cui àmbito le linee di confine sono segmentate e, talvolta, quasi inesistenti?
Sì e, forse, proprio quel “quasi” è precipuo carattere del territorio visitato da una scrittura che avverte la precarietà del dualismo soggetto – oggetto e riesce a vivere simile incertezza senza cadere in inutili inquietudini: prendere atto di una circostanza significa compiere il primo passo verso maggiori consapevolezze, ossia verso un più alto livello di equilibrio.
Con fiducia, allora, attendiamo Mariacristina alla prossima prova.

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