lunedì 13 maggio 2013

Stefano Fratoni, anatomopatologo, recensisce Formalina

Caro Gaetano

ho letto Formalina.


Questo è il mio modestissimo commento volto ad esprimere le sensazioni e le riflessioni che il tuo libro mi ha suscitato.
Al di là della poetica rappresentazione del mestiere del patologo (rappresentata con meravigliosa sensibilità nei versi di Montale, nonché quotidianamente alle prese con l'intepretazione pirandelliana della filosofia di Bergson), credo si possa apprezzare dalle pagine del libro, come questo nostro mestiere abbia costituito l'occasione
per far emergere temi e problematiche più grandi di noi e dei nostri vetrini.
Mi ha colpito la figura dell'uomo Ruggero – prima ancora
dell'anatomopatologo – come "Perdente".
Perdente d'innanzi alla lotta incessante per la vita.
Ruggero è un perdente, sì ma un po' vanitoso: non esce alla scoperta del mondo perché convinto che prima o poi, sarà il mondo a bussare alla porta della sua stanza. Mondo le cui ombre saranno  illuminate dalla luce del suo microscopio.
Ma la storia rende Ruggero perdente non solo di fronte alla malattia (d'innanzi alla quale non può nulla), ma nella vita.
Ruggero è solo, vive una fugace parentesi affettiva, ed alla fine solo rimane.
Un uomo abituato a guardare la vita attraverso una "protesi" (la luce prodotta dalla lampadina del suo microscopico), ma che preferisce l'ombra alla luce del sole. Un perdente afflitto dal male di vivere che non lo molla mai.
Non basta un microscopio per illuminare il mondo.
E forse questo libro vuole raccontare proprio questo.
Arriva allora la poesia, strumento che forse concorre (oltre la luce del microscopio!) a farci percepire meglio il mondo nelle sue infinite possibilità.
La poesia forse come l'unica terapia, il solo strumento, il più adeguato per indagare il mondo spirituale. Mondo questo, di fronte al quale la scienza, che separa e ritaglia, si rivela essere impreparata, strumento inadeguato, fragile ed incompiuto, in una sola parola
insufficiente ad indagare l'essenza della realtà dei fenomeni che si comportano purtroppo come un tumore, in modo capriccioso e mutevole: irrazionale.
Scienza che non sa curare né guarire la frattura insanabile tra individuo e mondo.
Ruggero, metafora della scienza, come tale anch'egli si rivela impreparato, inadeguato a
decifrare i codici di Ambra che è un essere irrazionale: Ambra è stata il tumore di Ruggero. E di fronte alla irrazionalità, sia nella medicina sia nella vita, Ruggero perde la sua battaglia.
Mi ha affascinato anche la figura di Ambra: emerge prepotente, la figura di questa donna, scrittrice dal carattere forte, dura, oserei dire persino spietata, crudele, cinica. Ma dipinta con grazia. Una donna che (illudendosi) si getta nell'esperienza di vivere le sensazioni come se volesse speriementare di continuo la sua sensibilità, contrariamente a Ruggero il quale si illude di aver trovato in lei finalmente il suo "rifugio".
Ma Ambra nega a Ruggero questo ruolo, rifiuta questa funzione di "tana esistenziale".
Ho avuto l'impressione che Ambra con la sua condotta volesse rinascere "ogni volta". In lei c'è come una spinta irrefrenabile al continuo reiterarsi di una illusione, divendo essa stessa vittima della "recidiva".
Questo la conduce a perdere quello che forse sarebbe stato il vero amore della sua vita, incontrato per caso. Forse lo ha saputo riconoscere ma non ha avuto il coraggio di accettarlo sino in fondo.
Anche Ambra ha sbagliato diagnosi! Anche lei è perdente.
Anche Ambra ha affidato (analogamente alla luce del microscopico per Ruggero) alla scrittura forse scopi che non le sono propri.
Non basta un romanzo per illuminare il mondo.
Ha infine scritto il suo romanzo, ed ha così ucciso Ruggero e la loro storia collocandoli su carta, tra quelle lettere. È tutto quello che le rimane. Solo carta. Null'altro. Per citare De Andrè all'ultima strofa nella Ballata dell'amore cieco:

Fuori soffiava dolce il vento
e lei fu presa da sgomento

quando lo vide morir contento.
Morir contento ed innamorato

quando a lei niente era restato

non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.


Ruggero ed Ambra sono entrambe perdenti e non risolvono l'enigma, non trovano il filo di Arianna che consentirebbe loro di non rimanere prigionieri del labirinto della vita. Ma chi non lo è.
Il pensiero che non siamo tutte le cose possibili che sarebbero potute essere ma che non lo sono state, e che quindi siamo necessariamente quello che ci è unicamente accaduto, credo sia un tentativo di motivare il perché quello che ci accade, accade necessariamente,
sempre e comunque.
Ambra e Ruggero, non sono sfuggiti al destino del fallimento; sono perdenti di fronte a sé stessi perché non hanno buttato "la maschera".
Come rimproverava Nietzsche a Schopenauer: "Non ha avuto la forza di dire ancora, per un'altra volta, sì!"
Ho forse critto un mucchio di stupidaggini, ma sono le sensazioni, le impressioni e le riflessioni che questo libro mi ha suscitato.
Grazie per questo bel romanzo.

Un abbraccio
Stefano

Dr. Stefano Fratoni
U.O.C. Anatomia Patologica
Presidio Ospedaliero S. Eugenio - Roma

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