nota di lettura di AR
Il corposo eppure leggibilissimo volume di memorie Catene e terrore. Un vescovo clandestino greco-cattolico nella persecuzione comunista in Romania, a cura di Marco Dalla Torre, traduzione di Mariana Ghergu e Giuseppe Munarini (che ha curato anche le note all’edizione italiana), EDB, Bologna 2013, pp. 474, ci offre un quadro storico-religioso della persecuzione a cui sono stati sottoposti fedeli, sacerdoti e vescovi della chiesa ortodossa unita a Roma già dagli ultimi anni del Seicento e che il regime comunista negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale aveva dichiarato fuorilegge forzandone l’assimilazione alla chiesa ortodossa di Romania. Le vessazioni, le torture, i lavaggi del cervello, la “sparizione” o la morte in seguito ai maltrattamenti degli irriducibili ai voleri della Securatate, di cui ci parla in prima persona il vescovo clandestino Ploscaru (1911-1998) sembrano appartenere ad altri tempi e ad altri luoghi: eppure siamo in Europa e sono passati appena pochi decenni! Solo una fede incrollabile e una carità infinita nei confronti dei compagni di cella (quando al Nostro non era riservato il trattamento della “nera” al buio e in catene) possono spiegare il superamento di tale autentico calvario in varie carceri della Romania fino alla libertà molto vigilata dell’agosto 1964 (era stato arrestato la prima volta nell’agosto del '49) che il vescovo commenta con questi versi: “Signore da chi andremo? / Quelli che conoscevamo sono morti o se ne sono andati, / gli altri, uscendo sulla soglia, alzeranno le spalle / e ci guarderanno attoniti, sorpresi, / (…) / gli amici nei cimiteri croci. (…)” (pp. 441-2). Il racconto di Ploscaru è condotto sempre con grande empatia, cercando e trovando qualche barlume di umanità anche in aguzzini e delatori e “approfittando” della prigionia per testimoniare la propria fede: “In nessun luogo come in prigione, si può venire a contatto contemporaneamente con l’anima di tante persone. Dio ha fatto un grande dono tanto a noi quanto a quelle anime sofferenti. Fuori, in libertà, le occasioni di parlare con tanta gente sono rarissime. E quando pure si presenta l’occasione, la disposizione dell’anima è poco ricettiva.” (p. 133); “In realtà la libertà è molto relativa, diversamente concepita, definita e sperimentata. Dal punto di vista spirituale, noi prigionieri eravamo più liberi di coloro che erano fuori. Noi mai abbiamo portato uno striscione senza volerlo e mai abbiamo pronunciato slogan in cui non credevamo! Quelli fuori, per salvare non la loro libertà, ma il lavoro, il cibo e le relazioni, a volte avevano sacrificato le convinzioni e gli ideali di vita. Qual è allora la grande libertà? La vera libertà?” (p. 170); “Grazie alla preghiera l’anima fortificava il corpo, lo illuminava e gli elargiva il potere di resistere, di sopportare, di affrontare la sofferenza, la solitudine, la fame.” (p. 172); “… ho desiderato compiere la volontà di Dio, nel posto e nelle circostanze in cui Lui mi voleva. Questo abbandono alla volontà divina mi dette una pace serena e fiduciosa per tutto il periodo della mia detenzione.” (p. 240).
Nonostante la crudezza dell’esperienza vissuta, non mancano passaggi divertenti e ribaltamenti di luoghi comuni: “Quando un romanziere fosse a corto di fantasia per i suoi libri, entri nelle prigioni e troverà le vicende più autentiche: ogni detenuto è un romanzo. (…) In tutte le prigioni e le celle in cui sono stato in questo lunghissimo tempo, non ho trovato sui muri che disegni di croci e iscrizioni religiose: fuori – sui cancelli, nelle stazioni e negli altri luoghi pubblici di transito – non si leggono che scritte oscene: il contrasto è sorprendente” (pp. 322-3). E parlando del vescovo Ioan Bălan: “Desiderava molto conversare o, per essere più precisi, desiderava parlare lui. Raccontava i suoi ricordi senza interrompersi…” (p. 377).
Sull’inutilità, per chi ha profonde convinzioni, dell’indottrinamento politico, Ploscaru scrive: “Riguardo al giornalismo circolava una barzelletta: nei giornali [di partito] ci sono tre specie di notizie: certe, probabili e false. Certi sono il titolo e la data; probabili le previsioni del tempo; il resto è falso.” (p. 416); “Circolava una storiella: un cane scappato dal Paese era arrivato a Parigi, dove, debole e affamato, vagabondava in Bois de Boulogne. Un cane francese gli domandò: «Non avevi cibo nel tuo Paese?».«Sì che c’era!». «Non hai avuto una casa?».«Sì, l’ho avuta». «Non hai avuto soldi?».«Sì, li avevo».«Allora perché sei scappato?».«Perché non mi lasciavano abbaiare!»…” (p. 432).
Un libro che ci fa apprezzare il fatto di godere di libertà che in tante parti del mondo sono conculcate, che ci aiuta a riscoprire la fede come un grande dono, che illumina un settore dei storia europea poco noto e che ci ricorda come il male e la disumanità possano prendere piede facilmente se non vigiliamo sulla correttezza delle relazioni civili.
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