Cara Carla, ecco le mie osservazioni
Per cominciare, mi piace molto il titolo del libro che stimola a riflettere sul genere della “storia” e sul significato dell’aggettivo “parziale”. Quando a pagina 24 scrivi che davanti alle istituzioni pubbliche “anche io lo ammetto, pur sempre presente, t a c c i o” mi associo a te in pieno. Faccio la considerazione che l’handicap sta in loro e non nei nostri figli. Accenno brevemente al seguente episodio: quando il mio Marco in età scolastica, tornando a casa, spesso mi chiedeva :”mamma perché a scuola mi trattano sempre male?” – io risposi: “Perché loro sono handicappati.”
Cambiando il termine “handicappato” riguardante questo mondo con la religione dell’IO (mi riferisco alla ottima espressione di Eleonora Laurito pag. 116) con quello di ora, “diversamente abile” riesco a placare la mia delusione e a non avere vane aspettative; del coautore del libro Stefano Martello, ammiro l’immenso sforzo con il quale cerca di addentrarsi nel mondo della disabilità mentale; di solito l’handicap mentale viene messo in disparte dalla società e invece privilegia quello fisico perché offre più facile soccorso dimostrabile per essere applaudito. Ricordo che a scuola di Marco i casi su sedie a rotelle erano sempre circondati da uno sciame di giovani assistenti, mentre Marco venne ingiustamente accusato di avere allagato il bagno.
Qui vorrei citare Michele Maggiani (pag. 92) per non giudicare o criticare, perché l’ipocrisia è sempre in agguato per tutti. Sempre di Stefano Martello mi colpisce la ripetuta sincerità, con il rischio di essere giudicato da chi ignora o fugge il problema della disabilità; a pag. 17 scrive: “impazzirei pensando a un figlio/figlia che non può dare soddisfazioni o delusioni. Impazzirei pensando che non avrà mai una vita sentimentale”. Poi a pag. 17 scrive: “non volevo e non potevo parlare di autismo”, pochi hanno questa modestia e questo coraggio!
Ho letto con grande interesse l’esposizione “medico-malato” di Oliviero Mascarucci che è molto chiara e utile a tutti. Ma non so se sbaglio nella mia osservazione di non aver trovato nulla che riguarda i nostri figli. Nel ritenerli malati nel rapporto con il medico mi sembra non esatto per il semplice fatto che loro non si ritengono tali.
A cosa servirebbe allora il termine “abili diversamente?”
Certo il medico serve per le medicine che possono rendere più vivibile la vita per i nostri figli, ma a loro questo non interessa! A loro invece importa di trovare un medico, che è, come osserva Chiara De Luca (pag. 76) “sé stesso” senza mentire e ingannare sempre come dice lei; sono bellissime le sue poesie.
I nostri figli chiedono semplicemente a chi in contrano e, non solo ai genitori, di essere compresi e amati nel modo decritto da Carla De Angelis: “la tristezza tua diventa la mia” (pag. 31).
Ursula
p.s. mio figlio Marco ha ora 49 anni ed è autistico
Roma marzo 2013
Nessun commento:
Posta un commento