La crisi
dell’anno 2012
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E cos’altro potrà accadere, rifiutando le
affermazioni sul non senso della normalità? Ma in questa confusione, tra
farabutti che spacciano l’informazione per verità in cerca di consenso.. non è la terra che mancherà, fertile,
profumata. Lunga l’attesa intorno alla parola che sentiamo dentro non venire
alle labbra se non come frutto di stagione che tarda al tardare del bel tempo.
Il desiderio mai sopito è di non tralasciare il già detto, bagaglio ineludibile
che accompagna mentre la luce declina..
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Così
abbiamo appreso che non c’è altro presente che il presente e questo
affermo dal mio tavolo di lavoro che improvviso ovunque: mi basta un notes a
quadretti ovvero il bianco di uno scontrino di cassa, il retro di un
manifestino, lo spazio libero tra colonne e colonne di un quotidiano che
nessuno legge. Lo spazio tra le parole è l’intervallo che impone il silenzio,
mentre attendiamo il consenso a chiudere, su questo mondo di ferro e fiele, le
inenarrabili sequenze dell’abiezione umana fin qui conosciuta.. e dire che
avevamo atteso con fiducia l’età che declina come l’autunno dopo la buona
stagione.
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Ora non ho più timore che non rimanga di me
memoria, né una parola scritta sulla polvere. Un altare per celebrare queste
sensazioni, libero di affermare che il vento cancella anche se flebile si leva
e s’appresta il tempo del ritorno, benché non avere più fiducia in questo paese
corrotto, è come abbandonare la battaglia, cedere le armi ad un nemico che colpirà alle spalle.
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(Eppure) sento ancora l’eco dei richiami: lo
sciacquare della marea, il vento balcanico da oriente, il sole già basso all’orizzonte, oltre
il profilo delle colline che a tal punto rendono fredda l’atmosfera dinanzi
alle piccole onde che schiumano sulla battigia. Alcune vele si dibattono sul
mare, mentre la balera stasera sarà deserta e la musica dispersa per pochi
disattenti che ricorderanno a lungo questa breve vacanza frustata dalla pioggia
a fine agosto…
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Siamo lontani dalla nostra terra ma anche
ripartendo, porteremo con noi il presente e non troveremo reali differenze tra
i profili della terra che pur cambia colore, odore, consistenza mentre la
pioggia bagna e impregna. Siamo lontani dal nostro orizzonte, portiamo con noi
l’ansia per ciò che raggiunto subito lasciamo..
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E tanto ci angoscia, questo malanno che ci
allontana dalle cose del mondo, incapaci di esserne partecipi mentre tutto
intorno cambia. E non sarà degno del nostro pensiero farci da parte,
allontanarci non con disdegno, ma con rammarico, col dolore che accompagna l’impotenza
che si fa largo e annulla le certezze a lungo cullate per la parola a cui pochi hanno creduto…
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È dunque
autunno in questo angolo di mondo .. mentre l’attenzione è per questo universo di esistenze che
rincorrono ancora il sogno. C’è chi ride spensierato camminando sotto la
pioggia, come se fosse il segno divino che presto giungerà a redimere l’umanità.
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Per questo affermo che c’è ancora il desiderio
di tradurre con le parole il sentimento e trasformare questo impoetico
presente, compresso tra l’indicibile il reale, mentre ci lasciamo incantare dal
tempo di cui non riconosciamo che l’attimo in cui tutto accade ma subito si
esaurisce. Non c’è coraggio né viltà in tutto questo, ma non dovremo accettare
ancora ciò che si appresta, né un mestiere che non sia tra le mani libero e di
buon fine. Umano, nel senso letterario del dovere, levandoci al levar del sole,
coricandoci allo scemare della luce. Sorgerà ancora il giorno?
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Cosa dunque animerà i ricordi? Forse
attraversare l’andito oltre il quale ogni parola è traccia che dilegua al
dileguarsi del tempo e delle ore, sequenza abituale del nostro essere,
rigenerati dal rigenerarsi delle stagioni..
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E serviranno ancora le mani per ricomporre le
cose del mondo, come le città irreali che abbiamo attraversato, quelle in cui
vivendo abbiamo evocato come oracoli i segni del declino mentre già la vergogna
dilagava nelle strade, vuote nei
giorni d’estate, nude e prive d’anima…
·
Eppure sussiste chi del nulla si nutre e nel
nulla si crogiola, tra lusso e spreco, e offende il cuore e l’inaridisce,
mentre chi soffre tace, o si fa piccolo e sparisce. Già, ma che sa il cuore,
torniamo a dire, se non poco più
di quanto è appena accaduto? Dobbiamo discernere tra il tempo e il nulla verso
cui abbiamo fatto rotta, mentre la presunta stagione del rinnovamento viene
dalle stelle, un percorso che sa d’azzardo e non si confronta con il
razionale. Chi s’avvede di quanto
oggi accade, solo dopo, solo dopo, grida al mondo che dio è morto.
Frammenti
apocalittici (II)
Si stava chiudendo il cerchio. Il tempo era
compiuto e di quel mondo costruito giorno per giorno, non rimase che una
raccolta di pagine ingiallite e mille parole che le mani avevano impresso sulla
carta, ma non riuscivano più a comprendere.
C’era la sensazione di aver scritto l’impossibile,
ovvero solo quanto veduto con la mente e, per questo, irrevocabilmente.
Per questo come per le tribù nomadi che a
primavera riducono in cenere la brace ancora rovente quasi con noncuranza, come
se non avesse nessun significato ricordare come quella stessa avesse ristorato
le notti fredde dell’inverno, e riprendono il cammino verso terre più elevate,
tra rocce e vento, salendo i pascoli sempre più in alto. Non avrebbero mai
sofferto la città desacralizzata di questo nostro tempo….
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Ma se dovessimo tornare sui nostri passi,
gli stessi da cui siamo fuggiti, non sarebbe ammettere una sconfitta, bensì
volgere lo sguardo consapevole verso la libertà, non con l’ansia per l’ignoto,
ma con la consapevolezza di aver oltrepassato i confini del deserto che abbiamo
realizzato intorno e dentro le città.
Certi limiti li abbiamo scelti e imposte con
le parole, che al contrario dovevano aiutarci a non perseverare nell’errore.
Non ci sarà altro tempo e nuove attese…
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Ci piace pensare che sia possibile ancora
inseguire fino alla morte quella minima pace a cui tutti aspiriamo, ma che
pochi potranno raggiugere. Ora che abbiamo compreso l’inganno, ecco tornare le
ombre delle usate paure. Se tutto si rivelasse ancora un sogno, e non sorgesse
un’altra primavera, ecco il bagliore all’orizzonte che non è ghiaccio, ma sulle
strade e sulle piazze tornando il freddo e la paura…
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Ma alla fine non è la stessa
industrializzazione che ci ha costretti ai falsi bisogni, alla materialità
delle cose, allontanandoci dalla natura, dal riposo, con susseguente fuga dalla
città, soffrendo la pressione psicologico della quotidianità, nell’inumana
codifica della sottile tirannia che le false democrazie hanno favorito ovvero
generato. Siamo tutti consapevoli e colpevoli?
È forse un falso bisogno la necessitò di
fuggire e riscoprire la libertà di non impegnarsi nella quotidianità che le
legge degli uomini ci impongono? La convivenza si è fatta ardua ed il silenzio
e la solitudine talvolta sembrano la nostra unica via di salvezza.
(liberi di scegliere l’orizzonte la terra
dove fermarsi per qualche tempo o per sempre, se in armonia con la natura, con
noi stessi. O ripartire ancora)
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Quale il segreto delle civiltà remote? Di
resistere alla morte lasciando un segno,. Di incidere in vita con una punta la
pietra. E ì vaginale solco da cui tutto scaturisce e verso cui tutto torna,
scrivere come la vita sarà vissuta.. Intensamente.,
dei secoli abbiamo smarrito l’attitudine
negli anfratti del confronto tra bene e male, esaltate le posizioni delle
crescente intemperanze del pensiero religioso imperante, illuminati solo, nel
secolo recente, del pensiero freudiano e delle sue recondite rivelazioni….
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Siamo sempre in procinto di attraversare una
soglia. È quella della nostra casa, dove per la prima volta transitiamo verso l’esterno,
dal conosciuto al nuovo, dal tepore al freddo, dal riparo alla luce. Entrare ed
uscire, un atteggiamento che sa di vita e morte. E lo ripetiamo ogni giorno,
finché qualcosa non ci costringe ad osservare il mondo al riparo dei vetri della nostra finestra. Allora
quel distacco contagia la nostra mente, l’indurisce, la costringe nella
malattia.
Un po’ come confessare di non sentirsi parte
del mondo conosciuto, vissuto. Di essere sempre in procinto di partire verso
una nuova meta, anche un viaggio brevissimo, ma idealmente lontano dal
conosciuto, un viaggio di sola andata anche se il viaggio è tale solo se ci sarà
ritorno. Si torna da ogni viaggio irrevocabilmente mutati.
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Ebbene viveva la sensazione complessa che i
libri letti e riletti, frequentati, fossero deposito di mille conoscenze che si
erano poi riversate in lui, sedimentate per assimilazione.
E pur provando a confutare quella
sensazione, infine l’aveva amata. Fatta sua.
Sono i libri il mio universo, disse un
giorno. Ed io vivo in quell’universo. E ogni pagina ogni istante della mia vita non so se
veramente vissuta o raccolta sulle pagine di un libro. Sono sotto una cupola di
cristallo che mi protegge e mi condanna. Alla follia infine? O all’irrealtà? Ma
tutto ciò si rivela concreto, più di ogni altra realtà umana vissuta.
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Le tracce del nostro tempo, allo sguardo di
ipotetici archeologi del futuro, saranno ammassi di PET e PVC, irriconoscibili,
qua e la incise le composizioni, vaticinanti i tempi previsti della
biodegradabilità. Nei secoli a venire, forse ormai privi della presenza
umana..
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Siamo andati altrove abbiamo smesso l’abito
del viaggiatore, il nostro è un cammino senza domani senza passato. Ci offende
vivere ai margini dell’intelligenza..
Povera
Italia…
“Non la solitudine economica, non la
mancanza di una tetto, del pane quotidiano, ma l’isolamento, il non essere
parte della società. La condivisione di un progetto comune, l’esserne parte,
rendono l’uomo veramente libero…”
Ma questo pensiero non si addice al nostro
paese, afflitto da un male sociale che
non si sana, con l’incapacità di essere una comunità e non un insieme
inidoneo a pensare un progetto senza enfasi retorica che svela corporativismi
entro cui racchiudere i gruppi che schierati dietro ad una sigla, alzata un
vessillo, indossano una divisa confondendo il fare con la competizione, e
svelano una dipendenza ideologica a fascismi senza remissione mai completamente
rimossi e che latenti sussistono nell’animo degli italiani.
Oreste Bonvicini è nato ad Alessandria nel 1958. Risiede a Casal Cermelli (AL). Dice di sé:“Ho sempre volto barra alla scrittura, ma il tempo, durante la navigazione, ha visto errori di rotta, con il vento o la burrasca rimandarmi al largo o verso sconosciuti lidi. Ora, benché s’alternino lunghi periodi di bonaccia con l’illusione che patria sia l’ovunque, scorgo il tramonto che s’allunga mentre Itaca non è più la meta…”
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