recensione di Vincenzo D'Alessio
L’Antologia, curata dall’editore Alessandro Ramberti, è un testo che leggo a piccole dosi, per gradi. La cura dell’opera è esemplare. I contenuti, poiché appartengono ad autori tanto diversi tra loro, vanno assunti gradualmente, in silenzio; così come sono maturati nel silenzio produttivo dell’Eremo Camaldolese denominato FonteAvellana, che li ha ospitati. Quasi per caso la nostra intera area irpina, come il capoluogo Avellino, hanno derivato la loro toponomastica da quell’arbusto solido che è il nocciolo, richiamato anche dal poeta, Gabriele D’Annunzio, nella sua poesia “Pastori d’Abruzzo”.
“Il tempo non mi è stato rubato. / È
solo trascorso, ed io con esso.”
I versi che abbiamo scelto, da questa Antologia, sono di Guido Passini: poeta sincero, assetato di esistenza, radice sofferta di un ulivo che dona frutti all’uomo. Scrivere poesie, credere nei versi per donare a sé stessi e a chi legge la minuscola gioia dei sentimenti, sospendere il dolore che viene dalla nostra appartenenza alla terra. Dalla terra veniamo e alla terra torniamo con il nostro carico di Speranza.
I versi che abbiamo scelto, da questa Antologia, sono di Guido Passini: poeta sincero, assetato di esistenza, radice sofferta di un ulivo che dona frutti all’uomo. Scrivere poesie, credere nei versi per donare a sé stessi e a chi legge la minuscola gioia dei sentimenti, sospendere il dolore che viene dalla nostra appartenenza alla terra. Dalla terra veniamo e alla terra torniamo con il nostro carico di Speranza.
Il Nostro apre il proprio contributo, incluso in questa
opera, riprendendo il filosofo Lucio Anneo Seneca, una lettera a Lucilio, sul
valore del Tempo. Il tempo come sabbia in una fragile ampolla destinata a
frantumarsi nella terra. La gioia ci sorride attraverso la Poesia. Poi scivola
dalle nostre mani e si ferma sul foglio di carta, in versi, per raccontare ad
altri i nostri sentimenti, la strada che stiamo seguendo: “Il tempo è parte di
me, / (…) il tempo fatto di parole riverse su di un pezzo di carta, / che resistono nel tempo… per questo ad
ogni giorno / che passa sorrido”
(pag. 218).
Guido è la radice che soffre dalla nascita
perché madre Natura gli ha affidato una diversità mortale. La sabbia nella sua
ampolla è instabile. L’anafora che accompagna i versi è la figura retorica che
incide negli occhi del lettore la cicatrice che soffoca il respiro del poeta.
Eppure egli inventa la gioia, il sorriso, l’ironia: “Sorrido anche quando tutto
sembra nero, / perché questo ho imparato” (pag. 219) . Quando la sofferenza è
la compagna di una intera esistenza, difficile è pensare alla gioia terrena,
alla fragranza dei fiori, all’armonia del Creato. Più facile è scoprire la
crudeltà della Natura e l’indifferenza, se non la scarsa pietà, degli esseri
umani.
I versi che il Nostro ci presenta sono
carichi d’immortalità. In modo temporale nella poesia Cinquemila, quando la
matematica mima, nei versi, il conto delle vittime che ogni giorno si piegano
alla Fibrosi Cistica. Una calcolatrice indifferente alle sofferenze, assetata,
assetata, di vite umane.
“Ho fatto un resoconto della vita oggi; quanta tristezza”(pag. 220): questo il capoverso che apre il lungo dialogo tra il poeta e la macchina “vorace” che consuma l’energia del respiro. Una lotta impari. Senza soluzione. Senza alternativa se non quella di: “camminare svelto / sento il veleno salire fino alla bocca, l’amaro mediocre / che tu, mi svendi come Ballantine’s” (pag. 221). L’assenzio per annullare, momentaneamente, la sofferenza che si accumula nel corpo e, più forte, nella mente. Tempo finito. Tempo che non spera.
“Ho fatto un resoconto della vita oggi; quanta tristezza”(pag. 220): questo il capoverso che apre il lungo dialogo tra il poeta e la macchina “vorace” che consuma l’energia del respiro. Una lotta impari. Senza soluzione. Senza alternativa se non quella di: “camminare svelto / sento il veleno salire fino alla bocca, l’amaro mediocre / che tu, mi svendi come Ballantine’s” (pag. 221). L’assenzio per annullare, momentaneamente, la sofferenza che si accumula nel corpo e, più forte, nella mente. Tempo finito. Tempo che non spera.
Eppure Guido Passini, emblema di tutti i sofferenti di
Fibrosi, si allena a sconfiggere il tempo matematico con l’ausilio del solo
verso. Alimenta l’energia del sogno con l’antinomia della volontà: “Voglio il
rispetto del respiro, voglio il brivido percorrermi / la schiena, dopo uno
scatto di cinquanta metri, / voglio camminare, parlando, senza il timore di
quei cerchi / alla testa che sempre più spesso divorano le membra. / Vorrei,
vorrei,vorrei, vorrei solo essere libero dalla tua morte. (…) Così vivo”
(pag. 222). Il poeta non teme la
Morte, perché sa che è tutt’uno nell’Universo, attraverso la Poesia; ma teme la
morte disonorevole, che toglie all’Anima il respiro profondo, che satura gli alveoli
polmonari, impedendo all’energia del verso di raggiungere gli occhi, il
cervello, le mani, il foglio di carta.
Per questo semplice metodo, il Nostro,
ha pensato di realizzare un
concorso di poesia nazionale, che coinvolge piccoli e grandi, chiamati a
misurarsi con la propria creatività poetica di fronte alla malattia che non
concede tregua, per il momento. La Fede è volontà costruttiva, per sé e per gli
altri. Ce lo ricordano i versi di un altro semplice e forte poeta del Novecento
appena trascorso, Agostino Venanzio Reali, che ha saputo cogliere la bellezza
del Creato, del Creatore, nella continua ricerca del Bene, da condividere con
gli esseri viventi: “(…) Solo l’eterno conosce il divario / che passa tra me e
l’ameba / tra la mia e la traccia del verme / che la sabbia ferma / e il sole
uccide sul lido / dopo il breve rigiro” (Come un giunco, da Primaneve, Book
edizioni).
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