lunedì 6 febbraio 2012

AA.VV., Il valore del tempo nella scrittura 2 (Guido Passini)

Fara Editore, 2011
recensione di Vincenzo D'Alessio

L’Antologia, curata dall’editore Alessandro Ramberti, è un testo che leggo a piccole dosi, per gradi. La cura dell’opera è esemplare. I contenuti, poiché appartengono ad autori tanto diversi tra loro, vanno assunti gradualmente, in silenzio; così come sono maturati nel silenzio produttivo dell’Eremo Camaldolese denominato FonteAvellana, che li ha ospitati. Quasi per caso la nostra intera area irpina, come il capoluogo Avellino, hanno derivato la  loro toponomastica da quell’arbusto solido che è il nocciolo, richiamato anche dal poeta, Gabriele D’Annunzio, nella sua poesia “Pastori d’Abruzzo”.
 “Il tempo non mi è stato rubato. / È solo trascorso, ed io con esso.” 
I versi che abbiamo scelto, da questa Antologia,  sono di Guido Passini: poeta sincero, assetato di esistenza, radice sofferta di un ulivo che dona frutti all’uomo. Scrivere poesie, credere nei versi per donare a sé stessi e a chi legge la minuscola gioia dei sentimenti, sospendere il dolore che viene dalla nostra appartenenza alla terra. Dalla terra veniamo e alla terra torniamo con il nostro carico di Speranza.
Il Nostro apre il  proprio contributo, incluso in questa opera, riprendendo il filosofo Lucio Anneo Seneca, una lettera a Lucilio, sul valore del Tempo. Il tempo come sabbia in una fragile ampolla destinata a frantumarsi nella terra. La gioia ci sorride attraverso la Poesia. Poi scivola dalle nostre mani e si ferma sul foglio di carta, in versi, per raccontare ad altri i nostri sentimenti, la strada che stiamo seguendo: “Il tempo è parte di me, / (…) il tempo fatto di parole riverse su di un pezzo di carta, /  che resistono nel tempo… per questo ad ogni giorno /  che passa sorrido” (pag. 218).
Guido è la radice che soffre dalla nascita perché madre Natura gli ha affidato una diversità mortale. La sabbia nella sua ampolla è instabile. L’anafora che accompagna i versi è la figura retorica che incide negli occhi del lettore la cicatrice che soffoca il respiro del poeta. Eppure egli inventa la gioia, il sorriso, l’ironia: “Sorrido anche quando tutto sembra nero, / perché questo ho imparato” (pag. 219) . Quando la sofferenza è la compagna di una intera esistenza, difficile è pensare alla gioia terrena, alla fragranza dei fiori, all’armonia del Creato. Più facile è scoprire la crudeltà della Natura e l’indifferenza, se non la scarsa pietà, degli esseri umani.
I versi che il Nostro ci presenta sono carichi d’immortalità. In modo temporale nella poesia Cinquemila, quando la matematica mima, nei versi, il conto delle vittime che ogni giorno si piegano alla Fibrosi Cistica. Una calcolatrice indifferente alle sofferenze, assetata, assetata, di vite umane. 
“Ho fatto un resoconto della vita oggi; quanta tristezza”(pag. 220):  questo il capoverso che apre il lungo dialogo tra il poeta e la macchina  “vorace” che consuma l’energia del respiro. Una lotta impari. Senza soluzione. Senza alternativa se non quella di: “camminare svelto / sento il veleno salire fino alla bocca, l’amaro mediocre / che tu, mi svendi come Ballantine’s” (pag. 221). L’assenzio per annullare, momentaneamente, la sofferenza che si accumula nel corpo e, più forte, nella mente. Tempo finito. Tempo che non spera.
Eppure Guido Passini,  emblema di tutti i sofferenti di Fibrosi, si allena a sconfiggere il tempo matematico con l’ausilio del solo verso. Alimenta l’energia del sogno con l’antinomia della volontà: “Voglio il rispetto del respiro, voglio il brivido percorrermi / la schiena, dopo uno scatto di cinquanta metri, / voglio camminare, parlando, senza il timore di quei cerchi / alla testa che sempre più spesso divorano le membra. / Vorrei, vorrei,vorrei, vorrei solo essere libero dalla tua morte. (…) Così vivo” (pag. 222).  Il poeta non teme la Morte, perché sa che è tutt’uno nell’Universo, attraverso la Poesia; ma teme la morte disonorevole, che toglie all’Anima il respiro profondo, che satura gli alveoli polmonari, impedendo all’energia del verso di raggiungere gli occhi, il cervello, le mani, il foglio di carta.
Per questo semplice metodo, il Nostro, ha pensato  di realizzare un concorso di poesia nazionale, che coinvolge piccoli e grandi, chiamati a misurarsi con la propria creatività poetica di fronte alla malattia che non concede tregua, per il momento. La Fede è volontà costruttiva, per sé e per gli altri. Ce lo ricordano i versi di un altro semplice e forte poeta del Novecento appena trascorso, Agostino Venanzio Reali, che ha saputo cogliere la bellezza del Creato, del Creatore, nella continua ricerca del Bene, da condividere con gli esseri viventi: “(…) Solo l’eterno conosce il divario / che passa tra me e l’ameba / tra la mia e la traccia del verme / che la sabbia ferma / e il sole uccide sul lido / dopo il breve rigiro” (Come un giunco, da Primaneve, Book edizioni).
 

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