mercoledì 5 ottobre 2011

Su Liquida di Carla Cirillo


recensione di Vincenzo D'Alessio
La plaquette di racconti uscita con il titolo Liquida, della scrittrice beneventana Carla Cirillo, ha in sé dominante il dialogo tra oggetti e personaggi. Gli oggetti scivolano nell’ombra del tempo, restando testimoni degli avvenimenti. I personaggi sono, invece, il corollario nelle vicende del Tempo, trasfusi negli aromi, negli odori, nel gusto, nel retrogusto delle bevande, simboliche, che l’autrice mette in campo.
Aromi che provengono da lontano, come il tè, il caffè e il cioccolato. Oppure da più vicino, come il vino, l’agrifoglio e le altre erbe aromatiche della nostra penisola. Una sapiente miscela di profumi che inebriano, dall’inizio alla fine dei racconti, le narici del lettore.
Gli episodi sono scritti in terza persona. Il personaggio è quasi  sempre al maschile, anche quando è la donna a farsi protagonista del racconto. La scrittura è gradevole e veloce. I richiami al mondo classico, greco o europeo, sono frequenti. La volontà della scrittrice è quella di trasmettere, provocando il lettore, le esperienze realizzate attraverso l’identità liquida delle varie persone incontrate, subìte, conosciute: “Sono soddisfatto della mia traduzione. In realtà guardando lei, io trovo le parole esatte per me” (pag. 34).
La ricerca personale dell’autrice è, invece, nella vena poetica della scrittura, che svela i tratti salienti in più punti: “È la dolcezza di una vita, in fondo. La felicità del ragazzino che ero e che forse continuo a essere” (pag. 35); “Non si cresce mai davvero, un bambino dall’aspetto di adulto arriva e strappa dalle mani una cosa tua e tu resti lì a piangere” (pag. 46).
Un dolce confluire “panta rei” , con l’aiuto degli Dei, nella liquida esistenza accostata alle labbra: un po’ stregata, soffice, traslata nel surreale, immersa nella decantazione della ricerca: “Si rivolse allo specchio. Quasi non riusciva più a vedere sé stessa, il proprio volto ferito riflesso in una superficie limpida, acquea, questa invece, liscia e pulita, senza macchia  e senza pietà” (pag. 47). Aleggia, anche qui, la figura di Eco, ninfa dei monti, innamorata di Narciso, il quale si specchiava nelle acque, disprezzando l’amore della ninfa. La liquidità dell’Amore, senza macchia e senza pietà; non più un essere vivente ma una voce narrante.

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