Una presa di posizione
Queste mie brevi note sono il frutto di riflessioni partigiane, di chi si considera ancora anacronisticamente ancorato alla necessità del sacro.
Penso questo: bisogna credere all'anima, alla sua essenziale esistenza. Se accettiamo questo, sappiamo: che l’anima non ha bisogno di spazi, l’anima non ha luogo, vive in sé, nel mondo.
La mia opera nasce come atto di germinazione e liberazione dell’anima in cammino, alla ricerca di un significato profondo e interiore. Non è un isolamento dal mondo, ma una più
totale immersione nel mondo.
Pochi sono gli artisti oggi che rifiutano l’idea della morte di dio. Coloro che lo fanno, cercano costantemente, quotidianamente, faticosamentel’immagine di quel volto eterno che il mondo crede definitivamente perduto. L’autoreferenzialità dell’arte contemporanea trascura il dato essenziale: la ricerca del senso, barattato con pochi, bizzarri e arbitrari, a volte inutili significati, semplici brani di discorsi che hanno il solo pregio della coerenza (nei casi migliori).
L’arte, se si àncora al solo dato contingente e storico dimentica il suo compito più alto: mostrare all’uomo una direzione, cioè la sua origine, quindi, forse, la sua meta. Un’arte che
si limita ad analizzare e criticare la realtà compie un’opera di indagine, al pari dello scienziato getta un occhio microscopico sulla realtà, ne svela i meccanismi e gli intrighi, ma adempie solo a una metà del compito, trascurando di indagare i sottili e misteriosi fili sottesi, al di là delle apparenze. Un’arte che rileva e disegna una mappa senza tracciare una direzione è un’arte destinata a non lasciare traccia di sé, e l’artista è un semplice agrimensore che misura, calcola, indaga e riproduce, registrando dati, tracciando tutt’al più percorsi avvincenti ma arbitrari che riconducono sempre a se medesimi, cioè al punto di partenza.
La costante riconferma della vitalità del sacro, del mistero, dell’ombra che agisce oscuramente sulle vite do ognuno, è un compito imprescindibile dell’arte e dell’artista, il quale “deve” confrontarsi necessariamente con questi temi. È un compito religioso non solo in conformità con la radice etimologica del termine: relìgere, tenere insieme, unificare; ma anche nel senso di una evitata omologazione, nel tempo più globalizzato e omologante della storia.
L’arte accade. Ecco un’espressione che mi piace. È così esclusa (o ne è ridimensionata la portata) dal mio fare artistico certa “volontà” assai troppo idolatrata, a favore di un’idea di artista come mezzo e strumento, di una ricreazione cosmica costantemente operante attraverso e in collaborazione con l'uomo.
Il gesto artistico è, a mio avviso, un atto di creazione dello spirito, al più un gesto di collaborazione con lo spirito.
In questo mio lavoro cammino a ritroso, torno all'origine dell'umanità uscita dalla preistoria, indago i nuovi simboli che la nascente cristianità impose/oppose al mondo, alla riscoperta della forza di un messaggio di pace che si mostrava con la forza di una novità liberante. Ma il mio è un ripartire da zero, là dove tutto ebbe inizio, dimenticando, per un attimo, ciò che avverrà nei sotterranei e oscuri cunicoli della storia. Una preistoria della cristianità che
ancora era, sostenuta dal vigore fuorilegge di coloro che aspirano a un mondo modellato secondo giustizia e speranza, ingenua, autentica, visionaria, veramente rivoluzionaria.
È un lavoro che esce dalle mani di un poeta menestrello che, ancorato a una tradizione, vaga di corte in corte, e che per vocazione e necessità si reinventa artigiano perché sa che l'uomo non vive di solo pane, ma nemmeno sopravvive con la sola anima, e allora batte il ferro caldo delle idee e col lavoro modella le sue forme. Chiodo dopo chiodo, ferita dopo ferita, costruisce la sua cattedrale, il suo laboratorio, la sua officina; la sua manuale, incompresa, trascurata, meravigliosa Opera…
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