venerdì 3 dicembre 2010

Su Salvezza e impegno 2

recensione di Vincenzo D'Alessio, precedente recensione al libro qui

L’antologia curata da Alessandro Ramberti, Salvezza e impegno, è uno scrigno che rilascia lentamente “cose vecchie e cossenza saperlo nemmenoe nuove”: non negano al lettore l’acqua della conoscenza che pure è nata molto lontana ma arriva alla bocca del viaggiatore con la stessa freschezza, e purezza, della fonte.
Leggendo, nei momenti in cui il deserto dell’esistenza ci fa avvertire maggiormente la secchezza dell’energia per il nostro cammino, la salvezza ci giunge nei versi e l’impegno è il lume nella notte che rincuora la solitudine dell’uomo. Si cammina in un deserto di silenzi e da lontano scoprire un fuoco è avvertire la presenza di un nostro simile, la possibilità del dialogo.
Non sempre l’incontro è positivo. Quando però troviamo un amico a rincuorarci dalla sudata, dalla scarpinata, con un sorso di caffè caldo, “l’assenza della città” non è poi così forte. Il viaggiatore che parla del suo viaggio, in prima persona , è in questo caso Andrea Garbin. Sei bellissime liriche che danno corpo alla raccolta “Croce del Sud”. Un viaggio che richiama “vindica te tibi”: scopri te stesso, il racconto del viaggiatore che rivela, con ricchezza di sinestesie, allitterazioni, fonosimbolismi, a noi lettori il senso profondo dell’esistenza, di quella “asfittica” quotidianità cittadina.
Il rapporto puro, tra parola filosofica e pensiero poetico, proietta il verso del Nostro in una dimensione onirica, sospesa nel tempo, quasi una migrazione senza fine tra poli magnetici: rappresentati dalla Croce del Sud , costellazione che ha guidato i naviganti nel corso dei millenni e che ora svela sotto la sua luce le vicissitudini del viaggiatore nel tempo: l’uomo. Scrive il Nostro poeta: “(…) Io ti siedo accanto e non t’aspetto / in questa valle dove il tempo non arriva” (pag. 69); “(…) Io sono l’uomo che li osserva” (pag.70) e prima ancora:  “(…) io, una pozzanghera di lampo, me” (pag. 68) e si affatica a comunicare al lettore la strada vera nel deserto della morte: “(…) laggiù, noi tutti si sta sull’attenti / dando vita al corpo, al contatto, / alle fiamme rosse e falci nere, / sulle nostre pelli contaminate / aumenta l’attrito tra vita e morte” (pag. 66).
Stupende sono alcune sinestesie, come: “(…) ondeggia azzurra tromba lo sguardo / della volpe” (pag. 67) “(…) tronchi carbonizzati / cigolano come farfalle / lasciate a morte lenta” (pag. 69). Si scorge tutta la lezione dei poeti, anche stranieri, del secolo appena trascorso, come Pablo Neruda: “Portami, Oceano / un giorno del Sud, un giorno aggrappato alle tue onde, / un giorno d’albero umido, trascina un vento / azzurro polare alla mia fredda bandiera!” (Voglio tornare nel Sud, Mondadori, 1996), che Garbin richiama nei versi della poesia eponima a pagina 70.
Come per Neruda, anche per il Nostro poeta, il vocativo è l’invito a noi lettori per seguirlo: “(…) O, frenetica stella dai quattro occhi / (…) cara stella, la linea del tramonto dissipa il sepolcro” (pag. 71). Seguire la costellazione luminosa della parola in un deserto di sabbia (i colpi avversi del destino e l’indifferenza umana), oppure nell’oceano sterminato del necessario (il contingente per sopravvivere): “(…) nell’abisso / prolungato che porta alla ricerca / del vociare, nell’assenza del tutto, / nel funebre insistere del tempo / (…) quale arte, quale rapporto, quale / torto, quale amore, quale stato, / quale cauta porta sia la retta vita?” (pag. 67). La forza dell’enjambement si dipana quasi come un vento continuo e costante a gonfiare le vele di una nave nel deserto del mondo degli umani.
“(…) parte così il volo migratorio / sotto gli sguardi disattenti di noi / che ancora ci chiediamo dove siamo”(pag. 66). La grande lezione di umiltà di Garbin è lievito per i giorni che stiamo vivendo, sotto l’attacco della plutocrazia di mercato e l’egoismo sfrenato dei faccendieri politico-mafiosi che non si stancano di succhiare le energie morali della buona gente: “I geni della nostra politica / sono malati di diserzione” (pag. 68). Viene spontaneo ripetere: leggete, gente, leggete!
Montoro

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